Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18496 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. II, 04/09/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 04/09/2020), n.18496

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12442/2016 proposto da:

RESIDENCE LA SFINGE s.a.s. di D.S.P. e C., in persona

del legale rappresentante pro tempore D.S.P.,

rappresentata e difesa dall’Avvocato PELLEGRINO CAVUOTO FRANCESCO

PAOLO SISTO, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.

Simona Martinelli, in ROMA, VIALE delle MILIZIE 4;

– ricorrente –

contro

D.S.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato BIANCAMARIA

LEONE, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Angelo Di Lorenzo, in ROMA, VIA MASSA SAN GIULIANO 292 (Castelverde

Roma);

– controricorrente –

e contro

MISA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 20/2016 della CORTE d’APPELLO di NAPOLI,

depositata in data 5/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/02/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

D.S.A., premesso di essere proprietario di un immobile sito in (OMISSIS), costituito da un vecchio fabbricato circondato da un terreno, lamentava che sul confinante fondo di proprietà della RESIDENCE LA SFINGE s.a.s. di D.S.P. e C., fosse in corso di realizzazione una costruzione non a distanza legale dal proprio fabbricato e dal confine e conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Benevento – Sezione Distaccata di Guardia Sanframondi – la suddetta società per ottenere la demolizione e/o l’arretramento, oltre al risarcimento del danno.

L’attore esponeva: 1) di aver proposto ricorso per denuncia di nuova opera, accolto con ordinanza dell’1.7.2005, con la quale era concesso il termine di 30 giorni per l’inizio del giudizio di merito; 2) che la distanza fra il lato nord del suo fabbricato e il lato sud del bene di proprietà della convenuta era inferiore a quella minima consentita tra gli edifici con pareti finestrate dal D.M. n. 1444 del 1968; 3) che, comunque, la costruzione era alla distanza di 4,30 metri dal confine; 4) che era stata violata anche la normativa antisismica, che nel caso di specie prevedeva la distanza minima di 10 metri.

Si costituiva in giudizio la società convenuta, la quale eccepiva l’inammissibilità del ricorso per essere decorso l’anno dall’inizio delle opere; rilevava che l’attore era carente di interesse per essersi obbligato ad abbattere il proprio fabbricato e, comunque, di aver ottenuto una concessione in sanatoria e chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna dell’attore al risarcimento dei danni derivato dalla sospensione delle opere disposte in fase cautelare. La convenuta rappresentava di aver proposto reclamo avverso il provvedimento di sospensione dei lavori e che il Tribunale di Benevento, in accoglimento dell’eccezione di difetto di interesse, con provvedimento del 7.12.2005, aveva revocato il provvedimento impugnato.

Il Giudice disponeva la chiamata in causa della MISA s.r.l., acquirente della costruzione oggetto della domanda. Questa si costituiva eccependo l’inammissibilità della domanda della controparte e in ogni caso concludeva per il rigetto della stessa; nel corso del giudizio interveniva anche il Comune di Telese Terme a sostegno delle ragioni della convenuta.

Con sentenza n. 647/2010 il Tribunale di Benevento condannava la Misa s.r.l. ad arretrare la parete del fabbricato di sua proprietà sino a 10 metri dalla frontistante parete del fabbricato dell’attore; condannava La Sfinge s.a.s. al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni in favore dell’attore, della somma di Euro 471,40, oltre interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della sentenza e rigettava sia la domanda di risarcimento danni proposta nei confronti della Misa s.r.l., sia la domanda riconvenzionale proposta dalla La Sfinge s.a.s.; le spese di lite, comprese quelle di CTU, erano poste a carico della convenuta e della chiamata in causa.

Contro tale sentenza proponeva appello la Misa s.r.l. per difetto di interesse di D.S.A.; inopponibilità della sentenza nei suoi confronti; inapplicabilità della L. n. 765 del 1967, art. 17 e del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9; infondatezza delle domande proposte dal D.S., con condanna di quest’ultimo al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

Si costituivano in giudizio entrambi gli appellati.

La s.a.s. Residence La Sfinge proponeva appello incidentale e censurava la sentenza di primo grado per carenza di legittimazione attiva di D.S.A. per la prosecuzione dell’actio negatoria servitutis; inammissibilità del giudizio di merito all’esito della formazione del giudicato cautelare; difetto di legittimazione passiva; mancanza di interesse e violazione dell’art. 100 c.p.c., natura emulativa dell’azione proposta; inapplicabilità del D.M. n. 1444 del 1968, con vittoria di spese.

D.S.A., dopo aver rilevato che nel giudizio di appello non era stato evocato in giudizio il Comune di Telese Terme, concludeva per il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado, con condanna al pagamento delle spese del grado di giudizio e al risarcimento dei danni per l’illegittimo comportamento delle controparti.

Con ordinanza del 13.12.2010, la Corte d’Appello di Napoli sospendeva l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata e disponeva la notificazione dell’appello principale e di quello incidentale al Comune di Telese Terme.

Con sentenza n. 20/2016, depositata in data 5.1.2016, respinti i motivi di appello incidentale (carenza di legittimazione attiva del D.S. e passiva della s.a.s. La Sfinge, nonchè inammissibilità della domanda per la formazione di un preteso giudicato cautelare), la Corte d’Appello di Napoli rigettava l’appello principale confermando la sentenza di prima grado e condannando entrambe le società al pagamento delle spese di lite del grado di appello.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il Residence La Sfinge s.a.s. di D.S.P. e C. sulla base di due motivi, illustrati da memoria; resiste D.S.A. con controricorso, anch’esso illustrato da memoria; l’intimata Misa s.r.l. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 100 c.p.c. (la) violazione dell’art. 1029 c.c. (la) motivazione contraddittoria della sentenza”, in ragione della affermazione da parte della Corte di appello del permanere della legittimazione e dell’interesse del D.S. nel presente giudizio. Rileva la ricorrente che in data 16.11.2000 le parti stipulavano un preliminare di vendita con il quale il D.S. si obbligava, tra l’altro, a vendere al fratello M. un appezzamento di terreno con annesso fabbricato e quest’ultimo si obbligava a vendere il rudere per cui è causa ad A.. Le parti, di comune accordo, depositavano in data 22.11.2000 una richiesta di concessione edilizia con la quale D.S.A. chiedeva, a seguito di demolizione del fabbricato esistente, il rilascio della prescritta concessione edilizia per edificare una villetta. In data 11.7.2003 le parti stipulavano l’atto notarile di compravendita, nel quale precisavano di aver presentato al Comune di Telese Terme la richiesta di concessione edilizia. In sostanza, le parti con le citate scritture private, con la richiesta di concessione edilizia e con l’atto pubblico stabilivano la demolizione del fabbricato de quo e la sua ricostruzione in altro sito, posto a distanza legale dal costruendo fabbricato della società La Sfinge. Pertanto, l’odierno resistente si era obbligato a demolire il rudere e a ricostruirlo su altro sito, mentre la ricorrente provvedeva a realizzare il suo fabbricato come da accordi intercorsi tra le parti. In ogni caso il D.S. aveva rinunciato implicitamente a ogni suo eventuale diritto in relazione al costruendo fabbricato. Di conseguenza, la richiesta del D.S. sarebbe priva di interesse e in violazione dell’art. 100 c.p.c. e dell’art. 1029 c.c.; laddove peraltro il D.S. rinunciava a far valere la distanza legale tra le costruzioni.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – Secondo la Corte d’Appello, “l’alienazione dei propri beni da parte del D.S. e della s.a.s. La Sfinge nel corso del giudizio non spiega alcun effetto sul rapporto processuale, che a norma dell’art. 111 c.p.c., continua fra le parti originarie; la perdurante legittimazione della parte, che non è più titolare del diritto sostanziale, ha una portata sostitutiva e processuale” (sentenza impugnata, pag. 4). Pertanto, “La circostanza che il D.S. avesse comunicato all’amministrazione comunale la propria intenzione di procedere alla demolizione del fabbricato di sua proprietà presente nella particella n. 358, e che tale intenzione fosse anche menzionata nell’atto notarile dell’11.7.2003, non escludeva, non essendo stato realizzato quanto indicato nella concessione n. 60/2003, la sussistenza della legittimazione e dell’interesse dell’attore quale proprietario del fabbricato ancora esistente al momento della proposizione della domanda; ogni ulteriore valutazione circa l’eventuale sussistenza di una convenzione fra privati avente ad oggetto obblighi urbanistici e il mancato adempimento delle obbligazioni che si assumevano assunte con la stessa non poteva portare a escludere l’interesse del D.S. e peraltro non formava oggetto del presente giudizio (sentenza impugnata, pag. 7).

La Corte di merito ha fatto, dunque, corretta applicazione del principio secondo il quale (erroneamente evocata dalla ricorrente la lesione dell’art. 110 c.p.c.) la disciplina dettata dell’art. 111 c.p.c., comma 1 – alla cui stregua il processo prosegue tra le parti originarie, qualora, nel corso di esso, il diritto controverso sia trasferito a titolo particolare per atto tra vivi – costituisce espressione del principio generale secondo il quale gli effetti sostanziali della domanda giudiziale continuano ad essere rilevanti sul piano processuale nonostante le modificazioni eventualmente intervenute nella titolarità del diritto controverso (Cass. n. 3842 del 1980). Il processo, in caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, prosegue tra le parti originarie, salvo che nel caso di espressa estromissione della parte originaria, nel caso di specie non avvenuta (Cass. n. 6471 del 2012).

Inoltre, in tema di trasferimento del diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie e, pertanto, sono ininfluenti le vicende attinenti a posizioni giuridiche attive o passive successive all’inizio della causa (Cass. 14480 del 2018).

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la “inapplicabilità del D.M. n. 1444 del 1968 e della L. n. 765 del 1967, art. 17. (la) violazione degli artt. 17 e 31 del PRG del Comune di Telese Terme. In ogni caso (la) destinazione non residenziale del rudere”. La ricorrente ritiene inapplicabile il D.M. n. 1444 del 1968, dovendo applicarsi invece il PRG del Comune di Telese Terme che prevede una distanza tra pareti finestrate e parete non finestrata di 4 metri. Osserva la ricorrente che dalla CTU si evince che il PRG del Comune di Telese Terme è vigente dal 1990 e applicabile alla fattispecie; che la distanza minima tra i due fabbricati sarebbe di 7,40 metri, superiore a quella prevista dall’art. 873 c.c.. Ovviamente la distanza di 3 metri prevista dal menzionato articolo può essere derogata dai regolamenti comunali: infatti il PRG del Comune di Telese Terme (art. 31) prevede una distanza di 10 metri per pareti entrambe finestrate, mentre per pareti non finestrate si riduce a 4 metri; dai confini prevede una distanza di 5 metri per pareti finestrate. Di conseguenza, le norme di PRG non sono state violate. La ricorrente richiama, altresì, alcune pronunce secondo le quali le prescrizioni di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, essendo dirette ai Comuni, ai fini della formazione degli strumenti urbanistici, non sono immediatamente applicabili nei rapporti tra privati (Cass. n. 19009 del 2004; Cass. n. 3771 del 2001). Si osserva che nella fattispecie si fronteggiano una parete finestrata e un deposito agricolo privo di finestre, che si trovano a una distanza di 7,40 metri, da ritenere legittima secondo la ricorrente, in quanto superiore ai 4 metri, stabiliti dall’art. 31 del PRG. Infine, la L. n. 765 del 1967, art. 17, comma 1, fa riferimento all’edificazione a scopo residenziale, per cui le limitazioni previste da tale disposizione non sono applicabili agli edifici e ai complessi produttivi (Cass. n. 2473 del 1996). Non avendo il rudere in questione carattere residenziale, la distanza da rispettare sarà quella di 3 metri stabilita dal codice civile o quella dal confine pari a 5 metri, applicandosi quanto previsto dal PRG.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – E’ consolidato il principio secondo cui in tema di distanze tra fabbricati, nel regolamento locale che non preveda distanza alcuna o che preveda distanze inferiori a quelle minime prescritte per zone territoriali omogenee dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, questa inderogabile disciplina si inserisce automaticamente, con immediata operatività nei rapporti tra privati, in virtù della natura integrativa del regolamento rispetto all’art. 873 c.c. (Cass. n. 15458 del 2016; conf. Cass. n. 29732 del 2017). Infatti, lo strumento urbanistico comunale che individui le zone territoriali omogenee di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 2, deve osservare le prescrizioni in materia di distanze minime tra fabbricati previste, per ciascuna di dette zone, dall’art. 9, comma 1, del medesimo decreto ministeriale, trattandosi di disposizione di immediata ed inderogabile efficacia precettiva.

Ne consegue che, qualora nel regolamento comunale non sia stabilita alcuna distanza tra fabbricati relativamente ad una o più zone territoriali omogenee, o ne sia prevista una inferiore a quella minima prevista nel citato D.M., la disciplina dettata dal citato art. 9 sostituirà ipso iure quella difforme contenuta in origine in tale regolamento, divenendone automaticamente parte integrante e da subito operante senza che possano, invece, trovare applicazione l’art. 873 c.c. e della L. n. 765 del 1967, art. 17, comma 1 (Cass. n. 29732 del 2017). Dunque, il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, comma 2, essendo stato emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41-quinquies, aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicchè le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (Cass. sez. un. 14953 del 2011; Cass. 5017 del 2008).

2.3. – La Corte d’appello ha affermato che i regolamenti edilizi approvati dopo l’entrata in vigore della L. n. 765 del 1967 (come quello del comune di Telese Terme vigente dal 1990) hanno l’obbligo di rispettare quanto stabilito dal D.M. n. 1444 del 1968. Ed ha osservato che il principio secondo cui i piani regolatori adottati dopo l’entrata in vigore del citato decreto ministeriale, quanto alla individuazione delle distanze legali, è stato ripetutamente affermato da questa Corte, che ha rimesso al giudice adito anche d’ufficio, il rilievo della illegittimità dell’adozione da parte dell’amministrazione comunale di un regolamento edilizio contrastante con le norme vigenti e l’applicazione, in sostituzione delle disposizioni illegittime, delle norme violate, divenute automaticamente parte integrante del successivo strumento urbanistico locale (ex plurimis, Cass. sez. un. 14953; Cass. n. 20574 del 2008; Cas. n. 319de1 2008). (sentenza impugnata, pag. 9).

In particolare, del tutto correttamente (poichè coerente alla motivazione) la Corte distrettuale ha convenuto con il giudice di primo grado circa l’applicabilità nella controversia in esame della applicabilità e della interpretazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, “va interpretata nel senso che la distanza minima di dieci metri è richiesta anche nel caso che una sola delle pareti fronteggiantisi sia finestrata e che è indifferente se tale parete sia quella del nuovo edificio o quella dell’edificio preesistente, essendo sufficiente, per l’applicazione di tale distanza, che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, ancorchè solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta; ne consegue, pertanto, che il rispetto della distanza minima è dovuto anche per i tratti di parete che sono in parte privi di finestre” (Cass. n. 13547 del 2011; conf. Cass. 12129 del 2018; Cass. n. 5017 del 2018).

2.4. – Piuttosto, nei termini in cui sono stati formulati, entrambi i motivi si risolvono (come disvalato anche dal deposito di documentazione, inammissibile ai sensi dell’art. 372 c.p.c.) nella sollecitazione ad effettuare in partibus quibus una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando la società ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

3. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.400,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello del ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

 

 

 

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