Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18501 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. II, 04/09/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 04/09/2020), n.18501

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19872/2016 proposto da:

P.P., e P.R., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA SAVOIA n. 31 INT. , presso lo studio dell’avvocato

GIOVANNINO GUAGLIANONE, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GIUSEPPE ANTONIO MORERO;

– ricorrenti –

contro

M.O., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO FRANCIA n. 158,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BELCASTRO, rappresentata e

difesa dall’avvocato CLAUDIO DOMENICO ZICARI;

– controricorrente –

e contro

L.E., e M.M.L.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 894/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 30/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/02/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione del 17.10.1981 Z.O. conveniva in giudizio P.D. e B.T. innanzi il Tribunale di Castrovillari per sentirli condannare alla demolizione del fabbricato eretto dai convenuti sul loro terreno in violazione delle distanze dal confine. Si costituivano i convenuti resistendo alla domanda ed eccependo di aver soltanto demolito e ricostruito un preesistente fabbricato e di esser quindi esonerati dall’obbligo di rispettare le distanze dal confine tra i fondi. Inoltre eccepivano l’inapplicabilità della normativa sulle distanze legali alla luce della inedificabilità del fondo dell’attrice.

Con sentenza n. 980/2009 il Tribunale accoglieva la domanda, condannando i convenuti ad arretrare il fabbricato sino al rispetto della distanza di dieci metri dal confine tra i fondi.

Interponevano appello P.P. e P.R. e si costituiva in seconde cure M.S., erede di Z.O., nel frattempo deceduta, resistendo al gravame.

Con la sentenza, impugnata, n. 894/2015, la Corte di Appello di Catanzaro dichiarava la nullità della decisione di prime cure, perchè resa anche nei confronti di una parte deceduta, riesaminava la questione nel merito ed accoglieva le domande proposte dalla parte attrice in primo grado.

Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione P.P. e P.R. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso M.O., erede di M.S..

L.E. e M.M.L., a loro volta eredi di M.S. ed intimate, non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso che la stradina esistente tra le due proprietà di cui è causa avesse natura di strada aperta a pubblico, con conseguente esclusione dell’obbligo di rispettare la normativa in tema di distanze dal confine dei fondi.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 823,825 e 1073 c.c., nonchè il vizio della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso l’asservimento di fatto della stradina di cui anzidetto al pubblico uso e transito.

Le due censure, che per la loro connessione meritano un esame congiunto, sono infondate.

La Corte di Appello ha esaminato la questione della natura della stradina esistente tra le due proprietà, dando atto delle diverse risultanze istruttorie acquisite sul punto e concludendo che essa fosse stata creata per consentire l’accesso al torrente per l’attingimento di acqua e il lavaggio dei panni; finalità, queste, cessate ormai da tempo immemore (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata). Inoltre la Corte calabrese ha ampiamente motivato circa le varie deposizioni testimoniali acquisite agli atti del processo di merito e la maggiore o minore attendibilità delle singole deposizioni, evidenziando anche i profili di incongruità di talune dichiarazioni dei testimoni rispetto allo stato dei luoghi, ricostruito anche mediante C.T.U., consulenze di parte e accesso diretto ai luoghi di causa, a suo tempo disposto in prime cure (cfr. pagg. 7 e 8 della sentenza). La motivazione ampia e articolata fornita dalla Corte catanzarese non è superata dalle censure in esame, con le quali i ricorrenti si limitano ad invocare un riesame delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Nè è possibile invocare una revisione dell’apprezzamento del materiale istruttorio acquisito agli atti del giudizio di merito, posto il principio secondo cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere, ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l’omessa motivazione sulla richiesta di C.T.U. finalizzata ad individuare quale parte del loro fabbricato dovesse essere demolita, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5. La Corte di Appello avrebbe infatti dovuto, secondo i ricorrenti, ammettere una specifica C.T.U. per individuare quale porzione del loro edificio doveva essere materialmente abbattuta per eseguire il dictum della sentenza qui impugnata, non potendosi demandare tale accertamento in sede esecutiva, posto che al giudice dell’esecuzione può essere rimessa soltanto la risoluzione dei problemi e difficoltà concreti nell’attuazione della sentenza di merito.

La censura è inammissibile. Va premesso che la sentenza impugnata, accogliendo la domanda di riduzione in pristino ab origine proposta dalla Z., ha ordinato l’abbattimento del fabbricato degli odierni ricorrenti sino al rispetto della distanza di dieci metri dal confine tra i fondi. Trattandosi di statuizione di perfetta comprensibilità, i ricorrenti sono perfettamente in grado di adempiervi. In ogni caso, qualora sorgessero difficoltà o problemi tecnici in fase esecutiva, questi ultimi, in base alla stessa giurisprudenza richiamata a pag. 11 del ricorso, potranno essere affrontati e risolti mediante apposito incidente di esecuzione (sul punto, cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1312 del 24/02/1984, Rv. 433439, e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7124 del 25/06/1991, Rv. 472819, secondo le quali il giudice di merito deve determinare la distanza da rispettare tra due costruzioni, cosa che nel caso di specie è pacificamente accaduta).

In ogni caso, i ricorrenti non specificano, nel motivo in esame, di aver dedotto, nel corso del giudizio di merito, che il fabbricato da loro eretto si trovava, almeno in parte, oltre la distanza di dieci metri dal confine, nè indicano da quale atto o documento, del pari acquisito agli atti del fascicolo delle fasi di merito, tale circostanza emergerebbe. Ne consegue l’evidente difetto di specificità della censura in esame, dovendosi ribadire il principio per cui “La Corte di Cassazione, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, nè potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi, gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 20181 del 25/07/2019, Rv. 654876; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2771 del 02/02/2017, Rv. 643715 e Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1170 del 23/01/2004, Rv. 569603).

In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti della controricorrente. Nulla invece per le parti intimate, in assenza di svolgimento, da parte di queste ultime, di attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.300 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

 

 

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