Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18498 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. II, 04/09/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 04/09/2020), n.18498

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10302/2016 proposto da:

M.I., rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO

GATTO;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALDO BANZI 88,

presso lo studio dell’avvocato ANTONINO PROFILIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato SALVATORE LEONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 390/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 23/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/02/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 23 giugno 2015 la Corte d’appello di Messina ha rigettato l’appello proposto da M.I. nei confronti di C.M. avverso la decisione di primo grado, con la quale era stata accolta la domanda di condanna alla chiusura delle vedute indicate attraverso il riferimento ai punti 6.1, 6.2. e 6.4 della motivazione, realizzate a distanza non regolamentare.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha condiviso la motivazione espressa dal Tribunale, ribadendo, alla stregua dei rilievi del consulente tecnico d’ufficio: a) che l’apertura di cui alle fotografie n. 6, 7 e 8 costituisse una veduta, posta ad una altezza dal piano di calpestio interno al locale inferiore a quella prevista dall’art. 901 c.c. e ad un’altezza tale da consentire ad una persona di altezza media di affacciarsi in modo comodo e sicuro, tenuto conto della larghezza di un metro e dell’altezza di 58 centimetri; b) che l’apertura di cui alle fotografie n. 7, 9 e 10 aveva un’altezza dal piano di calpestio del soppalco di dieci centimetri, ma presentava un’altezza di circa un metro e una larghezza di 64 centimetri, con la conseguenza che consentiva un affaccio permanente e comodo, anche se pericoloso per persone molto alte; c) che anche l’apertura di cui alle fotografie n. 18 e 19, relative al piano soppalco del secondo locale, doveva ritenersi una veduta, alla luce delle dimensioni della finestra (58 per 58 centimetri), nonostante fosse posta ad un’altezza poco comoda dal piano di calpestio (circa 44 centimetri)

3. Avverso tale sentenza la M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, ai quali ha resistito con controricorso il C.. La M. ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 900 c.c., rilevando che, alla stregua delle stesse risultanze della consulenza tecnica, le aperture di cui alle fotografie n. 7, 9 e 10, da un lato, e alle fotografie n. 18 e 19, dall’altro, non consentivano un affaccio comodo e sicuro, che era invece possibile realizzare, in ragione della loro altezza dal piano di calpestio, solo accosciandosi o mettendosi in ginocchio o carponi e comunque senza avere un parapetto di altezza idonea ad escludere il pericolo di caduta.

Va premesso che la censura riguarda solo due delle tre aperture delle quali tratta la sentenza.

Ciò posto, per quanto riguarda le aperture di cui alle foto 18 e 19, non risulta dalla sentenza d’appello che vi sia stato un motivo di impugnazione avente ad oggetto la relativa qualificazione in termini di veduta.

D’altra parte, la ricorrente non lamenta l’omesso esame di un motivo d’appello.

Ne discende chele relative censure sviluppate in ricorso sono inammissibili.

Quanto alle vedute di cui alle foto n. 7, 9 e 10, va ribadito che, affinchè sussista una veduta ex art. 900 c.c., è necessario, oltre al requisito della inspectio, anche quello della prospectio sul fondo del vicino, dovendo detta apertura consentire non solo di vedere e guardare frontalmente, ma anche di affacciarsi, garantendo una visione frontale, obliqua e laterale, sì da assoggettare il fondo alieno ad una visione mobile e globale, secondo un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità, se non per vizi di motivazione (v., ad es., Cass. 10 gennaio 2017, n. 346).

A ciò deve aggiungersi che, in tema di limitazioni legali della proprietà, per la configurabilità di una veduta non è necessario che l’opera, da cui questa è esercitata, sia destinata esclusivamente o prioritariamente all’affaccio sul fondo del vicino, se, per ubicazione, consistenza e caratteristiche, il giudice del merito accerti l’oggettiva idoneità della stessa all’inspicere ed al prospicere in alienum (v., ad es., Cass. 28 maggio 2013, n. 13217).

In tale contesto normativo di riferimento, le censure svolte da parte ricorrente non evidenziano nè una violazione di legge, posto che i criteri di individuazione delle vedute indicati dalla Corte territoriale si inquadrano nel ricordato e consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nè una falsa applicazione della disciplina codicistica, posto che, in realtà, il non contestato accertamento delle caratteristiche fattuali delle opere in esame consente una agevole riconducibilità delle stesse alla nozione di veduta.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 115 c.p.c., per avere i giudici di merito accolto la domanda del C., nonostante che quest’ultimo non fosse riuscito a dimostrare il fondamento del proprio diritto, ossia che le aperture fosse state realizzate in epoca recente dalla M..

Rileva la ricorrente: a) che, a fronte di siffatta deduzione, ella aveva replicato di essersi limitata ad eseguire opere di manutenzione ordinaria e di abbellimento di opere esistenti e aveva chiesto ed ottenuto l’ammissione di pertinente prova testimoniale contraria a quella invocata dalla controparte; b) che, tuttavia, l’assunzione della prova era stata differita dal giudice di primo grado all’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio, che, dal canto suo, aveva concluso nel senso che non era stato possibile accertare l’esatta epoca di realizzazione delle finestre; c) che, all’esito dell’accertamento peritale, la prova non era stata assunta.

Anche siffatta doglianza è inammissibile

La causa petendi della domanda accolta è rappresentata dal mancato rispetto delle distanze, con la conseguenza che l’epoca della realizzazione è del tutto irrilevante.

E’ piuttosto la M. ad avere dedotto di avere acquisito la servitù di veduta a titolo originario.

Ma rispetto a tale pretesa, l’onere probatorio gravava su di lei; nè risulta in alcun modo che abbia censurato in appello la mancata assunzione delle prove ammesse.

3. In conseguenza, il ricorso va dichiarato inammissibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonchè delle questioni trattate.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

 

 

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