Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18486 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. II, 04/09/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 04/09/2020), n.18486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6093/2016 proposto da:

IMMOBILIARE CAPRICORNO S.R.L., in persona del legale rappresentante

p.t., e G.G.G., rappresentati e difesi dall’avv.

Pier Alessandro Muratori Casali, elettivamente domiciliata in Roma,

Viale Mazzini n. 140, presso l’avv. Pierluigi Lucattoni.

– ricorrente –

contro

A.R., rappresentata e difesa dall’avv. Guglielmo Della Fontana

e dall’avv. Giovan Ludovico Della Fontana, elettivamente domiciliata

in Roma, Via Cosseria n. 2, presso il Dott. Alfredo Placidi.

– controricorrente –

e

B.G. E Z.A..

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 194/2015,

depositata in data 30.1.2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23.1.2020 dal

Consigliere Giuseppe Fortunato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Celeste Alberto, che ha chiesto di dichiarare

l’inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.R. ha adito il tribunale di Modena, esponendo di aver stipulato, in data 19.1.1988, con G.G.G., in proprio, un preliminare di vendita di un appartamento e di una cantina, per il prezzo di Lire 98.000.000; che il contratto definitivo era stato stipulato, in data 19.2.1990, con l’Immobiliare Capricorno s.r.l. (di cui il promittente venditore era, al momento del preliminare, rappresentante legale), relativamente al solo appartamento, mentre, con scrittura redatta in pari data, la società si era impegnata a trasferire una cantina e a completare taluni lavori di ristrutturazione degli immobili, con l’impegno dell’ A. a restituire l’importo di Lire 6.000.000, trattenuto in sede di stipula del rogito. L’Immobiliare Capricorno aveva, inoltre, stipulato altra scrittura privata con Borrelli Gian Franco e Z.A., con cui questi ultimi si erano impegnati a vendere la predetta cantina, mentre, in data 30.11.1988, era stata disposta la permuta di tale immobile con un sottotetto.

Sul presupposto che gli impegni non fossero stato adempiuti, l’ A. ha chiesto la condanna dell’Immobiliare Capricorno e del G.G. al risarcimento del danno per il mancato trasferimento della cantina, la mancata esecuzione dei lavori di ristrutturazione e per non aver consegnato il certificato di abitabilità dell’immobile.

I convenuti hanno resistito alla domanda, chiedendo di chiamare in causa B.G.F. e Z.A. per essere manlevati. Questi ultimi si sono costituti, instando per il rigetto dell’azione di manleva.

Il tribunale, con sentenza n. 1384/2012, ha accolto la domanda principale, condannando i convenuti al risarcimento del danno, liquidato in Euro 20.830,84, oltre accessori, respingendo le azioni proposte verso i terzi chiamati e compensando le spese.

La sentenza è stata parzialmente riformata in secondo grado.

La Corte di Bologna, ritenuto che la A. fosse legittimata ad agire pur avendo conferito al B. e allo Z. il diritto di promuovere le azioni verso il G., ha osservato, riguardo al risarcimento del danno, che gli appellanti non avevano adempiuto gli obblighi assunti con la scrittura del 19.2.1990, non avendo trasferito la cantina e non avendo eseguito i lavori di ristrutturazione.

Ha ritenuto che correttamente il c.t.u. avesse quantificato il danno, rilevando tuttavia che l’ A. era tenuta a restituire l’importo di Lire 6.000.000 trattenuto a titolo di garanzia, somma che ha scomputato dall’importo globale del risarcimento.

Quanto ai rapporti tra i convenuti e i terzi chiamati, la Corte ha considerato irrilevante la mancata esecuzione della permuta della cantina con il sottotetto, prevista nell’atto transattivo, osservando che “ciò che assume rilievo in questa sede è l’inadempimento degli appellanti verso la A. e non i rapporti intervenuti tra le altre parti, oggetto di diversi rapporti contrattuali”.

La cassazione di questa sentenza è chiesta dalla Immobiliare Capricorno s.r.l. con ricorso in due motivi, illustrati con memoria. A.R. ha depositato controricorso.

Z.A. e B.G.F. sono rimasti intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 112,115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la Corte d’appello abbia erroneamente confermato la sentenza di primo grado riguardo all’ammontare del danno patito dalla resistente anche con riferimento al mancato rilascio della licenza di abitabilità, sebbene, riguardo a tale pregiudizio, la A. avesse rinunciato alla domanda, come era evincibile dalle comparsa conclusionale di primo grado, depositata in data 19.3.2010, e dalla conclusionale di appello, depositata il 25.10.2014.

Il motivo è infondato.

1.1. Deve respingersi anzitutto l’eccezione di inammissibilità formulata dalla controricorrente, occorrendo precisare che il motivo – pur richiamando disposizioni normative eterogenee e non del tutto pertinenti – solleva, tuttavia, un quesito chiaro, vertente sulla violazione dell’art. 112 c.p.c. (norma richiamata anche in rubrica). Non ha rilievo che il prospettato error in procedendo sia stato censurato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La tecnica di redazione dell’impugnazione non risulta pregiudizievole per l’intellegibilità delle questioni e il ricorso, pur avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1 e pur dovendo essere articolato in motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla norma, non richiede formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass. 10862/2015; Cass. 4036/2014; Cass. s.u. 17931/2013).

Non occorreva neppure che fosse riportato per esteso il contenuto della sentenza impugnata, essendone comunque esposto il contenuto essenziale, necessario per valutare la sussistenza delle violazioni denunciate.

Infine, il vizio di ultrapetizione risulta sufficientemente argomentato, sia pure in forma sintetica, non occorrendo l’articolazione di critiche ulteriori alla sentenza impugnata.

1.2. Dall’esame della pronuncia di primo grado (che può direttamente esaminarsi in questa sede, in relazione alla natura del vizio denunciato), risulta che la A. aveva inizialmente richiesto il risarcimento del danno sulla base di due distinte causali: l’omessa effettuazione dei lavori di ristrutturazione, cui aveva dovuto far fronte con sostanze proprie, per un importo di Lire 5.754.141 (Euro 2971,77), pari alle quote condominiali versate, e il mancato trasferimento della cantina, quantificato in Lire 34.580.000 (Euro 17859,07: cfr. sentenza pag. 2).

Nel liquidare il danno, il tribunale ha ritenuto condivisibili le conclusioni del c.t.u., secondo il quale il pregiudizio ammontava ad Euro 7850,14, per il valore della cantina, e ad Euro 10.008,83, pari alla perdita del valore dell’appartamento in quanto privo del vano accessorio e del certificato di abitabilità (cfr. sentenza, pag. 4), per un importo complessivo di Euro 17.858,97.

L’importo finale liquidato in sentenza è stato pari alla somma tra la perdita accertata dalla consulenza (Euro 17.858,97) e le somme versate dalla A. per le quote condominiali relative ai lavori di ristrutturazione Euro 2971,77), per complessivi Euro 20.830,74 (cfr. sentenza, pag. 8).

Sebbene il tribunale abbia – quindi riconosciuto, a titolo di risarcimento, somme che complessivamente includevano l’equivalente del deprezzamento dell’immobile anche per il mancato rilascio della certificazione di abitabilità, resta però che, anche a ritenere che la A. avesse ridotto le proprie richieste (dichiarando, nella comparsa di primo e secondo grado, che la questione dell’abitabilità era ormai superata), l’interpretazione della domanda e l’accertamento di una sua eventuale riduzione alla stregua delle deduzioni difensive dell’interessata erano profili rimessi al giudice di merito, il cui convincimento andava specificamente censurato in appello, prospettando, inoltre, la violazione dell’art. 112 c.p.c..

La censura, che, per quanto detto, prospetta esclusivamente un vizio di ultra-petizione, non può trovare ingresso direttamente in sede di legittimità.

Come già affermato da questa Corte, il motivo con cui il ricorrente lamenti che la sentenza di appello sia incorsa nel medesimo vizio di ultrapetizione dal quale sarebbe stata già affetta la sentenza di primo grado è inammissibile, allorchè la sua deduzione non abbia costituito oggetto, in precedenza, di uno specifico motivo di gravame (Cass. 10172/2015; Cass. s.u. 15277/2001).

Una tale articolata censura non risulta sollevata in secondo grado, ove gli attuali ricorrenti avevano lamentato: a) che il tribunale aveva utilizzato la c.t.u. come mezzo di prova del danno, esonerandone la parte che aveva proposto la domanda (appello, pag. 13); b) che i contraenti avevano stipulato una penale pari ad Euro 6.000,00 e che, quindi, il tribunale non poteva disporre la condanna ad un diverso e maggiore risarcimento (cfr., atto di appello, pag. 14-15; c) che non erano stati esaminati i rapporti tra la Immobiliare e i propri danti causa alla luce della transazione del 23.7.1988, delle successive scritture del 30.11.1988 e 14.6.1994 e della dichiarazione dello Z. del 22.12.2004; d) che nessun accertamento era stato svolto quanto all’inadempimento in cui erano incorsi lo Z. ed il B. (cfr. atto di appello, pagg. 17 e ss.); e) che non spettava alcun risarcimento per le opere di ristrutturazione dell’immobile (cfr. appello, pag. 20).

Tali censure non devolvevano al giudice di secondo grado anche l’esame del contenuto delle domande, nè potevano conferirgli il potere di rivalutare d’ufficio il vizio di ultra-petizione sollevato solo in sede di legittimità, non essendo sufficiente la sola contestazione, effettivamente proposta, riguardo dell’an del risarcimento preteso in giudizio (Cass. 25933/2018; Cass. 181602012; Cass. 10965/2004).

2. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, per aver la sentenza respinto la domanda di manleva verso i terzi chiamati, in totale carenza di motivazione o, comunque, con argomentazioni tali da escludere che detta domanda sia stata effettivamente esaminata. La pronuncia avrebbe, inoltre, omesso di valutare il materiale probatorio consistente: a) nella transazione del 23.7.1988, contemplante l’obbligo dei chiamati in giudizio di trasferire alla ricorrente la proprietà della cantina; b) nella scrittura del 30.11.1988, che documentava l’acquisto da parte del G.G. delle cantine nn. (OMISSIS), con un corridoio e un locale sottotetto;

c) nella transazione del 14.6.1994, con cui era stato previsto l’obbligo del G.G. di trasferire al B. un appartamento al secondo piano, nonchè l’impegno di quest’ultimo a dare esecuzione alla permuta del 30.11.1998; d) nei solleciti rivolti al B. e allo Z. affinchè ottemperassero agli obblighi assunti con i predetti contratti; d) nel rogito del 2.5.2000, con cui il G.G., per conto della ricorrente, aveva ceduto al B. un locale ad uso cantina e l’appartamento al secondo piano, in adempimento della prima transazione; e) nella diffida ad adempiere del 13.9.2004 rivolta ai terzi chiamati, con invito a presentarsi dinanzi al notaio; f) nella missiva del 22.12.2004, con cui lo Z. si era impegnato a concedere un diritto di passaggio dalla cantina; g) nei sette assegni circolari emessi a favore del B. e dello Z., in adempimento della transazione del 14.6.1994.

Il motivo merita accoglimento.

La Corte distrettuale, nel respingere l’azione di manleva della convenuta verso i terzi chiamati in garanzia, ha dato preminente rilievo all’estraneità dell’ A. rispetto agli accordi tra l’Immobiliare Capricorno e i suddetti danti causa, reputando altresì decisivo, per la definizione dell’intera controversia, il solo inadempimento degli appellanti verso la A., nonchè irrilevanti, anche ai fini della manleva, le ragioni che avevano determinato la mancata attuazione della permuta della cantina con il sottotetto, cui i chiamati in garanzia si erano obbligati, sottoscrivendo la transazione.

Trattandosi tuttavia di definire anche l’autonoma domanda con cui gli originari convenuti avevano chiesto di essere manlevati in caso di soccombenza e, dunque, di valutare l’incidenza che la mancata attuazione, in parte qua, della transazione aveva assunto anche rispetto alla violazione degli impegni gravanti sui ricorrenti, l’aver valorizzato, a tali effetti, la sola condotta inadempiente dell’Immobiliare Capricorno e del G.G. e l’autonomia dei due diversi rapporti contrattuali dedotti in causa appare argomentazione del tutto illogica e contraddittoria, posto che l’alterità dei rapporti costituiva proprio il presupposto che legittimava l’esperimento dell’azione di garanzia (non potendo – di per sè – provocarne automaticamente il rigetto) e che il fatto che i ricorrenti avessero violato gli impegni assunti con il contratto del 12.2.1990 non escludeva che detto inadempimento fosse in correlazione con quello imputabile al B. e allo Z., che, pur essendovi tenuti, non avevano permutato la cantina, rendendo inattuabile il successivo obbligo di trasferimento del bene in favore dell’ A..

Configurandosi, dunque, il denunciato vizio di motivazione (pur nei limiti in cui esso è attualmente sindacabile in cassazione: Cass. 23940/2017; Cass. 21257/2014; Cass. 13928/2015; Cass. s.u. 8053/2014), la censura deve essere accolta.

E’ respinto il primo motivo di ricorso ed è accolto il secondo.

La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte di appello di Bologna, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

 

 

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