Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 185 del 09/01/2020

Cassazione civile sez. II, 09/01/2020, (ud. 12/03/2019, dep. 09/01/2020), n.185

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4564/2015 proposto da:

T.F., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Della

Libertà 20, presso lo studio dell’avvocato Mauro Vaglio, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.F., L.M., elettivamente domiciliati in Roma, Via

Tagliamento 10, presso lo studio dell’avvocato Michele Maiolo,

rappresentati e difesi dall’avvocato Rosa Chiericati;

– controricorrenti –

e contro

P.U.M., Pe.Fi., P.P., Noce Elena

Maria;

– intimati –

avverso la sentenza n. 707/2014 della Corte d’appello di Brescia,

depositata il 23/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/03/2019 dal Consigliere Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso tempestivamente notificato il 6/2/2015 dall’avvocato T.F. avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia con cui è stato respinto l’appello dallo stesso proposto nei confronti della sentenza del Tribunale di Mantova;

– il giudice di primo grado aveva respinto la domanda di condanna articolata dall’avvocato T. nei confronti di P.F., L.M., P.U.M., P.P., Pe.Fi. e Noce Elena Maria ed avente ad oggetto il pagamento di Euro 137.700,00, quale lucro cessante, ed Euro 484,25, quale danno emergente;

– tali importi erano assuntivamente dovuti dai convenuti a seguito di revoca del mandato per prestazioni professionali svolte in loro favore dal T. nell’ambito dell’incarico affidatogli per l’assistenza legale nella causa penale e civile conseguente al sinistro stradale in cui aveva perso la vita il loro congiunto P.P.;

– il tribunale adito aveva ritenuto non applicabile alla fattispecie del contratto d’opera professionale la disposizione dell’art. 1725 c.c., sulla revoca del mandato oneroso e, perciò, non dovuto l’importo di Euro 137.700,00 preteso dall’avvocato, riconoscendogli solo l’importo di Euro 484,25 a titolo di spese anticipate;

– la corte d’appello confermava la decisione in considerazione della pacifica applicabilità alla fattispecie in esame dell’art. 2237 c.c., vertendosi in caso di recesso dal contratto di prestazione d’opera intellettuale e, cioè, di una disciplina speciale rispetto a quella generale del mandato;

– osservava, inoltre, la corte bresciana come il tribunale avesse pronunciato in conformità alla consolidata giurisprudenza di legittimità;

– la corte territoriale condannava, da ultimo, l’appellante per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c. ravvisando l’evidente mala fede dell’avvocato che non poteva non conoscere i principi regolatori della sua attività professionale;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dall’avvocato T. sulla base di quattro motivi cui resistono con tempestivo controricorso P.F. e L.M.; non hanno invece svolto attività difensiva P.U.M., P.P., Pe.Fi. e Noce Elena Maria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– con il primo motivo si censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la sentenza impugnata per non avere fatto applicazione, in violazione degli artt. 1703 e 1725 c.c., della normativa sul mandato oneroso che, nel caso di recesso da parte del mandante, prevede l’obbligazione del mandante di provvedere al risarcimento dei danni;

– il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., avendo la corte bresciana pronunciato in conformità ai consolidati orientamenti di legittimità;

– l’incarico affidato al difensore, pur rientrando nella più ampia categoria del mandato quale assunzione dell’obbligazione di compiere atti giuridici (aventi cioè la capacità di produrre effetti di quel tipo), è, in ragione delle specifiche caratteristiche che connotano l’attività professionale, oggetto dell’obbligazione disciplinata dagli art. 2229 c.c. e ss.;

– fra questi, l’art. 2230 c.c. stabilisce che il contratto di prestazione d’opera intellettuale è disciplinato dalle norme contenute nel capo secondo del titolo terzo del libro quinto del codice civile, nonchè, se compatibili, da quelle contenute nel capo precedente riguardanti il contratto d’opera in generale;

– pertanto, poichè la disciplina del recesso unilaterale dal contratto dettata dall’art. 2237 cod. cit. non è compatibile con quella dettata dall’art. 2227 c.c. per il contratto d’opera in generale (stabilendo il primo che, in caso di recesso del cliente, al prestatore d’opera spetta il rimborso delle spese sostenute ed il corrispettivo per l’opera eseguita, non anche il mancato guadagno, come previsto dal secondo), ne deriva che la norma speciale (art. 2237) prevale sulla seconda (art. 2227), di carattere generale, in ragione delle peculiarità che contraddistinguono la prestazione d’opera intellettuale (Cass. 3062/2002; id. 5775/1999; 14702/2007; 14510/2012, sulla possibilità di esplicita deroga all’art. 2237, che nel caso di specie, però, non è allegata);

– nel caso di specie la corte si è attenuta a detti principi, nè il ricorrente ha offerto argomenti per una rivisitazione di tale orientamento, dal momento che la giurisprudenza richiamata riguarda la (diversa) questione della prova del mandato professionale ed il rapporto con la procura alle liti;

– con il secondo motivo si censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame della domanda di liquidazione dei compensi spettanti ai sensi dell’art. 2237 c.c.;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., sulla domanda di liquidazione dei compensi;

– il secondo ed il terzo motivo, che riguardando la medesima questione, possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati;

– la domanda è stata, diversamente da quanto allegato dal ricorrente, esaminata dalla corte territoriale e dichiarata inammissibile perchè tardivamente proposta in sede di precisazione delle conclusioni in appello (cfr. pag. 6 della sentenza, righi 14 e 15);

– nell’atto di citazione in appello – che il collegio può esaminare quale giudice del fatto processuale – essa era stata ricompresa in quella di lucro cessante (cfr. pag. 12 dell’atto di citazione in appello) mentre era stata scorporata solo in sede di comparsa conclusionale (cfr. pag.2 dove si chiede “oltre” al lucro cessante);

– con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 96 c.p.c., per avere riconosciuto l’importo di Euro 5000,00 senza che la parte richiedente abbia fornito alcuna prova dei danni asseritamente subiti in conseguenza della condotta processuale del difensore;

– questo motivo appare fondato alla stregua della giurisprudenza di legittimità, poichè la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., ratione temporis applicabile nella versione precedente la modifica introdotta con la L. 18 luglio 2009, n. 69, non può trovare accoglimento tutte le volte in cui la parte istante non abbia assolto all’onere di allegare (almeno) gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato (Cass. 21798/2015; id.9080/2013; Sez. Un. 7583/2004);

– nel caso di specie gli appellati non avevano assolto a detto onere di allegazione e, dunque, in accoglimento del motivo, la pronuncia impugnata va cassata sul punto;

– non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il Collegio decidendo nel merito, rigetta la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c.;

– atteso, poi, l’esito complessivo del ricorso e liquidate le spese del giudizio d’appello in Euro 13.636,00 oltre accessori di legge, l’accoglimento solo parziale del presente ricorso, giustifica la compensazione nella misura del 50% delle spese del giudizio di legittimità, liquidate per l’intero come in dispositivo, con condanna del ricorrente al pagamento del residuo 50%.

PQM

La Corte accoglie il quarto motivo, rigetta gli altri, cassa in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda ex art. 96 c.p.c. confermando nel resto l’impugnata sentenza; compensa le spese del giudizio di primo grado; compensa il 50% delle spese del giudizio di secondo grado che liquida in Euro 13.636,00, oltre accessori e condanna il ricorrente al pagamento del residuo cinquanta per cento; compensa per il 50% le spese del giudizio di legittimità che liquida per l’intero in Euro 5.500,00 di cui Euro 200,00 per spese, condannando il ricorrente al pagamento del residuo cinquanta per cento a favore dei controricorrenti costituiti, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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