Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18504 del 21/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 21/09/2016, (ud. 27/04/2016, dep. 21/09/2016), n.18504

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5577-2015 proposto da:

BANCA MONTE dei PASCHI DI SIENA S.P.A., (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA AVENTINA 3/A, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO

CADULLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ORONZO

MAZZOTTA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.A., C.f. (OMISSIS);

– intimato –

Nonchè da:

B.A., C.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato In ROMA,

PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO PANZARANI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DAVIDE MILAN,

giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA AVENTINA 3/A, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO

CASULLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ORONZO

MAZZOTTA, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 818/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

derositata il 30/12/2014 r.g n. 107/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2g16 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato MAZZOTTA ORONZO;

udito l’Avvocato PANZARANI MASSIMO;

udito il P.M. in persona del Sosti Luto Procuratore Generale Dott.

FRESA Marop, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

assorbito ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza del 30 dicembre 2014, la Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha annullato il licenziamento intimato con lettera del 21 gennaio 2013 da Banca Monte dei Paschi di Siena Spa (di seguito BMPS) (incorporante Bancantonveneta) nei confronti di B.A. nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo, condannando la società a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro ed a corrispondergli una indennità pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori e contributi.

A fondamento dell’annullamento la Corte territoriale – in sintesi – ha argomentato come segue: nella comunicazione di apertura della procedura del 24 dicembre 2012 la Banca aveva indicato un numero complessivo di 40 esuberi, distinti fra due gruppi di lavoratori pensionabili e cioè un primo gruppo di 10 esuberi con pensionabilità al 31.12.2012 ed un secondo gruppo di 30 esuberi con pensionabilità tra 1’1.1.2013 ed il 31.12.2017; l’accordo sindacale del 28 dicembre 2012 – secondo la Corte – “si è limitato a confermare il numero complessivo di esuberi (pari a 40 unità) ed a precisare il carattere “prioritario” del personale eccedente appartenente al primo gruppo, senza procedere ad alcuna variazione circa il numero dei dipendenti appartenenti alle due categorie, ed anzi espressamente ribadendo anche per gli effetti di cui alla L. n. 92 del 2012 la congruità, specificità ed esaustività della comunicazione del 24.12.2012″; tale numero di 10 esuberi era da considerarsi vincolante per l’Azienda, in quanto proprio i requisiti della diversa pensionabilità avevano determinato l’individuazione in due distinti sottogruppi del personale eccedente; constatato che la Banca aveva poi proceduto al licenziamento di un numero di lavoratori pensionabili al (OMISSIS) pari a 15, compreso il B., per i giudici d’appello la scelta dei lavoratori oggetto del provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro non era stata operata “sulla base dei criteri indicati nella lettera di avvio della procedura, avendo viceversa riguardato un numero di lavoratori appartenenti al primo gruppo superiore a quello originario, ed appare quindi del tutto illegittima ed arbitraria”; pertanto, ritenuto non significativo che all’esito della procedura il numero dei dipendenti complessivamente licenziati, pari a 15, fosse stato comunque inferiore al numero di 40 previsto nella comunicazione iniziale, la Corte ha considerato illegittimo il recesso di un numero superiore di lavoratori pensionabili al (OMISSIS) rispetto a quanto dichiarato nella lettera di apertura della procedura “sotto il profilo della violazione dei criteri di scelta” ed ha applicato “la L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3, come novellato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 46” e, quindi, la cd. tutela reintegratoria “attenuata”.

La sentenza della Corte veneziana ha invece escluso, conformemente al primo giudice, sia la sussistenza di violazioni concernenti la comunicazione di avvio della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, sia la natura discriminatoria del licenziamento.

2.- Per la cassazione di tale sentenza BMPS ha proposto ricorso affidato ad un motivo. L’intimato ha resistito con controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato affidato a tre motivi. La Banca ha depositato controricorso all’impugnazione incidentale ed altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.- Con l’articolato motivo di ricorso principale si denuncia “vizio di violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, L. n. 88 del 1989, art. 54 artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Si rileva che nell’accordo sindacale del 28 dicembre 2012 si era ribadito quanto già stabilito nel precedente accordo del 19 dicembre a livello di complesso aziendale di gruppo, e cioè che dovessero essere licenziati innanzitutto tutti i lavoratori che avevano diritto a pensione alla data del 31 dicembre 2012 e solo successivamente si sarebbe dovuto procedere a verificare il numero di adesioni volontarie all’esodo per i lavoratori che avessero maturato tali requisiti entro il 2017; il giudice del reclamo avrebbe, invece, interpretato gli accordi nel senso della completa parificazione tra i due gruppi di lavoratori coinvolti nella procedura di riduzione del personale, violando così i canoni ermeneutici fissati dalla legge.

Si censura poi come erronea la valutazione attribuita alla Corte circa il significato che la comunicazione iniziale riveste all’interno della procedura di cui alla L. n. 223 del 1991, ridondando in violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 2 cit. Legge: si afferma infatti che il numero di lavoratori presumibilmente titolari del diritto a pensione entro il (OMISSIS) prospettato nella comunicazione iniziale, e cioè prima del confronto con le 00.SS., non è affatto vincolante ai fini della legittimità della procedura, perchè la comunicazione testimonia un progetto di riduzione del personale che viene sottoposto al vaglio dei sindacati.

Si ribadisce che la Banca ha rispettato il criterio di scelta individuato nell’accordo, anche rispetto al B. in possesso del requisito pensionistico, per cui in alcuna violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5 sarebbe incorsa; per prudenza difensiva si argomenta che la discrasia tra comunicazione iniziale e finale al massimo potrebbe costituire un vizio della prima e non certo della seconda, vizio comunque sanato dal raggiungimento dell’accordo sindacale, anche a mente della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 12.

In subordine si eccepisce che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ricondotto il vizio del licenziamento alla categoria dei vizi relativi alla violazione dei criteri di scelta, piuttosto dovendo ascriversi a quelli attinenti alla violazione della procedura, cui conseguirebbe una tutela indennitaria.

Il Collegio reputa il ricorso principale fondato nei imiti segnati dalla motivazione che segue.

La Corte territoriale ha considerato che il “numero di 10 esuberi contenuto nella lettera di apertura (della procedura) era vincolante per l’Azienda”; ha sostenuto che “la scelta dei lavoratori oggetto del provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro non è stata operata sulla base dei criteri indicati nella lettera di avvio della procedura, avendo viceversa riguardato un numero di lavoratori appartenenti al primo gruppo superiore a quello originario, ed appare quindi del tutto illegittima ed arbitraria”; ne ha derivato che “la comunicazione finale ex art. 4 comma 9, nell’individuare un numero di 15 lavoratori pensionabili entro il (OMISSIS) contrasta quindi con i criteri fissati nella lettera di avvio del 24.12.2012 che aveva limitato a 10 i lavoratori appartenenti al primo gruppo da licenziare, sicchè il licenziamento di un numero superiore di lavoratori pensionabili al (OMISSIS) rispetto a quanto dichiarato nella lettera di apertura della procedura comporta l’illegittimità dell’impugnato recesso sotto il profilo della violazione dei criteri di scelta previsti L. n. 223 del 1991, ex art. 5, comma 1”.

L’assunto non può essere condiviso.

La “comunicazione preventiva” di cui L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 2 come richiamato dall’art. 24, comma 1 cit. legge, esprime, per testuale disposizione normativa, una “intenzione” dell’impresa di procedere ad un licenziamento collettivo; la comunicazione deve avere i contenuti di cui all’art. 4, comma 3 e deve essere indirizzata ai soggetti indicati dai commi 4 e 5 cit. art.; essa è finalizzata a promuovere un “esame congiunto” tra impresa e organizzazioni sindacali “allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza di personale e le possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte” (L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 5).

Ove la consultazione sindacale dia esito negativo anche il direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione convoca le parti al fine di un ulteriore esame, “formulando proposte per la realizzazione di un accordo” (L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 6 e 7).

Raggiunto tale accordo o comunque esaurita la procedura “l’impresa ha facoltà di licenziare”, comunicando, tra l’altro, la “puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta” L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9.

Dunque l’intenzione unilateralmente manifestata dall’impresa è destinata a misurarsi nel confronto sindacale, anche con la mediazione pubblica, sicchè appare del tutto fisiologico che il numero degli esuberi dichiarati con la “comunicazione preventiva” possa essere non esattamente coincidente con quello cui effettivamente si giunge all’esito della procedura.

Tanto è letteralmente confermato, ove ce ne fosse bisogno, sia dall’art. 4, comma 10 in discorso, secondo cui, nel caso l’impresa rinunci a licenziare i lavoratori o ne collochi un numero inferiore a quello risultante dalla comunicazione di cui al comma 2, può procedere a recuperare le somme pagate in eccedenza rispetto a quella dovuta ai sensi dell’art. 5, comma 4, mediante conguaglio con i contributi dovuti all’INPS, sia dal successivo comma 11, secondo il quale gli accordi sindacali possono prevedere “il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti”, stabilendo deroghe all’art. 2103 c.c..

Anche per la giurisprudenza diventa irrilevante che, espletata la procedura, il numero dei licenziamenti attuati all’esito di eventuali accordi risulti addirittura inferiore a cinque (Cass. n. 24566 del 2011).

Consegue che una eventuale divergenza nel numero degli esuberi tra comunicazione preventiva e comunicazione finale L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9, non costituisce di per sè ragione di illegittimità della risoluzione del singolo rapporto individuale di lavoro, potendo essa rappresentare proprio il frutto della procedura prevista dalla legge.

Diversamente ragionando si giungerebbe alla non plausibile conclusione che la sola evenienza che all’esito della procedura si sia giunti a licenziare un numero di lavoratori inferiore a quello inizialmente programmato cagioni l’invalidità del singolo recesso: il che è accaduto nella specie laddove a fronte dei 40 esuberi indicati sono stati poi concretamente licenziati 15 dipendenti.

Vero è che possono sussistere “eventuali vizi della comunicazione di cui al alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 2 come risulta dal comma 12 cit. art., determinando l’inosservanza della procedura sanzionata dalla tutela indennitaria (L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3), ma tali vizi possono essere dovuti alla incompletezza od alla insufficienza dei contenuti imposti dall’art. 4, comma 3 ma non certo alla mera divergenza tra gli esuberi dichiarati ed il numero inferiore di lavoratori effettivamente licenziati.

Erra dunque la Corte territoriale quando ritiene “illegittima ed arbitraria” la “scelta” dei lavoratori licenziati per non essere “stata operata sulla base dei criteri indicati nella lettera di avvio della procedura”.

Nè a tal fine giova l’accordo sindacale del 28 dicembre 2012: dal tenore di esso, come riportato dalla stessa sentenza impugnata, risulta solo che i lavoratori che avessero maturato i requisiti pensionistici AGO entro il (OMISSIS) sarebbero cessati dal servizio “prioritariamente”, mentre per coloro che avessero maturato i requisiti pensionistici successivamente si sarebbe ricorso, in via prioritaria, “alla volontarietà” all’esodo e con ricorso al licenziamento solo nel caso in cui il numero di adesioni volontarie al Fondo di solidarietà fosse stato inferiore a quello dei 40 esuberi dichiarati; dunque in tale accordo, fermo il limite complessivo delle eccedenze di personale determinato in 40 unità, non risulta convenuto che non potesse procedersi al licenziamento di dipendenti, quali il B., pensionabili al (OMISSIS) in numero superiore a 10, anzi dovendo essi cessare “prioritariamente” dal servizio.

Inoltre la tutela reintegratoria disposta dalla Corte veneziana non potrebbe mai derivare dal fatto che – come ritenuto dalla Corte medesima – sia stato licenziato un numero differente di lavoratori “rispetto a quanto dichiarato nella lettera di apertura della procedura” per “violazione dei criteri di scelta previsti L. n. 223 del 1991, ex art. 5, comma 1”.

Non è la lettera di avvio della procedura che determina i criteri di scelta; anzi secondo questa Corte la comunicazione di inizio della procedura ex L. n. 223 del 1991 non deve contenere l’indicazione dei criteri in base ai quali il datore di lavoro procederà all’individuazione dei lavoratori da licenziare, atteso che tali criteri sono di fonte legale oppure contrattuale, ma non possono essere fissati unilateralmente dal datore di lavoro, sicchè legittimamente il datore di lavoro ne omette il riferimento, considerato anche che questi possono risultare diversi all’esito della procedura finalizzata tra l’altro proprio allo scopo di verificare la possibilità di determinare pattiziamente, con accordo sindacale, i criteri medesimi (Cass. n. 1649 del 1999; coni.: Cass. n. 2516 del 1999; Cass. n. 2638 del 1999; Cass. n. 2946 del 1999; Cass. n. 13727 del 2000).

Pertanto i criteri di scelta sono stabiliti dall’accordo sindacale o, sussidiariamente, dalla legge; solo la violazione dei criteri individuati da tali fonti può determinare l’illegittimità del recesso e non certo la divergenza rispetto ad eventuali criteri preannunciati nella comunicazione di apertura, ove non siano stati espressamente trasfusi nell’accordo sindacale o nella comunicazione L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9.

In definitiva il motivo deve essere accolto nei confini innanzi esposti, essendo la sentenza impugnata incorsa nel denunciato vizio di violazione di legge, avendo riscontrato nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame una ragione di illegittimità del licenziamento collettivo non prevista dalla L. n. 223 del 1991.

Resta assorbita ogni altra questione sollevata dal ricorso principale.

4.- L’accoglimento del ricorso principale impone l’esame dei motivi del ricorso incidentale condizionato proposto dal lavoratore.

Con il primo di essi si denuncia violazione e falsa applicazione di legge nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto infondate le doglianze dell’appellante B. “in ordine alle violazioni procedurali di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3”, citando a sostegno Cass. n. 8971 del 2014.

Si contesta l’assenza dell’imprescindibile nesso causale tra il progettato ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso nonchè la completa omissione della circostanza che, a solo un mese dai licenziamenti, Banca Antonveneta si sarebbe fusa per incorporazione con Monte dei Paschi di Siena.

Si sottolineano vizi e mancanze nella comunicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, che avrebbero impedito un effettivo controllo da parte delle organizzazioni sindacali, non sanabili neanche alla stregua della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 45.

Le censure non possono trovare accoglimento.

La comunicazione preventiva con cui il datore di lavoro avvia la procedura di licenziamento collettivo deve compiutamente adempiere l’obbligo di fornire le informazioni specificate dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, in maniera tale da consentire all’interlocutore sindacale di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione di personale, valutando anche la possibilità di misure alternative al programma di esubero (Cass. n. 13031 del 2002; Cass. n. 5770 del 2003; Cass. n. 15479 del 2007; Cass. n. 5034 del 2009).

Tuttavia compete al giudice del merito verificare – con accertamento di fatto non censurabile nel giudizio di legittimità ove assistito da idonea motivazione l’adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura (ex aliis, Cass. n. 15479 del 2007; Cass. n. 8971 del 2014; Cass. n. 7940 del 2015).

In particolare la comunicazione prevista dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, è in contrasto con l’obbligo normativo di trasparenza quando: a) i dati comunicati dal datore di lavoro siano incompleti o inesatti; b) la funzione sindacale di controllo e valutazione sia stata limitata; c) sussista un rapporto causale fra l’indicata carenza e la limitazione della funzione sindacale (Cass. n. 6225 del 2007; più di recente, Cass. n. 880 del 2013).

Poichè la sufficienza ed adeguatezza della comunicazione di avvio della procedura vanno valutate in primis in relazione alla finalità di corretta informazione delle organizzazioni sindacali, per la giurisprudenza di questa Corte, ancor prima della modifica normativa introdotta alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 12, il fatto che tale fine in concreto sia stato raggiunto mediante un accordo può essere certamente rilevante per valutare la “completezza” della previa comunicazione di cui all’art. 4, comma 3 (Cass. n. 9015 del 2003; più di recente Cass. n. 5582 del 2012). Non si tratta di “sanatoria” dei vizi della procedura, bensì di rilevanza del successivo accordo al fine di apprezzare l’adeguatezza della precedente comunicazione di avvio della procedura e di evitare una valutazione astratta e sbilanciata della sufficienza del contenuto della stessa. Se la parte sindacale è stata in grado di negoziare l’accordo in questione, è perchè ha avuto la comunicazione di avvio del procedimento di cui all’art. 4 cit.; è lo stesso accordo raggiunto che getta luce – retrospettivamente – sul contenuto, e quindi sulla sufficienza, della iniziale comunicazione di avvio della procedura. Ciò non toglie però che, pur a fronte di tale raggiunta intesa tra le parti, il Giudice dell’impugnazione del licenziamento collettivo o del collocamento in mobilità debba comunque verificare – con valutazione di merito a lui devoluta l’adeguatezza dell’originaria comunicazione di avvio della procedura, non potendo escludersi che questa possa risultare non di meno insufficiente ove il sindacato in realtà non sia stato posto in condizione di partecipare alla trattativa con piena consapevolezza di ogni rilevante dato fattuale per l’obiettiva insufficienza o reticenza di tale iniziale comunicazione e che quindi la trattativa sindacale, pur sfociata nell’accordo, abbia sofferto di un originario “deficit” informativo che ridonderebbe anche in lesione di quell’esigenza di oggettiva trasparenza del processo decisionale del datore di lavoro. In altre parole un’iniziale comunicazione di avvio della procedura, che sia in ipotesi assolutamente generica e vuota di contenuto, non è, per così dire, “sanata” ex se dal successivo accordo sindacale perchè risulterebbe del tutto frustrata l’esigenza di trasparenza del processo decisionale datoriale alla quale sono interessati i lavoratori potenzialmente destinati ad essere estromessi dall’azienda; ma il raggiungimento dell’accordo sindacale all’esito del confronto prescritto dall’art. 4 cit. consente di norma una valutazione sostanziale della sufficienza ed adeguatezza della comunicazione di apertura, disancorata da un rigido ed astratto formalismo secondo un apprezzamento che è pur sempre riservato al giudice di merito.

Pertanto la valutazione di merito circa l’adeguatezza della comunicazione preventiva L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 3, congruamente espressa dalla Corte di Appello veneziana, anche con riferimento alla circostanza del raggiungimento dell’accordo sindacale, non è meritevole delle censure che le sono mosse in quanto si travalicherebbero i limiti imposti ad ogni accertamento di fatto dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come interpretato da Cass. SS.UU. n. 8054 del 2014, cui è riconducibile nella sostanza il vizio prospettato, nonostante la formale denuncia di violazione e falsa applicazione di legge.

Nel motivo in esame si impugna altresì “la sentenza nella parte in cui rigetta le ulteriori violazioni dei criteri di scelta lamentati dal Sig. B., alla luce del combinato disposto di cui alla L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5”.

Si sostiene che la Corte di Appello avrebbe “rigettato le diverse contestazioni del Sig. B. in merito alla violazione dei criteri di scelta successiva all’accordo sindacale del 28.12.2012 in particolare non sono state condivise le ulteriori gravi mancanze e incongruenze della lettera di chiusura della procedura, L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9, nonchè il mancato rispetto dei criteri di scelta di cui all’art. 5”, come elencati nel corpo del motivo medesimo.

In realtà nella sentenza impugnata non si riscontra alcuna motivazione su tali questioni da cui evincere che le stesse siano state esaminate e respinte con argomentazioni che rendano possibile il sindacato su di esse da parte di questa Corte, per cui la doglianza è inammissibile in quanto avrebbe dovuto essere eventualmente proposta nelle forme e con i limiti propri dell’error in procedendo per omessa pronuncia su motivi di appello.

5.- Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 4; L. n. 300 del 1970, art. 15; L. n. 108 del 1990, art. 3; L. n. 135 del 1990, art. 5; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 43; D.Lgs. n. 215 del 2003; D.Lgs. n. 216 del 2003 nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso “l’esistenza di un intento discriminatorio da parte della società datrice di lavoro”. Si sostiene – in sintesi che l’utilizzo del dato pensionistico quale criterio di scelta è di per sè discriminatorio in quanto si fonda sull’età dei soggetti e che comunque l’utilizzazione di numerose eccezioni non aveva consentito una applicazione oggettiva e priva di discrezionalità da parte del datore di lavoro.

Il motivo è infondato per le ragioni sovente espresse da questa Corte secondo cui, in tema di licenziamenti collettivi diretti a ridimensionare l’organico al fine di diminuire il costo del lavoro, il criterio di scelta unico della possibilità di accedere al pensionamento, adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali, applicabile a tutti i dipendenti dell’impresa a prescindere dal settore al quale gli stessi siano assegnati, è da ritenere legittimo (da ultimo v. Cass. n. 19547 del 2015, cui si rinvia integralmente – nel rispetto della doverosa sintesi imposta dall’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., come da ultimo evidenziato da Cass. n. 11868 del 2016 – che ha anche valorizzato, nella prospettiva del diritto dell’Unione, il ruolo del sindacato nella ricerca di criteri che minimizzino il costo sociale della riorganizzazione produttiva, a vantaggio dei lavoratori che non godono neppure della minima protezione della prossimità al trattamento pensionistico).

6.- Con il terzo motivo si lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Innanzitutto si rammenta che sin dal ricorso introduttivo il B. aveva evidenziato che all’interno della Banca erano rimasti altri lavoratori aventi i requisiti pensionistici al (OMISSIS) e la convenuta non aveva mai contestato tale circostanza per cui la stessa doveva ritenersi provata. Si lamenta che anche la Corte di Appello avrebbe trascurato tale fatto decisivo che avrebbe comportato inevitabilmente una violazione dei criteri di scelta e quindi l’applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3. Inoltre nel medesimo ricorso introduttivo si era evidenziato che la Banca non aveva mai comunicato durante la procedura l’imminente fusione tra Antonveneta e BMPS e tale circostanza confermava ulteriormente la violazione della procedura di mobilità per avere il datore di lavoro omesso di comunicare un fatto la cui conoscenza da parte delle associazioni sindacali “avrebbe potuto certamente modificare i termini dell’accordo sindacale del 28.12.2012”.

Con la doglianza esplicitamente si denuncia un vizio che per le sentenze pubblicate, come nella specie, dal trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della L. n. 134 del 2012 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. n. 83 del 2012, è censurabile in sede di legittimità solo nella ipotesi di “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”.

Ma detto vizio non può essere denunciato per i giudizi di appello instaurati successivamente alla data sopra indicata (richiamato D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2) – come nella specie reclamo depositato il 26 febbraio 2014 – con ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter c.p.c., u.c.). Ossia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme (v. Cass. n. 23021 del 2014). Peraltro è stato anche affermato che nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 2014).

La disposizione è applicabile anche al reclamo disciplinato dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, commi da 58 a 60 che ha natura sostanziale di appello, dalla quale consegue la applicabilità della disciplina generale dettata per le impugnazioni dal codice di rito, se non espressamente derogata (in tal senso Cass. n. 23021 del 2014; conforme: Cass. n. 4223 del 2016).

Ne deriva già per questo verso la preclusione al sindacato di questa Corte, invocato dal mezzo di gravame in esame, avverso quella parte della sentenza impugnata che, avendo solo parzialmente accolto il reclamo del lavoratore, per il resto ha confermato la pronuncia di primo grado.

Inoltre il motivo, pur denunciando il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con mod. nella L. n. 134 del 2012, risulta irrispettoso degli enunciati di cui all’interpretazione offerta alla disposizione processuale da Cass. SS.UU. n. 8054 del 2014, per cui, anche per questo ulteriore verso, non può trovare accoglimento.

7.- Conclusivamente, accolto il ricorso principale e respinto quello incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo che si atterrà a quanto statuito provvedendo a nuovo esame nonchè alla regolazione delle spese.

Poichè il ricorso incidentale risulta nella specie proposto in data 10 aprile 2015 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale nei limiti di cui in motivazione, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese, alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2016

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