Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18495 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. II, 04/09/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 04/09/2020), n.18495

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18732/2016 proposto da:

T.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato SILVIO CAMPANA,

ed elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

B.P., e G.T., rappresentate e difese

dall’Avvocato STEFANO GIANNINI, ed elettivamente domiciliate presso

lo studio dell’Avv. Filippo Demartino, in ROMA, VIA GIUSEPPE

AVEZZANA 8;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 658/2016 della CORTE d’APPELLO di BOLOGNA,

depositata in data 20/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/02/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 31.1.2001, T.A. e A.M. (in seguito deceduta) convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Rimini G.T., B.M. (in seguito deceduto) e B.P., per accertare e dichiarare l’illegittimità del manufatto con struttura portante in profilati metallici, tamponatura e copertura con pannelli rigidi in materiale plastico, sito in (OMISSIS) e confinante con il fabbricato di proprietà degli attori. Si deduceva che il manufatto, destinato a garage, risultasse posto alla distanza di 1,50 metri dal confine di proprietà degli attori e di 7,31 metri dal fabbricato di proprietà di questi ultimi e che, pertanto, il medesimo dovesse essere considerato in violazione sia della normativa di PRG vigente al momento della costruzione – avvenuta nel 1994 (art. 224 NTA), sia di quella sopravvenuta, sia del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, che prescrive la distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate di antistanti edifici. Infatti, l’art. 224 del PRG allora vigente, come anche la normativa sopravvenuta, prescrivevano una distanza minima dal confine di 5 metri e di 10 metri tra fabbricati. Si aggiungeva che non potesse essere invocata, come legittimo titolo per l’esecuzione dell’opera, l’autorizzazione rilasciata dal Comune di Misano Adriatico in data 1.9.1994, in pretesa applicazione della L. n. 122 del 1989, in quanto l’art. 9 della suddetta Legge consente la realizzazione di parcheggi nel sottosuolo dei fabbricati o nei piani terra dei fabbricati già esistenti, ma non l’edificazione ex novo di costruzioni destinate a tale uso, quando non sussista la conformità alla normativa urbanistica vigente. Inoltre, si deduceva che la Delib. Consiliare Comune di Misano Adriatico 24 gennaio 1991, n. 10, che disciplinava la realizzazione dei parcheggi, stabiliva che l’applicazione della deroga fosse subordinata all’inesistenza di parcheggi, ma questo non era il caso dei convenuti, che disponevano di un’ampia area che poteva essere adibita a parcheggio. Infine, la stessa Delib. prescriveva che i parcheggi interrati con misure superiori a 1 metro dal piano di campagna e a 1,50 metri dal confine potessero essere realizzati se previsti in specifici piani attuativi. Il manufatto presentava un’altezza di 2,70 metri e quindi era in contrasto con la richiamata normativa, in quanto per la zona considerata non era mai stato adottato alcun piano attuativo.

Ciò premesso, gli attori chiedevano la condanna dei convenuti alla demolizione del manufatto o comunque alla riduzione in pristino, oltre al risarcimento dei danni.

Si costituivano in giudizio i convenuti, i quali eccepivano la conformità del manufatto alle allora vigenti norme di PRG del Comune di Misano Adriatico, in base al disposto dell’art. 224, comma 9, che stabiliva che accessori di un solo piano fuori terra e di altezza non superiore a 3 metri potessero essere costruiti sul confine. I convenuti aggiungevano che l’edificio di loro proprietà (composto di tre appartamenti) dovesse essere qualificato come villetta, ex art. 231, comma 6 PRG/85, sostenendo che la costruzione fosse conforme alle norme di piano, che stabiliva, per le villette, che i garage a esse annessi potessero essere costruiti in aderenza o a filo strada.

Espletata CTU, con sentenza n. 798/2007, depositata in data 5.9.2007, il Tribunale di Rimini rigettava le domande proposte dagli attori compensando le spese di lite.

Contro la sentenza proponeva appello T.A., deducendo la violazione ed errata applicazione degli artt. 872 e 873 c.c., in relazione al D.M. n. 1444 del 1968 e alla normativa locale di PRG del Comune di Misano Adriatico vigente al momento della costruzione, integrativa del codice civile e della L. n. 122 del 1989, art. 9.

Si costituivano in giudizio G.T. e B.P. chiedendo il rigetto dell’appello principale e proponendo tre motivi di appello incidentale.

Con sentenza n. 658/2016, depositata in data 20.4.2016, la Corte d’Appello di Bologna rigettava sia l’appello principale che quello incidentale e compensava le spese.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione T.A. sulla base di due motivi, illustrati da memoria; resistono B.P. e G.T. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione art. 360 c.p.c., n. 3 – Error in iudicando. Violazione del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, in relazione alla L. n. 765 del 1967, art. 17”, in quanto l’impugnata sentenza riteneva che alla fattispecie non si potesse applicare la disciplina stabilita dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, che prevede una distanza minima di 10 metri dalle costruzioni, in quanto essa avrebbe come destinatari solo i Comuni e non i privati. Viceversa secondo il ricorrente la Corte di merito avrebbe ignorato che il suddetto D.M. n. del 1968, sia stato emanato in applicazione della L. n. 765 del 1967, art. 17, proprio per la disciplina dei rapporti privatistici tra confinanti. Si richiama la giurisprudenza di legittimità secondo la quale del D.M. n. 1444 del 1968, menzionato art. 9, comma 2, essendo stato emanato su delega dell’art. 41 quinquies della c.d. Legge Urbanistica, aggiunto dalla L. n. 765 del 1967, art. 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicchè le sue disposizioni sulle distanze tra fabbricati prevalgono su quelle contrastanti dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica. Pertanto, l’adozione da parte dei Comuni di strumenti urbanistici contrastanti con il D.M. n. del 1968, comporta l’obbligo per il Giudice, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la disposizione in questione, divenuta – per inserzione automatica parte integrante dello strumento urbanistico.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce un “Error in iudicando (art. 360 c.p.c., n. 3) per falsa applicazione della L. n. 122 del 1989, art. 9. Travisamento risultanze CTU”, in quanto anche la L. n. 122 del 1989, art. 9, sarebbe inapplicabile alla presente fattispecie dal momento che tale disposizione disciplina soltanto i parcheggi interrati e gli interventi su edifici già esistenti e non quelli da realizzare ex novo. La Corte di merito avrebbe frainteso le risultanze della CTU, la quale rilevava come la normativa di PRG del 1997 prevedesse la possibilità di realizzare parcheggi fuori sedime solo al piano interrato, per cui l’autorizzazione edilizia non avrebbe potuto essere rilasciata.

2.1. – Il primo motivo è fondato.

2.2. – La Corte di merito ha espressamente affermato che nel caso di specie non potesse applicarsi la disciplina stabilita dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, che stabilisce una distanza minima di mt 10 dalle costruzioni; tale disciplina infatti “ha come destinatari solamente i Comuni e non è applicabile invece nei rapporti fra privati”, in quanto di fronte a norme illegittime o di dubbia interpretazione di PRG si applica il disposto della L. n. 765 del 1967, art. 17 (sentenza impugnata, pag. 6).

Viceversa, il citato D.M. n. del 1968, è stato emanato in applicazione del citato art. 17, proprio per la disciplina dei rapporti privatistici tra confinanti.

E’ consolidato il principio secondo cui in tema di distanze tra fabbricati, nel regolamento locale che non preveda distanza alcuna o che preveda distanze inferiori a quelle minime prescritte per zone territoriali omogenee dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, questa inderogabile disciplina si inserisce automaticamente, con immediata operatività nei rapporti tra privati, in virtù della natura integrativa del regolamento rispetto all’art. 873 c.c. (Cass. n. 15458 del 2016; conf. Cass. n. 29732 del 2017). Infatti, lo strumento urbanistico comunale che individui le zone territoriali omogenee di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 2, deve osservare le prescrizioni in materia di distanze minime tra fabbricati previste, per ciascuna di dette zone, dall’art. 9, comma 1, del medesimo decreto ministeriale, trattandosi di disposizione di immediata ed inderogabile efficacia precettiva.

Ne consegue che, qualora nel regolamento comunale non sia stabilita alcuna distanza tra fabbricati relativamente ad una o più zone territoriali omogenee, o ne sia prevista una inferiore a quella minima prevista nel citato D.M., la disciplina dettata dal citato art. 9 sostituirà ipso iure quella difforme contenuta in origine in tale regolamento, divenendone automaticamente parte integrante e da subito operante senza che possano, invece, trovare applicazione l’art. 873 c.c. e L. n. 765 del 1967, art. 17, comma 1 (Cass. n. 29732 del 2017). Dunque, il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9, comma 2, essendo stato emanato su delega della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41-quinquies (c.d. legge urbanistica), aggiunto dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 17, ha efficacia di legge dello Stato, sicchè le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica (Cass. sez. un. 14953 del 2011). Laddove, peraltro, da questo Collegio non è condiviso l’auspicio, formulato dalle controricorrenti, di un “ripensamento” dell’orientamento oggi maggioritario in tema di diretta applicabilità del D.M. n. 1444 del 1968, nei rapporti tra privati.

3. – Il primo motivo del ricorso va dunque accolto, con assorbimento del secondo motivo, riguardante, tra l’altro, l’ambito applicativo nella fattispecie, della L. n. 122 del 1989, art. 9. La sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, con assorbimento del secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

 

 

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