Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1851 del 28/01/2010

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2010, (ud. 14/12/2009, dep. 28/01/2010), n.1851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9955/2005 proposto da:

M.F., P.A., elettivamente domiciliati in ROMA

VIA LEONE XIII 464, presso lo studio dell’avvocato OLIOSI SERGIO, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MONETTI Alfonso,

giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI NAPOLI in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA A. CATALANI 26, presso lo studio

dell’avvocato D’ANNIBALE ENRICO, rappresentato e difeso dall’avvocato

BARONE EDOARDO, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 99/2004 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 03/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

14/12/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

sentito il P.M., in persona del SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1) I coniugi M.F. e P.A. propongono ricorso per cassazione nei confronti del Comune di Napoli (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento Tarsu per gli anni 1996/2000, la C.T.R. Campania, previa riunione degli appelli proposti dai predetti coniugi avverso le sentenze di primo grado (con le quali la C.T.P. di Napoli aveva dichiarato che ciascuno di essi era tenuto al 50% per la Tarsu relativa ad immobile utilizzato da entrambi come studio legale), li rigettava, confermando la sentenze di primo grado e ponendo a carico degli appellanti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

In particolare, i giudici d’appello, rilevato che il M. aveva nel 2000 compilato e spedito questionario di denuncia di occupazione dell’immobile di mq 80 sito alla (OMISSIS) senza indicare la coobbligata e specificando la destinazione a studio legale dell’immobile, che altrettanto aveva fatto la P. e che a seguito di ciò sia il M. che la P. venivano iscritti nei ruoli per tale immobile in relazione agli anni 1996/2000, confermavano le sentenze di primo grado che, parzialmente modificando le impugnate cartelle, avevano posto la Tarsu concernente l’immobile de quo per il 50% a carico di ciascun coniuge, essendo risultato che entrambi lo utilizzavano come studio legale.

Nella sentenza impugnata si evidenziava altresì che il M. aveva, negli anni precedenti la redazione del questionario di cui sopra, pagato per un immobile adibito ad uso abitazione sito alla (OMISSIS) interno (OMISSIS) e che, essendo risultato che all’indirizzo indicato non esisteva alcun interno (OMISSIS), il Comune aveva provveduto al rimborso delle relative somme.

2. Col primo motivo, deducendo violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 72 e 73, ed omesso esame di punto decisivo della controversia, i ricorrenti rilevano che l’avviso di accertamento emesso sulla base della denuncia effettuata dal contribuente del 1993 (in relazione ad immobile sito alla (OMISSIS)) era divenuto definitivo e pertanto il rapporto del M. col Comune era ancorato a quell’accertamento, con la conseguenza che per poterne rimuovere gli effetti l’ente impositore avrebbe dovuto far ricorso ad un nuovo accertamento e solo all’esito della sua definitività procedere alla iscrizione per somme maggiori di quelle dovute in conseguenza del precedente accertamento.

Col secondo motivo, deducendo violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 70 e 71, ed omesso esame di punto decisivo della controversia, i ricorrenti rilevano che il M., con denuncia del (OMISSIS), aveva dichiarato di essersi trasferito a (OMISSIS) da (OMISSIS) e di abitare alla (OMISSIS), mentre il Comune riteneva, sulla base del questionario successivamente sottoscritto dal M., che lo stesso, per gli anni 1996/2000, in tale appartamento (precisamente localizzato, ancorchè indicato con numerazione errata) svolgesse la sua attività professionale, con la conseguenza che, a norma dell’art. 71 in epigrafe citato, avrebbe dovuto essere emesso un avviso di accertamento in rettifica, non potendo il Comune, equiparare la sottoscrizione del questionario ad una nuova denuncia e procedere ad una iscrizione nei ruoli retroattiva di cinque anni sulla base dei questionari sottoscritti dai ricorrenti, costellati di gravi errori, sia in riferimento alla superficie occupata da ciascuno dei coniugi sia in riferimento all’inizio dell’attività professionale, sia in riferimento alle stesse affermazioni del Comune, il quale aveva mostrato di ritenere, con l’iscrizione nei ruoli e l’emissione della relativa cartella, che i coniugi M.- P. abitavano in un appartamento inesistente laddove essi non avrebbero potuto abitare altro che nell’appartamento di cui disponevano, anche in riferimento alla precedente denuncia presentata dal M. nel 1993 – inoppugnabile in seguito ad avviso di accertamento divenuto definitivo-, con la conseguenza che, essendo l’iscrizione nei ruoli intervenuta sulla base di notizie almeno in parte non rispondenti al vero, era da ritenersi illegittima.

Col terzo motivo, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 12 del Regolamento Tarsu approvato dal Consiglio comunale di Napoli con Delib. 27 giugno 1994, n. 251, i ricorrenti rilevano che, a norma della disposizione regolamentare di cui in epigrafe, ritenendo la sottoscrizione dei questionari nel 2000 da parte del contribuente come denuncia di variazione di quella precedente del 1993, essa aveva effetto dal primo giorno del bimestre successivo al 9-10-2000, data di sottoscrizione del questionario.

Col quarto motivo, deducendo violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 71, 72 e 76, dell’art. 2043 c.c. nonchè L. n. 212 del 2000, art. 8, oltre che vizio di motivazione, i ricorrenti rilevano che, avendo accertato che negli anni in questione era stata pagata la Tarsu per l’immobile de quo, benchè individuandolo per errore con un numero di interno rivelatosi inesistente e indicando l’uso abitativo anzichè quello promiscuo (abitazione-studio), la sanzione andava applicata nella misura prevista per la denuncia infedele (meglio:

incompleta) e non per la denuncia omessa e che, avendo l’amministrazione riscosso la tassa per gli anni in questione e per quell’immobile, il contribuente avrebbe al più dovuto pagare una differenza, sulla quale soltanto (e non sull’intero) calcolare sanzioni e interessi.

Aggiungono i contribuenti che nella sentenza si parla di uno sgravio- rimborso che al contribuente non risulta e che sarebbe stato dichiarato da un incaricato della difesa del Comune senza alcuna valenza probatoria; i contribuenti evidenziano inoltre che nella specie difettavano i presupposti per uno sgravio-rimborso, ossia l’esistenza di un indebito oggettivo e soggettivo, atteso che il Comune era creditore delle somme versate a titolo di Tarsu per gli anni in questione e per l’immobile effettivamente occupato e che avrebbe dovuto pertanto ritenere estinto per parziale compensazione il proprio credito L. n. 212 del 2000, ex art. 8.

Col quinto motivo, deducendo violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, i ricorrenti rilevano che in caso di denuncia infedele o incompleta, a norma della disposizione citata, il Comune provvede ad emettere avviso di accertamento in rettifica di ufficio a pena di decadenza entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della denuncia stessa e che pertanto, dovendo ritenersi l’originaria denuncia prorogata tacitamente ogni anno, un eventuale avviso di accertamento poteva intervenire, risalendo l’iscrizione a ruolo al 2001, solamente con riferimento agli anni 1998/2000.

Tutti i cinque motivi sopra esposti sono infondati perchè basati sul presupposto che nella specie si sia avuta una denuncia con relativo pagamento per l’immobile de quo (anche se identificato con diverso interno), con la conseguenza che poteva configurarsi non una omessa denuncia bensì solo una denuncia infedele perchè non specificante che l’uso dell’immobile non era solo abitativo ma promiscuo.

Tale presupposto è erroneo. Considerata infatti la vastità del territorio comunale, la possibilità che alla medesima via, numero civico ed eventualmente scala, si trovino più unità immobiliari rispetto alle quali si pone il problema della debenza della Tarsu nonchè la non remota possibilità che una medesima persona nell’ambito del medesimo Comune possa, per lo stesso o per diverso titolo (proprietà, detenzione), essere tenuto a pagare la Tarsu in relazione ad una pluralità di immobili utilizzati per il medesimo o per diversi usi (eventualmente promiscui), è possibile ritenere che il contribuente abbia assolto (in tutto o in parte) al proprio obbligo in relazione ad un immobile solo nelle ipotesi in cui il pagamento effettuato riguardi un immobile i cui dati identificativi corrispondano perfettamente a quelli concernenti l’immobile per il quale la tassa è dovuta, senza che il pagamento della Tarsu per un immobile possa far ritenere assolto (in tutto o in parte) l’obbligo del contribuente in relazione ad un immobile diverso (in quanto individuabile sulla base di elementi identificativi – anche solo parzialmente – differenti), e ciò a prescindere dal fatto che l’immobile per il quale è intervenuto il pagamento si riveli poi inesistente sulla base degli elementi identificativi dichiarati, potendo l’inesistenza dell’immobile, e quindi la non debenza della tassa pagata per esso, eventualmente dare luogo ad un rimborso che, se non intervenuto spontaneamente, può essere richiesto dal contribuente.

E’ evidente pertanto che nella specie le due vicende (mancato pagamento della Tarsu per l’immobile effettivamente occupato ed erroneo pagamento per un immobile non occupato perchè inesistente) sono concettualmente diverse, anche se di fatto probabilmente collegate (nel senso che un errore del contribuente potrebbe averle determinate entrambe), non essendo l’amministrazione comunale tenuta a ricostruire l’elemento psicologico dei contribuenti, ma dovendo recepirne le dichiarazioni nonchè le imputazioni dei pagamenti effettuati, salvo restituire le somme risultanti non dovute.

E’ poi appena il caso di evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in materia tributaria la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, di riscossione e di rimborso ed ogni deduzione è regolata da specifiche, inderogabili norme di legge e che tale principio non può considerarsi superato per effetto della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 8, comma 1 (c.d. statuto dei diritti del contribuente), il quale, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall’anno d’imposta 2002 (v. Cass. n. 2262 del 2007).

Da quanto esposto vanno ovviamente tratte tutte le conseguenze in relazione all’ammontare di sanzioni e interessi, alla decadenza, all’emissione dell’avviso.

Col sesto motivo, deducendo violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 91 c.p.c., comma 1, artt. 342 e 343 c.p.c., nonchè D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 72 e 73, i ricorrenti sostengono che i giudici d’appello hanno confermato le decisioni di primo grado, poi condannando gli appellanti al pagamento anche delle spese del procedimento di primo grado (che in precedenza erano state compensate), benchè il Comune di Napoli, costituendosi e chiedendo la condanna alle spese dei due gradi, avesse proposto un appello incidentale palesemente inammissibile perchè sfornito di ogni motivazione e benchè in primo grado gli appellanti fossero risultati (parzialmente) vittoriosi.

La censura è fondata.

Dalla sentenza impugnata non risulta l’esistenza di un appello incidentale del Comune, risulta invece solo l’esistenza degli appelli dei contribuenti (riuniti in un unico procedimento) che sono stati rigettati, con conferma (esplicitata anche in dispositivo) delle sentenze impugnate.

Ne consegue che i giudici d’appello non potevano più porre in discussione il governo delle spese contenuto in sentenze confermate, ma dovevano limitarsi alla liquidazione delle spese del giudizio di appello.

I primi cinque motivi di ricorso devono essere pertanto rigettati e deve invece essere accolto il sesto; la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente alla parte in cui si è provveduto in ordine alle spese di primo grado con liquidazione complessiva concernente anche quelle d’appello, e rinviata ad altro giudice che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta i primi cinque motivi di ricorso e accoglie il sesto, cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio di legittimità a diversa sezione della C.T.R. Campania.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2010

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA