Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1851 del 21/01/2022

Cassazione civile sez. I, 21/01/2022, (ud. 24/09/2021, dep. 21/01/2022), n.1851

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35846/2018 proposto da:

V.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Campana Silvio giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.L., M.M., elettivamente domiciliati in Roma,

Piazza Augusto Imperatore n. 22, presso lo studio dell’avvocato

Pottino Guido, rappresentati e difesi dagli avvocati Franzoni

Massimo, Galgano Federico, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1865/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 10/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2021 dal cons. Dott. DI MARZIO MAURO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – V.A. ricorre per due mezzi, nei confronti di F.L. e M.M., contro la sentenza del 10 luglio 2018 con cui la Corte d’appello di Bologna, pronunciando in sede di rinvio a seguito di cassazione disposta con sentenza delle Sezioni Unite n. 26243 del 2014, ha respinto il suo appello avverso sentenza del Tribunale di Rimini di rigetto dell’impugnativa di un lodo arbitrale irrituale reso tra le parti, con condanna dello stesso V. alla restituzione, in favore di F.L. e M.M. dell’azienda alberghiera Hotel Alexandra Plaza, previo pagamento della somma di novecentocinquanta milioni di Lire.

In breve, e per quanto ancora rileva, ha ritenuto la Corte territoriale:

-) che dovesse essere ribadita l’affermazione già contenuta nella sentenza cassata, che aveva ritenuto la validità della clausola di arbitrato libero, in linea con l’allora vigente art. 808 c.p.c.;

-) che la pattuizione intercorsa tra le parti, attraverso due preliminari dell’8 febbraio 1996, non fosse simulata, ma fosse espressione di una effettiva volontà delle parti nell’adozione dello schema societario al fine di una successiva cessione, questa senz’altro vera e reale, della società rappresentativa dei beni;

-) che la precedente scrittura del gennaio 1996, pure essa intercorsa tra le parti, non era suscettibile di esecuzione specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c., per il suo carente contenuto e per la sua almeno parziale indeterminatezza e non completa intelligibilità.

2. – F.L. e M.M. resistono con controricorso.

Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

3. – Il ricorso contiene due motivi.

3.1. – Il primo mezzo denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., punto 3 e 5 in relazione agli artt. 2932 e 1362 e 1325 c.c. per errata e/o carente interpretazione della volontà dei contraenti”.

Si assume che la Corte d’appello si sarebbe limitata ad una lettura soltanto parziale dell’accordo del gennaio 1996, senza collegarlo alle successive pattuizioni adottate in febbraio: viceversa l’interpretazione dell’accordo del gennaio non poteva essere condotta separatamente dalla scrittura dell’8 febbraio successivo “sol che si consideri l’identità dei contraenti, delle obbligazioni reciprocamente assunte e dell’elemento causale, trasferimento della società insieme all’immobile, obbligazioni che vanno considerate nell’ottica dell’art. 1362 secondo il quale, nella interpretazione del contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole”. Secondo il ricorrente, “la lettera della scrittura del gennaio 1996 parla, esplicitamente, di “accordo per la compravendita dell’immobile denominato (OMISSIS) sito in (OMISSIS)” e contempla successivamente il prezzo di Lire 6.600.000 di cui 1.800.000 per il capannone in permuta, Lire 1.500.000 al compromesso, Lire 1.000.000 al 10.10.1996, Lire 2.300.00 al 30.12.1997. Si precisa poi che la società “passa al II pagamento”. Tale scrittura conteneva, pertanto, tutti gli elementi necessari e sufficienti per identificare, a norma dell’art. 1325 c.c. i requisiti del contratto di compravendita… Il riferimento contenuto nell’accordo iniziale del gennaio 1996, pur nella sua formulazione sintetica, interpretato alla luce dell’art. 1362 c.c. e quindi secondo l’intenzione dei contraenti, significa chiaramente sia la volontà di trasferire l’immobile albergo (OMISSIS), sia la costituzione di una società finalizzata allo scopo, come poi è effettivamente avvenuto mediante la stipula dei preliminari di vendita del febbraio successivo, l’uno relativo alla costituzione di una società e alla successiva vendita delle quote rappresentative del capitale, alle identiche condizioni di prezzo indicate nell’accordo del gennaio 1996… L’individuazione dei contenuti del contratto e della volontà dei contraenti deve essere fatta, congiuntamente, sia in riferimento alla scrittura del gennaio 1996 sia a quella integrativa dell’8 febbraio successivo”.

3.2. – Il secondo mezzo denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, 5 e art. 112 c.p.c. in relazione agli art. 1362 c.c. e L. n. 47 del 1985, art. 40. Errore di diritto sulla negoziabilità del capannone”.

Si tratta di un motivo ampiamente composito non soltanto perché richiama simultaneamente l’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 ma soprattutto perché tratta di profili eterogenei. Viene ripetuto che la sentenza impugnata “non fa alcun riferimento al nesso inscindibile che collega le due scritture del febbraio 1996 a quella precedente del gennaio, della quale costituiscono specificazione ed esecuzione, né contempla alcuna considerazione o verifica della fattispecie in relazione alla ricerca della effettiva volontà delle parti della conclusione degli accordi intercorsi”. Si afferma che “il lodo arbitrale non è frutto di una errata valutazione della realtà rappresentata in giudizio, ma di una falsa rappresentazione degli elementi di fatto sottoposti al giudizio del Collegio”, non essendosi considerato che per il capannone offerto in parziale permuta da esso V. “il Comune di Coriano aveva rilasciato la concessione edilizia in sanatoria a norma della L. n. 47 del 1985”, circostanza, questa, rilevante non solo ai fini della domanda di adempimento in forma specifica ex art. 2932 c.c., ma anche “in vista della qualificazione del comportamento contrattuale del V.”. La sentenza gravata, secondo il ricorrente, “nel rigettare i motivi di gravame di V., dà credito alle motivazioni dei precedenti Giudici nella considerazione dell’operato degli arbitri, secondo i quali l’inadempimento delle parti dovrà essere valutato, nella nuova fase di negoziazione secondo i principi di correttezza e buona fede, individuato dagli arbitri non della mancata consegna dei documenti nel termine prorogato ma “nella violazione dell’accordo di riservatezza e segretezza”. In sostanza, non era soltanto la mancata regolarità urbanistica del capannone offerto in permuta, regolarità certificata dal rilascio della concessione in sanatoria da parte del Comune di Coriano, ma i non meglio individuati accordi di contenuto ignoto ai giudicanti benché ritenuti essenziali ai fini del decidere. Sul punto occorre rilevare il totale difetto di motivazione da parte della Corte d’appello, nella individuazione e considerazione dei contenuti di tale accordo di riservatezza e segretezza, di cui a pagina 37, si dice: “il fatto è pacifico sicché sul punto non occorre dilungarsi””. Ancora si prosegue con l’osservazione che ” V.A. aveva formulato… una esplicita domanda… “Insiste per le reciproche restituzioni in caso di ritenuta impossibilità di pronuncia ex art. 2932″. La sentenza ora gravata, nulla ha disposto in merito a tale domanda, limitandosi a dichiarare il rigetto della domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. ma senza nulla disporre in ordine alle restituzioni ed erano collegate”, in particolare la domanda di restituzione della caparra confirmatoria della somma di 3.000.000.000 di Lire, somma erroneamente quantificata nel lodo arbitrale in Lire 950.000.000 anziché nella somma doppia come previsto dall’art. 1385 c.c..

4. – Il ricorso – pur tralasciando la tecnica di formulazione, giacché esso denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., norma che evidentemente il giudice d’appello non era in condizioni di violare – è inammissibile in ragione dell’inammissibilità di ciascuno dei due motivi spiegati.

4.1. – Il primo mezzo è inammissibile almeno sotto due aspetti.

Per un verso esso è inammissibile in quanto prospetta una lettura della vicenda sostanziale intercorsa tra le parti tutt’affatto nuova: ed invero il V. aveva sostenuto, nel corso del pregresso giudizio, non già che la pattuizione racchiusa nella scrittura del gennaio 1996 fosse da leggere in collegamento con quelle del successivo febbraio, bensì, al contrario, che queste ultime fossero simulate, e di qui nulle. Nel ricorso oggi in esame si sostiene invece, a quanto risulta per la prima volta, che le carenze della prima pattuizione, le quali hanno indotto la Corte d’appello ad affermare che essa non fosse suscettibile di esecuzione specifica, ai sensi dell’art. 2932 c.c., dovessero essere colmate dai successivi accordi ai quali si è fatto cenno. Prospettazione come si diceva nuova, e come tale inammissibile in questa sede. Non ha difatti bisogno di essere rammentato che nel giudizio di cassazione non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum ed implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito (Cass. 6 giugno 2018, n. 14477; Cass. 17 gennaio 2018, n. 907), indagini ed accertamenti di fatto evidentemente necessitati dalla questione della completezza della pattuizione posta a fondamento della domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c..

D’altronde, se la prospettazione detta nuova non fosse, poiché già sviluppata in precedenza, cosa che il Collegio non è in condizione di apprezzare, il motivo sarebbe comunque inammissibile per difetto di autosufficienza, visto che non viene spiegato quando essa sarebbe stata avanzata.

Per altro verso il motivo è inammissibile perché essenzialmente incentrato sull’addebito alla Corte d’appello di una violazione dell’art. 1362 c.c., addebito che, però, lungi dall’evidenziare lo specifico criterio ermeneutico che la sentenza impugnata avrebbe violato, altro non fa che prospettare una diversa lettura della pattuizione di cui si discute: ciò in violazione del ribadito principio secondo cui, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (tra le tante Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891; Cass. 14 luglio 2016, n. 14355).

4.2. – Il secondo mezzo è inammissibile.

Come si è già accennato, si tratta di un motivo che tocca aspetti diversi del giudizio, per lo più versati in fatto, senza che riesca ad intendersi il filo conduttore che li legherebbe.

Al di là del rilievo che, laddove si ripete che la Corte d’appello avrebbe mancato di interpretare le pattuizioni del gennaio e febbraio 1996 nel loro collegamento, la censura si infrange contro il già effettuato rilievo di novità della prospettazione, e che le considerazioni concernenti l’erroneità del lodo sono estranee a questo giudizio di legittimità, che non è rivolto contro il lodo, ma ha ad oggetto la sentenza d’appello, sta di fatto che il motivo è incomprensibile, e quindi inammissibile, per la combinata violazione dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6 il quale per un verso richiede che il ricorso contenga l’esposizione sommaria dei fatti di causa e, per altro verso, pone il c.d. principio, cui si è già in precedenza accennato, di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Difatti, della commerciabilità del capannone la sentenza impugnata si occupa non allo scopo di stabilire se il bene fosse o non fosse urbanisticamente regolare, e se ciò potesse riverberarsi sull’esito della lite, ma al solo fine di evidenziare che già il primo giudice di appello aveva verificato che “la questione… era stata espressamente esaminata dagli arbitri… sicché non ricorreva omessa pronuncia”, e che “una diversa valutazione della questione si sarebbe risolta in un inammissibile sindacato di merito sulla motivazione degli arbitri, del resto irrituali”: nulla è invece comprensibilmente detto, in ricorso, del rilievo che la commerciabilità (o non commerciabilità) del capannone avrebbe rivestito per i fini dello scrutinio della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto e di quelli della verifica della risoluzione per inadempimento, né si intende, se, come e quando fosse stata prodotta la non meglio identificata concessione in sanatoria da parte del Comune di Coriano.

Quanto alla violazione di un accordo di segretezza e riservatezza, poi, il ricorso è nuovamente del tutto incomprensibile, anche se letto (peraltro in violazione del principio secondo cui il ricorso deve contenere tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa: ex multissimis Cass. 28 dicembre 2017, n. 31082), in collegamento con la decisione qui impugnata. E cioè, la Corte non è in grado di intendere di cosa esattamente il ricorso sia discorrendo, quando menziona un accordo di segretezza e riservatezza, mentre la sentenza, a pagina 23, vi si riferisce semplicemente come ad un argomento svolto dalla precedente sentenza d’appello poi cassata.

Infine, non risponde al vero che la Corte territoriale non abbia provveduto sulla domanda di restituzione, mentre ha affermato che “la scrittura del gennaio 1996 non è suscettibile di esecuzione specifica, innanzitutto per il suo carente contenuto e per la sua almeno parziale indeterminatezza e non completa intelligibilità…; e in secondo luogo per il rigetto della domanda/eccezione di nullità del lodo. Conseguentemente non potranno essere disposta neppure le restituzione delle somme versate da V. in adempimento del lodo e in conseguenza della seconda sentenza del tribunale di Rimini”, rigettando dunque la domanda, sicché non può discorrersi di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

5. – Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2022

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