Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18503 del 10/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 10/08/2010, (ud. 28/05/2010, dep. 10/08/2010), n.18503

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Antonio – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DI BASSANO DEL GRAPPA in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE PARIOLI 43, presso lo studio

dell’avvocato D’AYALA VALVA FRANCESCO, che lo rappresenta e difende

con procura speciale notarile del Not. Dr. ALESSANDRO TODESCAN in

BASSANO DEL GRAPPA, rep. n. 182655 del 28/02/2007;

– ricorrente –

contro

FUSINA UNO DI BONATO GIANCARLO & C. SAS;

– intimato –

sul ricorso 13244-2007 proposto da:

FUSINA UNO SAS I BONATO GIANCARLO & C. in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

MONTI PARIOLI 48, presso lo studio dell’avvocato MARINI GIUSEPPE, che

lo rappresenta e difende, giusta delega a margine;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

COMUNE DI BASSANO DEL GRAPPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 44/2006 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 15/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/05/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato D’AYALA VALVA, che si riporta alla

memoria e al ricorso depositato;

udito per il resistente l’Avvocato MARINI, che si riporta al

controricorso e alla memoria e chiede il rigetto del ricorso

principale;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, accoglimento controricorso per il quarto motivo

(inammissibilità primo, terzo e quinto), assorbiti settimo e ottavo

motivo.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Il Comune di Bassano del Grappa propone ricorso per cassazione (successivamente illustrato da memoria) nei confronti della società Fusina Uno s.a.s. di Bonato Giancarlo & C. (che resiste con controricorso, anch’esso illustrato da memoria, proponendo altresì ricorso incidentale) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avvisi di accertamento ICI per gli anni 1999/2001, la C.T.R. Veneto confermava la sentenza di primo grado che, accogliendo solo parzialmente il ricorso introduttivo, dichiarava non dovute le sanzioni per gli anni successivi al primo.

In particolare, i giudici d’appello affermavano, per quel che in questa sede ancora rileva: che non può considerarsi nulla una notifica che ha raggiunto il proprio scopo permettendo al destinatario di identificare l’Ufficio di provenienza, il notificante e l’atto notificato; che dall’iter logico-temporale dei provvedimenti legislativi succedutisi nel tempo emerge chiaramente la volontà del legislatore di mantenere la competenza della Giunta Comunale in relazione alla determinazione dell’aliquota ICI; che; la mancata allegazione del provvedimento richiamato nell’accertamento non ha sminuito nè intaccato il diritto di difesa della società; che la sanzione per omessa denuncia dell’immobile sottoposto ad ICI è funzionale all’esigenza che il Comune acquisisca gli elementi e i dati essenziali per quantificare il tributo, dovendo il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, interpretarsi nel senso che l’espressione “autonoma obbligazione tributaria” si riferisce all’imposta dovuta annualmente mentre l’obbligo della denuncia è pur sempre previsto una sola volta; che l’espressa dichiarazione “non posseduto” in relazione ad un immobile che invece si possiede non è configurabile come semplice dimenticanza, ma, valutata unitamente al comportamento precedente e successivo del dichiarante, rivela la volontà di non dichiarare l’immobile; infine che l’irrogazione delle sanzioni è stata contestuale all’accertamento dell’imposta evasa, rendendo così inequivocabile la sua origine e i motivi che la giustificavano.

2. Deve innanzitutto essere disposta la riunione dei due ricorsi siccome proposti avverso la medesima sentenza.

Col primo motivo del ricorso principale, deducendo violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 404 del 1992, art. 10, commi 1 e 4, nonchè art. 11, comma 2, in relazione al sistema sanzionatorio ex L. n. 472 del 1997, il ricorrente rileva che il principio dell’autonomia dell’obbligazione tributaria comporta che ogni anno fiscale mantiene la propria autonomia nel senso che l’azione accertatrice dell’amministrazione è autonoma anno per anno sia in relazione ai presupposti che alle conseguenze impositive e sanzionatorie dell’attività del contribuente, dovendo perciò ritenersi che abbiano errato i giudici d’appello nell’affermare che la sanzione per omessa dichiarazione ICI sia dovuta solo per il primo anno e non per gli anni successivi nel corso dei quali si protragga l’omissione.

Col secondo motivo, deducendo violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4, in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1, il ricorrente rileva che a carico dei soggetti passivi è posto l’obbligo di denunciare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato e che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici d’appello, la condotta attiva soddisfa l’obbligo una sola volta, salvo l’intervento di modifiche, mentre, finchè il contribuente non faccia la dichiarazione prescritta, reitera, rispetto a ciascun anno di imposta, la condotta omissiva sanzionata.

I due motivi che precedono, da esaminare congiuntamente perchè logicamente connessi, sono fondati alla luce della giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene) secondo la quale l’obbligo, posto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 10, comma 4, di denunciare il possesso ovvero di dichiarare le variazioni degli immobili dichiarati incidenti sulla determinazione dell’imposta, non cessa allo scadere del termine fissato dal legislatore con riferimento all'”inizio” del possesso (e per gli immobili posseduti al primo gennaio 1993, con la scadenza del “termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 1992”), ma permane finchè la dichiarazione (o la denuncia di variazione) non sia presentata, e l’inosservanza determina, per ciascun anno di imposta, un’autonoma violazione punibile ai sensi dell’art. 14, comma 1, del citato decreto (v. cass. n. 932 del 2009 e n. 8849 del 2010).

Col terzo motivo, deducendo vizi di motivazione, la ricorrente sostiene che la motivazione della sentenza impugnata risulta illogica, omessa e insufficiente nella parte in cui i giudici d’appello hanno affermato che l’obbligo della denuncia è pur sempre previsto una sola volta, da ciò deducendo la correttezza dell’irrogazione della sanzione per un solo anno, con evidente gap logico per mancanza di analisi del passaggio dal contenuto dell’obbligo ai contenuto della violazione sanzionata. Il dedotto vizio di motivazione non riguarda l’accertamento in fatto bensì la motivazione in diritto della sentenza impugnata e deve pertanto ritenersi assorbito alla luce di quanto sopra esposto in relazione ai due motivi che precedono, nei quali la medesima problematica risulta affrontata denunciando, più correttamente, il vizio di violazione di legge.

3. Col primo motivo del ricorso incidentale si deduce omessa pronuncia per avere i giudici d’appello omesso di pronunciarsi sulla richiesta declaratoria di inesistenza degli avvisi opposti per inesistenza delle relative notifiche, limitandosi a rilevare che nella specie le notifiche avevano raggiunto il proprio scopo.

La censura è infondata. Nella specie non è configurabile alcuna omissione di pronuncia, posto che i giudici d’appello si sono pronunciati sulla questione concernente la dedotta patologia della notifica e, affermando la validità di essa per raggiungimento dello scopo, hanno indirettamente ma chiaramente escluso che detta notifica potesse ritenersi inesistente: la statuizione dei giudici d’appello (di validità della notificazione per raggiungimento dello scopo, con esclusione implicita della dedotta inesistenza) può essere pertanto censurata in questa sede eventualmente per violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, ovvero, ricorrendone i presupposti, per vizio di motivazione (con adeguata proposizione di idoneo e conferente quesito ovvero chiara indicazione del fatto controverso, come previsto rispettivamente dalla prima e dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c.), ma non per errar in procedendo, con conseguente incongruità del quesito di diritto formulato in relazione a tale vizio.

Col secondo motivo la ricorrente deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla dedotta inesistenza degli avvisi per inesistenza della relativa notifica. La censura è inammissibile perchè carente della chiara indicazione prevista dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., a norma del quale è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare nella esposizione chiara e sintetica del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume viziata.

In proposito, occorre rilevare che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, così come ai sensi della seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., per “fatto” controverso deve intendersi non un “punto”, o una “questione”, bensì un fatto in senso tecnico, ossia, ai sensi dell’art. 2697 c.c., un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo. Nella specie la ricorrente ha individuato come “fatto controverso” l’inesistenza della notificazione degli avvisi opposti, tuttavia l’inesistenza di un atto (della quale peraltro non vi è traccia nella disciplina codicistica e il cui riconoscimento incontra molte resistenze anche in gran parte della dottrina) non è un fatto (nè naturalistico nè processuale) bensì un istituto giuridico la cui (discussa) configurabilità dipende dalla valutazione ad opera dell’interprete, di una serie di “fatti” (ad es.: notificazione eseguita da soggetto diverso dall’ufficiale giudiziario, mancanza della relata, notificazione eseguita presso un indirizzo privo di ogni collegamento col destinatario ecc.).

Col terzo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione degli artt. 149 c.p.c., L. n. 890 del 1982, art. 3 e D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, la ricorrente rileva che gli avvisi opposti sono stati notificati a mezzo posta ma la notifica sarebbe inesistente perchè:

la relata non risulta compilata secondo il modello legale; la mancanza della relata impedisce l’individuazione dell’agente notificatore; la busta contenente gli atti impositivi, oltre a non essere conforme al modello legale previsto dalla L. n. 890 del 1982, art. 2, non riporta il numero di cronologico del messo notificatore e la firma di quest’ultimo; gli avvisi di accertamento ICI per gli anni 1999, 2000 e 2001 sono stati notificati nella medesima busta e con un’unica raccomandata.

La censura è infondata. In proposito, premesso che, come sopra rilevato, l’istituto dell’inesistenza è tuttora molto discusso in dottrina e giurisprudenza sia con riguardo alla disciplina degli atti processuali che con riguardo alla patologia negoziale e provvedimentale, occorre rilevare che nella specie le ragioni addotte a sostegno della asserita inesistenza delle notificazioni in questione hanno carattere formale e sono tali da comportare l’irregolarità o, al più, la nullità (sanabile in caso di raggiungimento dello scopo) delle suddette notificazioni.

Giova infatti rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in tema di notificazione a mezzo del servizio postale, costituendo la relata di notifica momento fondamentale del procedimento notificatorio, sia ai sensi del codice di rito che delle norme speciali del processo tributario, la mancata apposizione della stessa sull’originale o sulla copia consegnata al destinatario, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 3, non comporta l’irregolarità – come pure affermato in alcune pronunce – ma la nullità della notificazione, con conseguente sanabilità (v. tra le altre cass. n. 9377 del 2009).

Peraltro, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha più volte avuto modo di chiarire che la notificazione può ritenersi inesistente solo quando manchi del tutto ovvero sia stata effettuata in un luogo o con riguardo a persona che non abbiano alcun riferimento con il destinatario della notificazione stessa, risultando a costui del tutto estranea, mentre è affetta da nullità (sanabile con effetto “ex tunc”) quando, pur eseguita mediante consegna a persona o in luogo diversi da quello stabilito dalla legge, un collegamento risulti tuttavia ravvisabile, così da rendere possibile che l’atto, pervenuto a persona non del tutto estranea al processo, giunga a conoscenza del destinatario (v. tra le altre da ultimo cass. n. 25350 del 2009 e n. 621 del 2007).

Col quarto motivo, deducendo violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1991, art. 6, comma 1, come modificato dalla L. n. 662 del 1996, mancata applicazione delle Delib. di giunta n. 401 del 1998 e Delib. n. 514 del 1999, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 e conseguente illegittimità degli avvisi relativi al 1999 e 2000 per incompetenza della giunta comunale alla deliberazione delle aliquote, la ricorrente rileva che il D.Lgs. 504 del 1992, art. 6 nella versione applicabile ratione temporis fine all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 267 del 2000, innovando la precedente formulazione, attribuiva al Comune (non alla giunta) il compito di deliberare le aliquote ICI, dovendosi intendere per Comune il consiglio comunale, posto che la L. n. 142 del 1990, art. 32, comma 2, attribuisce al consiglio comunale i compiti di istituzione e ordinamento dei tributi nonchè compiti di disciplina generale delle tariffe per la fruizione di beni e servizi.

La censura è fondata.

In proposito, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene) ha avuto ripetutamente modo di affermare che la competenza a determinare l’aliquota Ici è appartenuta alla giunta comunale, alla quale era stata originariamente attribuita dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 6, comma 1, (con efficacia derogatoria del criterio stabilito dalla L. 8 agosto 1990, n. 142, il cui art. 32 demandava alla competenza esclusiva del consiglio comunale l’istituzione e l’ordinamento dei tributi), fino alla sostituzione di tale norma operata, con decorrenza dal 1^ gennaio 1997, dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 53, (che ha eliminato tale deroga), ed è stata poi alla giunta nuovamente assegnata dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, in forza del carattere generale della previsione contenuta nell’art. 48 e dell’assenza di un’espressa riserva in favore del consiglio comunale, dovendo perciò ritenersi che la competenza in esame sia spettata al consiglio comunale a partire dal 1^ gennaio 1997 e fino all’entrata in vigore del citato D.Lgs. n. 267 del 2000 (v. tra le altre cass. n. 12345 del 2005 e n. 6603 del 2008).

Da quanto esposto consegue che nella specie i giudici d’appello avrebbero dovuto rilevare l’illegittimità degli avvisi di accertamento relativi al 1999 e al 2000 per incompetenza della giunta comunale alla determinazione delle aliquote Ici ivi applicate.

Col quinto motivo la ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale ex art. 76 Cost. del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 42, comma 2 lett. f) posto che tale norma, attribuendo alla giunta la competenza alla determinazione delle aliquote già attribuita al consiglio comunale, introduce una disposizione innovativa che travalica i limiti imposti dalla delega di mero coordinamento contenuta nella L. n. 265 del 1999, art. 31, con conseguente violazione dell’art. 76 Cost..

La proposta questione di legittimità costituzionale è manifestamente infondata.

Deve infatti escludersi che nell’attribuì re alla giunta la competenza alla determinazione delle aliquote Ici il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 42, abbia valicato i limiti della delega di mero coordinamento contenuta nella L. n. 265 del 1999, posto che la Corte costituzionale, pronunciandosi proprio con riferimento al D.Lgs. n. 267 del 2000 (sia pure con riferimento ad altre norme) ha avuto modo di chiarire che il concetto di coordinamento, inteso in senso non meramente formale, comprende anche l’adeguamento della disciplina al nuovo quadro complessivo derivato dal sovrapporsi nel tempo di norme dettate in vista di situazioni e assetti diversi, nonchè l’eliminazione dai testi legislativi di norme la cui ratio originaria non trova più rispondenza nell’ordinamento, e che quindi non appaiono più riconducibili, quanto meno nella loro portata originaria, all’assetto in vigore (v. C.Cost. n. 223 del 2003).

Col sesto motivo, deducendo violazione o falsa applicazione degli L. n. 212 del 2000, art. 7 e D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, la ricorrente si duole che i giudici d’appello non abbiano tratto le dovute conseguenze dalla circostanza che agli avvisi opposti non erano stati allegati gli atti ai quali si era fatto riferimento nella motivazione dei medesimi. La censura è in parte infondata e in parte inammissibile per inidoneità del relativo quesito di diritto che, non essendo adeguatamente circostanziato, non consente a questo giudice di formulare in risposta un principio di diritto idoneo a definire la questione controversa.

Giova infatti innanzitutto evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), l’obbligo di allegazione all’atto impositivo, o di riproduzione al suo interno, di ogni altro atto dal primo richiamato, previsto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, avendo la funzione di rendere comprensibili le ragioni della decisione, riguarda i soli atti necessari per sostenere quelle ragioni intese in senso ampio e, quindi, non limitate a quelle puramente giuridiche ma comprensive anche dei presupposti di fatto, con la conseguenza che sono esclusi dall’obbligo dell’allegazione gli atti che si rivelano irrilevanti per il raggiungimento della detta funzione e gli atti (in specie quelli a contenuto normativo, anche secondario quali le delibere o i regolamenti comunali) giuridicamente noti per effetto ed in conseguenza dell’avvenuto espletamento delle formalità di legge relative alla loro pubblicazione (v. cass. n. 25371 del 2008).

Inoltre, sempre secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, in relazione alla motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3,: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e solo perchè ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto che ad essi si richiama, con la conseguenza che, in caso di impugnazione dell’atto per violazione, sotto tale profilo, della L. n. 212 del 2000, art. 7, non è sufficiente che (come nella specie) il contribuente alleghi e dimostri che nell’atto impositivo si è fatto riferimento ad altri atti senza che gli stessi fossero ad esso allegati, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti era necessaria ad integrare la motivazione dell’atto impositivo e non risultava comunque in esso riportata (v. cass. n. 26683 del 2009).

Col settimo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 1, la ricorrente sostiene che la mancata dichiarazione di una unità immobiliare non era configurabile come omissione della dichiarazione ICI bensì solo come dichiarazione incompleta o infedele; posto che una dichiarazione era stata presentata, ma, in presenza di una pluralità di immobili posseduti, era sfuggita la dichiarazione relativamente ad una soia unità immobiliare.

La censura è infondata. L’obbligo di dichiarazione è configurabile in relazione a ciascun immobile posseduto, e, in caso di inottemperanza, è configurabile l’omessa dichiarazione, senza che in contrario rilevi la circostanza che il non-dichiarante sia possessore di altri immobili rispetto ai quali abbia assolto il proprio obbligo di dichiarazione.

In proposito, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha avuto modo di evidenziare che, in relazione all’imposta comunale sugli immobili, l’omessa indicazione, nella dichiarazione (come nella denunzia di variazione) di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 10, comma 4, anche di un solo cespite immobiliare soggetto ad autonoma imposizione costituisce omessa dichiarazione (o denunzia) dello stesso cespite ed è punibile, ai sensi del citato D.Lgs., art. 14, comma 1, a titolo di “omessa presentazione della dichiarazione o denuncia” e non, ai sensi del comma 2 della stessa norma, quale “dichiarazione o denuncia … infedeli”, non essendo la dichiarazione ICI diretta a determinare il complessivo coacervo patrimoniale, unitariamente considerato a fini di una unica soggezione ad imposizione fiscale ed essendo equiparata, a livello sanzionatorio, la fattispecie di “omessa denunzia” a quella di “omessa dichiarazione” delle sopravvenute “modificazioni dei dati ed elementi dichiarati” (v. cass. n. 932 del 2009).

Con l’ottavo motivo, deducendo violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 16 e 17, la ricorrente si duole che i giudici d’appello non abbiano attribuito alcun rilievo alla circostanza che l’amministrazione, in violazione delle norme sopra esposte, non aveva indicato nell’atto di contestazione le norme applicate nell’irrogazione delle sanzioni tributarie.

La censura è infondata.

Dalla sentenza non emerge che la questione fu posta in primo grado e neppure la ricorrente lo sostiene, affermando invece di averla proposta nell’atto di costituzione in appello. Trattatasi pertanto di questione nuova che, come tale, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, non poteva essere proposta per la prima volta in appello, onde correttamente i giudici d’appello non si sono pronunciati su di essa, con decisione conforme a diritto, sia pure non assistita da esplicita motivazione, che deve perciò intendersi integrata nei termini sopra esposti.

Col nono motivo, deducendo omessa pronuncia e violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, la ricorrente afferma che, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso principale nella parte in cui sostiene l’applicabilità della sanzione per ciascun anno di imposta, dovrebbe applicarsi il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 5, relativo al concorso di violazioni commesse in periodi di imposta diversi.

La censura è inammissibile come tale, in quanto non colpisce alcuna corrispondente statuizione della sentenza impugnata ma esprime una sollecitazione rivolta al giudice che, in ipotesi di cassazione della sentenza impugnata per fondatezza del ricorso principale, debba pronunciarsi nel merito, e può perciò essere fatta valere o resistendo al ricorso principale (per l’ipotesi in cui il giudice di legittimità ritenga di pronunziarsi nel merito) ovvero dinanzi al giudice di rinvio.

Alla luce di quanto esposto, il primo e il secondo motivo del ricorso principale devono essere accolti, con assorbimento del terzo, e deve essere altresì accolto il quanto motivo del ricorso incidentale, con rigetto degli altri. La sentenza impugnala deve essere pertanto cassata in relazione ai motivi accolti. Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, dichiarando dovuta l’imposta Ici richiesta e le relative sanzioni esclusivamente in relazione all’anno 2001. Essendovi riconoscimento esclusivamente in relazione ad un anno di imposta, non vi è modo di esaminare la sollecitazione (impropriamente esposta nel nono motivo del ricorso incidentale) all’applicazione della disposizione sul concorso di violazioni. Alla luce dello sviluppo processuale e dell’esito della controversia, si dispone la compensazione tra le parti delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il terzo, accoglie il quarto motivo del ricorso incidentale, rigettati gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e decidendo nel merito dichiara dovuta l’imposta Ici e le relative sanzioni esclusivamente in relazione all’anno 2001. Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2010

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