Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18489 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. II, 04/09/2020, (ud. 05/02/2020, dep. 04/09/2020), n.18489

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2512-2016 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BALDO DEGLI

UBALDI, 43/B, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANFRONI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA SCAVETTA;

– ricorrente –

contro

ECUA SRL, elettivamente domiciliate in Livorno, Scali Bettarini n. 15

presso lo studio dell’avv.to STEFANO TADDIA che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1755/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 15/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/02/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI CARMELO che ha concluso per l’accoglimento dei motivi n. 1, 4

e 6, e per il rigetto dei restanti;

uditi gli Avvocati ANDREA SCAVETTA e STEFANO TADDIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Ecua srl nella quale è stata conferita l’agenzia centro immobiliare di B. proponeva appello avverso la sentenza del 12 gennaio 2005 n. 28 con la quale il Tribunale di Livorno, sezione distaccata di Cecina, aveva parzialmente accolto la domanda di condanna di P.A. al pagamento di provvigioni su affari conclusi e da concludere per il suo tramite quale mediatore.

L’appello si fondava su tre motivi: 1) l’inadempienza totale definitiva del P. che giustificava la sua condanna all’integrale risarcimento, 2) la necessità di conteggiare il risarcimento sulla scorta di una consulenza tecnica d’ufficio che accertasse il valore degli immobili ancora da costruire; 3) la condanna dell’appellato al pagamento della penale di 250 milioni di lire nel caso si ravvisasse un suo recesso unilaterale.

2. Si costituiva nel giudizio di appello P.A. che proponeva a sua volta appello incidentale per ottenere il rigetto di tutte le domande attrici, condannando l’attrice alla restituzione della somma di Euro 20.410 corrisposta dal P. in forza della sentenza di primo grado.

3. La Corte d’Appello di Firenze accoglieva l’impugnazione principale e, in parziale riforma della sentenza gravata, condannava l’appellato pagare in favore dell’appellante l’ulteriore somma di Euro 290.116,26 oltre alle spese del giudizio e della consulenza disposto.

Preliminarmente la Corte d’Appello osservava che l’eccezione di prescrizione espressamente respinta dal giudice di primo grado a pagina 9 della sentenza impugnata non era stata ritualmente riproposta, dovendo la stessa essere oggetto di appello incidentale e non potendosi ricavare da un generico inammissibile rinvio per ogni altra eccezione e deduzione agli scritti difensivi di primo grado.

La Corte d’Appello respingeva l’eccezione di inutilizzabilità della consulenza tecnica d’ufficio formulata dalla difesa del P..

Nel merito la Corte d’Appello evidenziava che, con la scrittura privata del 7 settembre 1998 le parti, sulle premesse che era stato acquisito un terreno edificabile da un terzo e che per tale operazione immobiliare non era stato corrisposta la mediazione all’agenzia centro immobiliare di B., avevano concordato un incarico irrevocabile all’appellante di esclusiva, ai sensi dell’art. 1723 c.c., su tutte le future vendite fino ad esaurimento degli immobili con destinazione commerciale, abitativa, uso ufficio, garage, ripostigli e magazzini.

L’art. 2 di tale scrittura prevedeva il riconoscimento all’agenzia di una mediazione del 2% più Iva nel caso che la vendita fosse mediata dalla proprietà o da terzi, e la percentuale doveva essere calcolata su quanto pagato dall’acquirente. L’art. 3, inoltre, riconosceva una mediazione del 2% nel caso la vendita fosse conclusa con clienti presentati dal centro immobiliare di B.. Anche in questo caso la percentuale doveva essere calcolata sul valore totale pagato dall’acquirente.

Il P. contravvenendo ad un suo specifico obbligo al momento della cessione del terreno su cui dovevano essere realizzati gli immobili non aveva fatto inserire nell’atto di compravendita la clausola suddetta e l’individuazione dell’acquirente del terreno edificabile era avvenuta senza il trasferimento dell’impegno per la vendita in esclusiva assunto nei confronti dell’agenzia centro immobiliare di B.. Sul terreno ceduto, come evidenziato nella relazione del consulente tecnico, era stato realizzato un complesso immobiliare denominato (OMISSIS), situato lungo la strada di collegamento tra (OMISSIS) e (OMISSIS).

Dopo aver descritto il complesso immobiliare, la Corte d’Appello evidenziava che la consulenza tecnica aveva accertato che erano state costruite 85 unità immobiliari di varia tipologia e che, pertanto, non aveva fondamento la tesi della difesa del P. circa un preteso disinteresse del B., che non aveva dato corso alle attività di procacciamento di potenziali acquirenti. Infatti, tale tesi, oltre ad essere smentita dalla documentazione in atti, in particolare da una fattura di pagamento di un cartellone pubblicitario, contrastava con il fatto che il B., dopo aver procurato l’acquisto del terreno in capo all’appellato, rinunciando ad un cospicuo importo per la relativa provvigione, avesse poi omesso ogni attività per ottenere i guadagni pattuiti.

Pertanto, considerato che la citata scrittura privata prevedeva un compenso del 2% anche nel caso di vendita mediata dalla proprietà o da terzi, il danno subito dal B. doveva quantificarsi sulla base della consulenza tecnica in Euro 283.685. La consulenza tecnica, peraltro, non era stata disposta per supplire ad una carenza probatoria dell’appellante, essendo invece accertato sulla base di fatti certi ed obiettivi l’inadempimento del P., ma serviva a quantificare il risarcimento sulla base del valore degli immobili.

4. P.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di sei motivi.

5. Equa Srl ha resistito con controricorso.

6. Il ricorrente, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1333,1987,1988,1381,1723,1754 e 1755 c.c..

Il ricorrente ritiene che la sentenza impugnata sia del tutto carente in relazione alla qualificazione giuridica del negozio intercorso tra le parti. Tale aspetto era stato ampiamente discusso tra le parti e su di esso il giudice di primo grado si era ampiamente dilungato al fine di stabilire la natura giuridica della scrittura privata, trattandosi certamente di un negozio atipico.

La Corte d’Appello avrebbe omesso di qualificare il negozio e di indicare la norma applicabile alla fattispecie. Infatti, qualora la scrittura privata del 7 settembre 1998 dovesse qualificarsi come un contratto e non un atto unilaterale, risulterebbe evidente la mancata accettazione dell’incarico e la mancata effettuazione di ogni attività mediatoria.

Peraltro, la Corte non avrebbe esaminato l’evidente sproporzione derivante dalla rinuncia alla provvigione della mediazione maturata per la vendita del terreno, venduto per 560 milioni di lire e che avrebbe comportato a favore del mediatore una provvigione del 2% pari ad Euro 5600, rispetto ad una futura attività di mediazione dell’intero complesso immobiliare, attività peraltro mai svolta.

Inoltre, nella specie, non era stata neanche una richiesta di risoluzione del contratto o di messa in mora ex art. 1454 c.c., segno della rinuncia al negozio stipulato, come testimoniato anche dalla rimozione del cartello pubblicitario unica attività posta in essere.

Qualora invece la scrittura privata del 7 settembre 1998 dovesse qualificarsi come negozio atipico dovrebbe trovare applicazione l’art. 1987 c.c., che esclude l’efficacia delle promesse unilaterali atipiche e, in ogni caso, mancherebbe la causa del contratto vista la sproporzione fra le prestazioni.

In definitiva, secondo il ricorrente, accedendo a tale interpretazione, l’atto unilaterale avrebbe dovuto essere qualificato come atto di liberalità del quale tuttavia mancavano tutti i presupposti, compresa la causa.

1.2 Il primo motivo è infondato.

Il ricorrente sostanzialmente lamenta una mancanza di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del contratto e si sforza di individuarne la natura.

Ciò premesso deve evidenziarsi che non sono in contestazione tra le parti gli elementi di fatto essenziali posti dalla sentenza d’appello a fondamento della propria decisione. E’ pacifico, in particolare, che tra le stesse è intercorso un contratto di mediazione in relazione all’attività professionale svolta dall’agenzia immobiliare di Alessandro B. per la vendita di un terreno edificabile, sito in (OMISSIS), in favore dell’impresa di costruzioni P. B..

E’ pacifico anche che, successivamente, tra le parti è intervenuto un ulteriore accordo con il quale da un lato l’agenzia immobiliare di B. ha rinunciato al pagamento della provvigione per l’opera svolta in relazione al primo contratto di mediazione e dall’altro il ricorrente, acquirente del terreno, si è impegnato a dare in esclusiva alla suddetta agenzia l’incarico professionale di vendita degli appartamenti da realizzare, e ciò anche in caso di vendita del terreno a terzi futuri costruttori degli immobili.

Tale accordo risultava dalla scrittura privata del 7 settembre 1998 della quale la Corte d’Appello riporta anche il testo degli artt. 2 e 3. In particolare, il P. concedeva all’agenzia immobiliare di B. un incarico irrevocabile di esclusiva, ai sensi dell’art. 1723 c.c., su tutte le vendite che sarebbero state effettuate fino ad esaurimento degli immobili con destinazione commerciale, abitativa, uso ufficio, garage, ripostigli e magazzini. Inoltre, il P. riconosceva in favore dell’agenzia una mediazione del 2% più Iva nel caso che la vendita fosse mediata dalla proprietà o da terzi, e la percentuale doveva essere calcolata su quanto pagato dall’acquirente. L’art. 3, inoltre, riconosceva una mediazione del 2% nel caso la vendita fosse conclusa con clienti presentati dal centro immobiliare di B.. Anche in questo caso la percentuale doveva essere calcolata sul valore totale pagato dall’acquirente.

Infine, era prevista anche una clausola penale dell’importo di Lire 250.000.000 in caso di revoca del mandato in esclusiva.

Risulta pacifico, infine, che la scrittura privata oggetto del giudizio costituisca un contratto atipico. La Corte d’Appello, con un’interpretazione immune da censura, ha individuato la causa, l’oggetto e i diritti e gli obblighi nascenti dal suddetto negozio. Una volta qualificato come atipico il contratto, infatti, il compito dell’interprete è quello di individuare la ragione economica dell’affare, la causa e gli obblighi assunti reciprocamente dalle parti. Nel caso di specie, tale operazione interpretativa è stata puntualmente svolta dalla Corte d’Appello che si è analiticamente soffermata su tali aspetti, evidenziando che il nucleo essenziale del contratto era costituito dall’incarico professionale in esclusiva all’agenzia immobiliare di B. in cambio della rinuncia di questi alla provvigione per la mediazione svolta per la vendita del terreno al P.. L’agenzia immobiliare di B., pertanto, avrebbe dovuto porre in essere la relativa prestazione professionale di procacciamento di clienti interessati all’acquisto degli appartamenti.

Tale prestazione, tuttavia, è stata impedita dalla condotta inadempiente del P. che ha ceduto a terzi il terreno senza rispettare il suddetto obbligo contrattuale di assicurare l’esclusiva all’agenzia immobiliare di B. e la mediazione del 2% per la vendita di ogni appartamento da costruire. Pertanto, come correttamente rilevato dalla Corte d’Appello, a fronte del grave inadempimento del P. non assume alcuna rilevanza il fatto che l’agenzia immobiliare abbia posto in essere solo una modesta controprestazione diretta all’espletamento dell’incarico professionale (apposizione di un cartellone pubblicitario), in quanto tale prestazione è divenuta impossibile a causa dell’inadempimento della controparte.

Risulta infondata, pertanto, anche la censura relativa all’evidente sproporzione tra il compenso spettante all’agenzia per la vendita del terreno e quello derivante dalla vendita degli appartamenti da costruire, in quanto la contropartita rispetto alla rinuncia alla provvigione era costituita, con tutta evidenza, dall’assicurarsi il suddetto incarico professionale che poi avrebbe dovuto essere concretamente svolto.

Ad ulteriore dimostrazione della corretta interpretazione operata dalla Corte d’Appello deve richiamarsi il fatto che le parti avevano previsto anche una clausola penale dell’elevato importo pari a Lire 250.000.000 in caso di revoca del mandato, dunque, risulta evidente che nella comune intenzione delle parti vi era piena consapevolezza del valore dell’affare che si stava concludendo. Il risarcimento del danno, infatti, è stato quantificato sulla base dell’inadempimento del P. che aveva reso impossibile la prestazione della controparte che, in mancanza del consenso dei nuovi acquirenti del terreno, non aveva potuto svolgere l’incarico.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1754,1755 e 2950 c.c. e della L. n. 134 del 2012.

La censura attiene al rigetto dell’eccezione di prescrizione sul presupposto che la stessa non era stata riproposta in via incidentale. A parere del ricorrente sulla base della disciplina allora vigente e, dunque, applicabile alla fattispecie, non era necessario proporre appello incidentale.

Il giudice di primo grado, infatti, non aveva rigettato l’eccezione di prescrizione ma aveva ritenuto di riconoscere al B. una somma a titolo risarcitorio e non vi era stato, pertanto, alcun rigetto dell’eccezione di prescrizione fondata sull’art. 2950 c.c. per essere ampiamente decorso il termine annuale in relazione ad ogni singola provvigione derivante dalla stesura del preliminare di compravendita come previsto dalla scrittura del 7 settembre 1998.

Tale eccezione, peraltro, era stata reiterata nel giudizio di appello essendo ritualmente contenuta nella comparsa di costituzione e risposta ed implicitamente dedotta anche con l’appello incidentale volto ad ottenere un totale rigetto delle domande attrici.

2.1 Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Il ricorrente era rimasto soccombente all’esito del giudizio di primo grado, anche se la domanda del B. era stata accolta solo parzialmente, e la statuizione del giudice comportava, quantomeno implicitamente, il rigetto della sua eccezione di prescrizione, la quale avrebbe dovuto essere riproposta con l’appello incidentale.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “In tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocabilmente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345 c.p.c., comma 2, (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2), nè sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure – Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la decisione della corte di appello secondo la quale era necessaria l’impugnazione per introdurre dinanzi ad essa la questione della durata del termine di prescrizione applicabile al caso, in quanto il giudice di primo grado, pur ritenendo che quel termine fosse stato validamente interrotto, ne aveva implicitamente, ma inequivocabilmente, affermato la durata annuale (ex plurimis Sez. 6-3, Ord. n. 24658 del 2017, Sez. U, Sent. n. 11799 del 2017). La Corte d’Appello, infine, ha correttamente evidenziato come l’eccezione di prescrizione non fosse stata riproposta in sede di appello incidentale, non potendosi ritenere sufficiente il generico richiamo alle eccezioni svolte.

Peraltro, la qualificazione della scrittura privata come contratto atipico, rendeva del tutto infondata la suddetta eccezione che presupponeva l’applicabilità dell’art. 2950 c.c. mentre, secondo la giurisprudenza di legittimità, la prescrizione breve di cui alla norma citata non è applicabile alle ipotesi atipiche. Si è detto infatti che: “In tema di rapporti tra mediazione e procacciamento di affari, costituisce elemento comune a dette figure la prestazione di un’attività di intermediazione diretta a favorire tra terzi la conclusione di un affare, con conseguente applicazione di alcune identiche disposizioni in materia di diritto alla provvigione, mentre l’elemento distintivo consiste nel fatto che il mediatore è un soggetto imparziale, e nel procacciamento di affari l’attività dell’intermediario è prestata esclusivamente nell’interesse di una delle parti; ne consegue che sono applicabili al procacciatore d’affari, in via analogica, le disposizioni del contratto d’agenzia, ivi comprese quelle in materia di prescrizione del compenso spettante all’agente, diverse da quelle sulla prescrizione del compenso spettante al mediatore” (Sez. 2, Sent. n. 4422 del 2009).

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: falsa applicazione dell’art. 61 c.p.c. e delle norme processuali che riguardano il petitum.

La censura attiene alla decisione della Corte d’Appello di procedere ad una consulenza tecnica senza una richiesta istruttoria in tal senso da parte dell’appellante, senza che questi avesse fornito la prova dei fatti allegati, e senza che vi fosse una correlazione con la domanda proposta.

Infatti, la domanda era diretta ad ottenere la provvigione per i contratti conclusi e, dunque, non vi era domanda di condanna in futuro. In conclusione, la Corte non avrebbe dovuto disporre d’ufficio la consulenza tecnica, non potendosi sostituire al naturale mezzo di prova raggiungibile su impulso di parte e non potendo acquisire dati ed informazioni non correlati al petitum.

3.1 Il terzo motivo di ricorso è infondato.

Il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile nel giudizio di legittimità.

Nella specie, peraltro, il ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza che, oltretutto, era stata anche esplicitamente indicata dalla Corte d’Appello allorchè, nel rigettare le eccezioni di inutilizzabilità della suddetta consulenza tecnica, aveva evidenziato che la stessa era stata disposta unicamente per determinare il valore degli immobili realizzati al fine della quantificazione del danno derivante dall’inadempimento agli obblighi di cui alla scrittura privata del 7 settembre 1998.

L’appello dell’agenzia immobiliare di B., già confluita nella società Ecua odierna ricorrente, aveva ad oggetto il fatto che la domanda di risarcimento del danno conseguente all’inadempimento del P. fosse stata accolta solo in parte. Nelle conclusioni dell’appellante riportate nella sentenza impugnata si legge che Ecua chiedeva di accertare l’inadempimento del P. rispetto agli impegni assunti con la scrittura privata del 7 settembre 1998 e per l’effetto di condannarlo al pagamento della somma che il centro immobiliare avrebbe conseguito dalla vendita delle unità immobiliari costruite e da costruire. Risulta, pertanto, del tutto infondata la deduzione del ricorrente circa la mancanza di domanda della controparte.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: falsa applicazione e violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4, e delle norme processuali riguardanti il petitum, mancato esame di fatti decisivi.

La censura è analoga a quella fatta valere con il primo motivo, sotto il diverso profilo della mancanza assoluta di motivazione circa la qualificazione giuridica del negozio intercorso tra le parti.

Peraltro, secondo il ricorrente, la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto della mancata accettazione del mandato e della mancata esecuzione dello stesso.

Infine, i rapporti tra le parti non sarebbero stati quelli ricostruiti in sentenza, in quanto i B. erano firmatari del preliminare ed erano soci della Six Towers Srl della quale era stato amministratore l’ingegner P.. I rapporti con la Six Towers non si sarebbero perfezionati per contrasti e mancanza di intenti comuni come risulterebbe da altro giudizio.

4.1 Il quarto motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Nella sentenza impugnata non vi è alcun cenno alle circostanze relative alla partecipazione del B. ad altra società denominata Six Towers e alla stipula di un non meglio precisato contratto preliminare. Ne consegue che qualora si voglia intendere la censura come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, era onere del ricorrente indicare in quale atto avesse sollevato la questione che altrimenti è inammissibile stante il suo carattere di novità. Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di specificità, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio” (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).

Quanto alla censura relativa alla violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4, per mancanza di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica della scrittura privata del 7 settembre 1998, così come per la presunta mancata accettazione ed esecuzione della stessa valgono le motivazioni con le quali si è ritenuto infondato il primo motivo di ricorso.

Infine, quanto alla mancata firma del contratto, la Corte d’Appello ha evidenziato come lo stesso si era perfezionato tanto che l’agenzia di B. lo aveva anche posto in esecuzione mediante l’apposizione di un cartellone pubblicitario.

Deve, a tal proposito ribadirsi, da un lato, che l’incarico a trattare finalizzato ad individuare possibili compratori per un compendio immobiliare non richiede, diversamente dalla procura a vendere, la forma scritta ad substantiam (Sez. 2, Ord. n. 11655 del 2018) e, dall’altro, che nei contratti come quello in esame, per i quali la forma scritta è richiesta soltanto ad probationem, poichè la legge non prescrive la contestuale sottoscrizione delle parti contraenti, l’eventuale mancanza di sottoscrizione di una di esse può essere sostituita dall’inequivocabile manifestazione della volontà di avvalersi del negozio documentato nella scrittura incompleta, in particolare mediante la produzione della stessa in giudizio o l’intervenuta accettazione della medesima fatta allo scopo di avvalersi dei suoi effetti negoziali (Sez. 2, Sent. n. 72 del 2011).

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione delle norme processuali avuto riguardo al petitum e alla causa pretendi, art. 163 c.p.c., errore materiale.

Il giudice di primo grado aveva espressamente statuito che l’attore non aveva chiesto la condanna in futuro e questo capo della sentenza non era stato oggetto di appello, pertanto, non poteva essere disposta la condanna alle vendite non ancora avvenute, dovendosi limitare l’accoglimento della domanda all’effettivo petitum.

Il ricorrente segnala un errore materiale commesso dalla Corte d’appello che non avrebbe tenuto conto degli importi già liquidati.

5.1 Il quinto motivo è infondato.

Si è già detto con riferimento al terzo motivo di ricorso che la controricorrente aveva proposto appello chiedendo la condanna del P. per il danno causato dall’inadempimento agli obblighi derivanti dalla più volte citata scrittura privata, sicchè il motivo è del tutto destituito di fondamento.

Quanto al presunto errore materiale, il ricorso per cassazione non è il mezzo idoneo per farlo valere.

6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’art. 2697 c.c..

Il ricorrente riporta la sentenza di primo grado che aveva stabilito che la conclusione delle altre compravendite non era stata allegata e che l’attore non aveva chiesto condanne in futuro e dove si affermava che al P. poteva solo rimproverarsi di non aver pagato le provvigioni dovute anche in caso di vendita conclusa senza l’intervento dell’attrice. Tale inadempienza era configurabile solo in relazione alle compravendite già concluse dal momento che per i negozi futuri non era possibile ipotizzare alcun attuale inadempimento.

6.1 Il sesto motivo di ricorso è infondato.

Il ricorrente ripropone la medesima censura del riconoscimento del danno non solo per le vendite degli appartamenti che si erano già concluse ma anche per quelle future ed eventuali sotto il diverso profilo della violazione dell’art. 2697 c.c..

Il collegio, sul punto, intende dare continuità al principio del tutto consolidato secondo il quale “In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti – sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5″ (ex plurimis Sez. 3, Sent. n. 13395 del 2018)

In ogni caso, la Corte d’Appello ha chiarito che l’inadempimento del P. si era realizzato nel momento in cui aveva venduto a terzi il terreno, dunque, anche sotto questo aspetto risulta del tutto infondata la tesi del ricorrente circa la mancanza di prova dell’inadempimento per le vendite future.

7. Il ricorso è rigettato.

8. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8000 più 200 per esborsi;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 5 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

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