Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18510 del 10/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/08/2010, (ud. 07/06/2010, dep. 10/08/2010), n.18510

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MELONCELLI Achille – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIA GIOVANNI DA

PALESTRINA 47, presso lo studio dell’avvocato VITOCOLONNA CLELIA,

studio SATTA & ASSOCIATI, rappresentato e difeso dall’avvocato

CASO

PASQUALE, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 40/2005 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata il 07/06/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/06/2010 dal Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo

di ricorso.

 

Fatto

Con avvisi di accertamento n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS) S.S.N., notificati il 1.9.2001, l’Agenzia delle entrate, Ufficio di Gioia del Colle, contestava a F.F. per l’anno d’imposta 1996. un maggiore reddito d’impresa relativo ad un’agenzia per pratiche automobilistiche imponibile ai fini I.R.Pe.F., contributo SSN e contributo straordinario per l’Europa per L. 35.583.000 ed un maggiore volume di affari ai fini I.V.A., facendo applicazione dei parametri previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181, e del D.P.C.M. 29 gennaio 1996.

Il contribuente adiva la C.T.P. di Bari, deducendo l’illegittimità dell’atto notificatogli per difetto di motivazione e per non essere i parametri utilizzati dall’Ufficio aderenti alla sua situazione economica, data la flessione del mercato automobilistico. Resisteva l’Ufficio, difendendo la legittimità del suo operato ed evidenziando che l’accertamento era motivato con il riferimento ai parametri che integrano presunzioni gravi, precise e concordanti avverso le quali il contribuente non aveva fornito prova idonea a smentirli.

La C.T.P. accoglieva il ricorso, ritenendo che l’accertamento non poteva fondarsi unicamente sull’applicazione dei parametri, ma si doveva anche tenere conto della specifica situazione del contribuente e del valore dei beni strumentali al netto dei fondi di ammortamento.

Disapplicava, inoltre, il D.P.C.M. 29 gennaio 1996, così come modificato dal D.P.C.M. 27 marzo 1997 in quanto emesso senza il previo parere del Consiglio di Stato.

Proponeva appello l’Agenzia delle entrate e la C.T.R. della Puglia accoglieva il gravame, ritenendo non necessaria l’acquisizione del parere del Consiglio di Stato per i D.P.C.M. in questione e legittima l’applicazione dei parametri, dato lo scostamento dei ricavi dichiarati dal contribuente. Rilevava, inoltre, che lo stesso, invitato prima della notifica dell’accertamento in sede di contraddittorio, non aveva fornito prova contraria o prodotto documenti contabili atti a dimostrare il proprio assunto.

Avverso detta decisione F.F. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, contestando quanto ex adverso sostenuto.

Diritto

Con il primo motivo si denuncia la violazione ed errata applicazione della L. n. 400 del 1988, art. 17, così come modificata dalla L. n. 25 del 1999, art. 11, per avere la C.T.R. erroneamente affermato che il D.P.C.M. 29 gennaio 1996, così come modificato dal D.P.C.M. 27 marzo 1997, non essendo stato qualificato come “regolamento”, non sarebbe soggetto alla disciplina della norma sopra indicata, mentre tale parere andava acquisito e, pertanto, in assenza dello stesso, i D.P.C.M. andavano disapplicati.

Con la seconda censura si lamenta l’omessa e/o insufficiente motivazione, nonchè la violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi la C.T.R. pronunciata in ordine alle specifiche doglianze avanzate dal contribuente relative alla mancanza di motivazione dell’avviso di accertamento, fondato unicamente sull’astratta applicazione dei coefficienti parametrici, limitandosi ad affermare che l’onere della prova contraria spettava al contribuente.

Con il terzo motivo si evidenzia la nullità dell’atto impugnato per violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, lett. d), in quanto l’ufficio aveva affermato di avere eseguito l’accertamento in base all’art. 39 citato e di avere determinato il maggiore reddito ai sensi dell’art 38 D.P.R. citato e la maggiore I.V.A. D.P.R. n. 633 del 1972, ex artt. 54 e 55, mentre l’ufficio non aveva proceduto all’esame della contabilità, nè aveva richiesto registri o documenti essendosi solo limitato a raffrontare la dichiarazione annuale del contribuente con i parametri ed a valutare il valore dei beni strumentali.

La C.T.R. non aveva neppure deciso sull’eccezione avanzata dal contribuente che il valore dei beni strumentali vanno considerati al netto dei fondi di ammortamento.

11 primo motivo è infondato.

Con detto motivo si denuncia l’illegittimità dei parametri applicati ex D.P.C.M. 29 gennaio 1996, e dal D.P.C.M. 27 marzo 1997, per essere stato tale decreto approvato senza il preventivo parere del Consiglio di Stato, così come previsto dalla L. n. 400 del 1988, art. 17, mentre la fonte normativa istitutiva dell’accertamento in base ai parametri previsti dai D.P.C.M. sopraccitati è da rinvenire nella L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 a 189, ai sensi del quale non è necessario alcun parere preventivo, essendo detti parametri presuntivi previsti dal comma 184 st. art.; pertanto, ne deriva che il relativo procedimento di formazione dei parametri costituisce, per espressa disposizione legislativa (L. n. 546 del 1995, art. 3, comma 184) un procedimento speciale (proposta del Ministero delle finanze e pubblicazione sulla G.U.) rispetto a quello statuito dalla L. n. 400 del 1988, art. 17, secondo cui è necessario il previo parere del Consiglio di Stato.

Al decreto del Presidente del consiglio dei Ministri in questione, infatti,non è attribuibile natura normativa, ma solo quella di atto amministrativo per indicare all’Amministrazione finanziaria metodo e procedure per la determinazione dei presupposti sulla base dei quali procedere all’accertamento dei ricavi e, quindi, dell’imposizione per i soggetti passivi delle varie imposte. La fonte normativa istitutiva dell’accertamento eseguito sulla base di parametri, come sopra detto, va rinvenuta nella L. n. 549 del 1995, art. 3, commi da 181 a 189, e tale normativa, oltre a prevedere l’applicazione dei parametri per la definizione delle imposte D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d), e la competenza del Dipartimento delle entrate presso il Ministero delle finanze ad elaborarli, al comma 186, prevede espressamente la procedura per l’approvazione degli stessi: “I parametri di cui al comma 184, sono approvati con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Il Ministero delle finanze provvede alla distribuzione gratuita, anche tramite le associazioni di categoria e gli ordini professionali, dei supporti meccanografici contenenti i programmi necessari per il calcolo dei ricavi o dei compensi sulla base dei parametri”. (cfr., cass. civ. sent. n. 27565 del 2008).

Conseguentemente, essendo stata prevista per l’emissione dei decreti del Presidente del Consiglio in questione, per espressa disposizione di legge, una procedura speciale e derogatoria rispetto a quello statuita dalla L. n. 400 del 1988, art. 17, non è invocatole, nella specie, tale ultima norma, come invece sembra avere erroneamente ritenuto il contribuente.

Il secondo motivo è, invece, fondato.

Dal contesto del ricorso sembra di capire che secondo la C.T.R. la procedura dell’applicazione dei parametri, una volta resa legittima dalla esistenza dei presupposti di fatto previsti dalla legge, contenga poi un certo automatismo abbastanza vincolante nella individuazione degli effetti dei coefficienti medesimi.

Questa impostazione non può essere condivisa dal momento che la L. n. 549 del 1995, art. 3 al comma 184, ultima parte, prevede una certa e significativa flessibilità allorchè consente all’operatore di utilizzare il particolare tipo di accertamento di cui qui si discute.

Questa norma stabilisce, infatti, che “se i dati dichiarati non risultano compatibili con quelli indicati dall’applicazione dei coefficienti di cui all’art. 11”, l’ufficio ha il potere di determinare induttivamente l’ammontare del reddito, nonchè quello di singoli componenti positivi o negativi di esso, sulla base di due o più coefficienti, o “di altri clementi specificamente relativi al singolo contribuente”, quest’ultimo inciso lascia intendere che, in caso di necessità, i coefficienti presuntivi possono essere integrati o addirittura sostituiti da elementi particolari, r propri del contribuente sottoposto a verifica. I coefficienti, quindi, in linea di massima forniscono una indicazione, che già la stessa amministrazione può superare utilizzando altri elementi, che evidentemente costituiscono dei limiti per lo strumento presuntivo nella situazione concreta. Il che significa, appunto, esclusione di ogni automatismo dei coefficienti e necessità di valutare sempre la situazione effettiva del contribuente.

Peraltro, il profilo del tendenziale adeguamento degli effetti dello strumento presuntivo alla situazione concreta da esaminare è emerso meglio nella normativa degli studi di settore (che costituisce una evoluzione significativa nella introduzione delle presunzioni nei meccanismi dell’accertamento), tanto che l’Amministrazione nella Circolare n. 110/E del 21 maggio 1999, correttamente e significativamente, ha sostenuto che “Sulla base di elementi di valutazione direttamente acquisiti ovvero forniti dal contribuente in sede di contraddittorio, gli uffici avranno cura di adeguare il risultato della applicazione degli studi alla concreta particolare situazione dell’impresa, tenendo anche conto della localizzazione nell’ambito del territorio comunale non colta dalle elaborazioni dalle quali sono scaturiti gli studi di settore. Le osservazioni formulate dai contribuenti nel corso del contraddittorio andranno attentamente valutate motivando sia l’accoglimento che il rigetto delle stesse”.

Ma, al di la di questa puntualizzazione effettuata dall’Amministrazione, che coglie l’intima ratio sottesa agli studi di settore, c’è da rilevare che la flessibilità degli strumenti presuntivi trova origine e fondamento proprio nell’articolo 53 della Costituzione, non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va compiuto per individuare la reale capacità contributiva del soggetto, pur tenendo presente l’importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione concreta (confronto che può essere anche vincente per gli strumenti presuntivi allorchè i dati forniti dal contribuente risultino inattendibili).

Peraltro, lo stesso legislatore dello Statuto del contribuente nel prevedere all’art. 12, comma 7 (che si pone come norma generale), un tendenziale necessario contraddittorio anticipato attraverso il quale il contribuente possa fornire dati e richieste che l’Ufficio ha l’obbligo di valutare, conferma indiscutibilmente l’esigenza che l’accertamento venga calibrato sempre al caso concreto, sulla base di una conoscenza più approfondita della situazione verificata.

Alla stregua dell’art. 12, e prima che si passi a valutare il profilo dell’inapplicabilità dei coefficienti o di altri strumenti presuntivi, la stessa amministrazione deve individuare gli elementi da utilizzare nel caso concreto, potendo addirittura disattendere i coefficienti quando esistono altri dati che evidentemente esprimono meglio la situazione concreta. In ogni caso, sulla base dell’ultimo periodo dell’art. 12 citato, comma 4, ammesso che i coefficienti presuntivi siano stati utilizzati bene e legittimamente, resta il fatto che è ammessa la prova della inapplicabilità dei parametri al caso concreto. Questa prova non deve avere necessariamente collegamenti con dati documentali (come invece sembra avere sostenuto parte ricorrente), ma può essere costituita, in assenza di indicazioni normative specifiche contrarie, anche da presunzioni che il Giudice nel suo prudente apprezzamento va a configurare e a valutare.

La norma fa riferimento alle “specifiche condizioni di esercizio” dell’attività e lascia, quindi, ampio margine nella deduzione dei fatti impeditivi (L. n. 549 del 1995, comma 181). (cfr., ex multis, cass. civ. sentt. nn. 19163 del 2003, 23602, 24912, e 27648 del 2008 e 3288 del 2009).

Sulla questione, peraltro, si sono pronunciate anche le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 26635 del 2009, puntualizzando le diverse questioni che ineriscono a tale tipo di accertamento e evidenziando, tra l’altro, che destinatari di questo tipo di accertamento sono coloro che svolgono attività d’impresa o atti o professioni in contabilità semplificata ed in contabilità ordinaria quando quest’ultima risulti inattendibile a seguito di ispezione .

Quanto all’onere della prova, “cui nemmeno l’Ufficio è sottratto in ragione della peculiare azione di accertamento adottata, è così ripartito:

a) all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento;

b) al contribuente, che può utilizzare a suo vantaggio anche presunzioni semplici, fa carico la prova della sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possano essere applicati gli standard o della specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo cui l’accertamento si riferisce.” Concludendo la disamina su tale tipo di accertamento le Sezioni unite hanno anche emesso il seguente principio di diritto:” La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standard” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddicono da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito.” Tutto ciò premesso, nella specie, la C.T.R. non si è adeguata a tali principi, ma, nell’affermare che il contribuente non aveva ottemperato all’onere della prova che incombeva su di lui, ha solo affermato che la prova andava fornita in sede di contraddittorio, affermazione questa del tutto erronea, potendo la prova essere data dal contribuente anche in sede contenziosa, restando nella discrezionalità de giudice valutare l’omessa risposta dello stesso di presentarsi all’invito rivoltogli dall’A.F. per discutere in contraddittorio in sede amministrativa, come affermato dalle SS.UU. di questa Corte con la già citata sentenza n. 26635 del 2009.

Occorre, infine, statuire sull’ultima censura prospettata da parte ricorrente relativa all’omessa pronuncia della C.T.R. in ordine alla determinazione del valore dei beni strumentali.

La C.T.R. effettivamente non si è pronunciata sulla questione, ma la mancanza di una qualunque decisione in merito, va interpretata come un tacito rigetto, non essendo configurabile il vizio di omessa pronuncia quando il rigetto di una domanda sia implicito nella costruzione logico-giuridica della sentenza, con la quale venga accolta una tesi incompatibile. Infatti questa Corte ha più volte statuito che: “Il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132 cod. proc. civ., n. 4, che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto con tale domanda.”(cfr., ex multis, cass. civ. sentt. nn. 52 e 407 del 2006).

E’ opportuno, peraltro, puntualizzare che il D.P.C.M. 26 gennaio 1996 espressamente prevede all’art. 4, comma 3, lett. a), che: “Ai fini della determinazione della voce “Valore dei beni strumentali” va considerato: a) il costo storico, comprensivo degli oneri accessori di diretta imputazione e degli eventuali contributi di terzi, dei beni materiali ed immateriali, escluso l’avviamento, ammortizzabili ai sensi degli artt. 67 e 68 de testo unico delle imposte sui redditi, risultante dal registro dei beni ammortizzabili, al lordo dell’ammortamento e tenendo conto delle eventuali rivalutazioni a norma di legge”.

L’accoglimento del secondo motivo rende superfluo l’esame del terzo che può considerarsi assorbito.

Conclusivamente dichiarata assorbita ogni altra eventuale censura, va accolto il secondo motivo, respinto il primo e dichiarato assorbito il terzo e, cassata la sentenza impugnata che ha fatto riferimento ad una regola iuris diversa, la causa va rinviata per un nuovo esame alla luce dei principi sopraesposti ad altra sezione della C.T.R. della Puglia. La stessa C.T.R. provvederà anche 1 governo delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinge il primo, dichiara assorbito il terzo e, cassata la sentenza impugnata, rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della C.T.R. della Puglia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, il 7 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2010

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