Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18484 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. II, 04/09/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 04/09/2020), n.18484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19138-2019 proposto da:

D.A., ammesso al patrocinio a spese dello Stato e

rappresentato e difeso dall’Avvocato Luigi Natale con studio in

Avellino via Pescatori n. 60;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Napoli, depositata il 20/05/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/01/2020 dal Consigliere Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

-il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso proposto da D.A., cittadino senegalese, avverso il decreto di rigetto dell’impugnazione proposta nei confronti del diniego dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del riconoscimento delle condizioni per il rilascio del permesso umanitario;

– a sostegno delle domande egli aveva allegato di essere fuggito dal Senegal temendo di subire la stessa sorte del padre, contadino come lui, che nel tentativo di salvare le sue mucche dall’aggressione di alcuni ribelli era stato gravemente ferito e, pur soccorso, era poi deceduto in ospedale;

– il tribunale adito, dopo aver precisato che il richiedente non era comparso all’udienza fissata, sottraendosi alla possibilità di chiarire il racconto reso alla Commissione Territoriale, argomentava che quanto esposto ed indicato nel verbale dell’audizione nella fase amministrativa del 17.1.2018, risultava alla stregua dei criteri individuati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, contraddittorio e generico;

– inoltre, il tribunale statuiva che le circostanze riferite dal richiedente non consentivano di ravvisare gli estremi per il riconoscimento dello status di rifugiato, nè quelli della protezione sussidiaria, anche in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c);

– il tribunale escludeva pure la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria, sottolineando l’insussistenza della prospettata diffusione massiva di malattie quali la meningite, la malaria, la dengue, il tifo, il colera e la chikungunya;

-la cassazione del decreto impugnata è chiesta sulla base di tre motivi;

-non ha svolto attività difensiva l’intimato Ministero; considerato che:

– con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 27, comma 1 bis nonchè la motivazione apparente e perplessa, per avere erroneamente formulato e motivato il giudizio di scarsa credibilità delle dichiarazioni del richiedente;

– il motivo è infondato;

– diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, il tribunale ha fondato la valutazione sulla credibilità del richiedente valorizzando i parametri fissati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 che impongono al giudicante una procedimentalizzazione della valutazione di credibilità avendo riguardo agli sforzi compiuti dal richiedente per circostanziare la domanda, per documentarla ovvero per spiegare le eventuali carenze, sulla valutazione della coerenza e plausibilità e sulla valutazione della tempestività della domanda stessa;

– ciò posto, la corte attraverso un apprezzamento unitario del racconto ha evidenziato i tratti caratterizzanti di esso in relazione alle ragioni dell’abbandono del suo Paese, diversi anni dopo l’aggressione del padre, nonchè il comportamento processuale del richiedente non comparso all’udienza a fornire possibili chiarimenti e, infine, ha motivato diffusamente a pagina 6 del decreto la conclusione di non credibilità;

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 per avere il tribunale erroneamente ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria;

– il motivo è infondato;

– l’esclusione della protezione sussidiaria è fondata sia sulla ritenuta inattendibilità del racconto, circostanza rilevante ai fini della ravvisabilità del grave danno secondo la descrizione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) sia sulla ritenuta inesistenza di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno od internazionale secondo la definizione datane dalla giurisprudenza Eurounitaria (cfr. Corte di Giustizia n. 285/2014);

– con riguardo alla credibilità il tribunale ha considerato il profilo personale del richiedente, ha preso atto dei dichiarati ma non dimostrati problemi di udito, ma ha pure evidenziato le oggettive contraddizioni delle versioni rese nonchè il mancato sforzo di chiarire le circostanze utili alla migliore comprensione dei fatti rinunciando a comparire all’udienza;

– con riguardo alle informazioni sull’aggiornata situazione sociopolitica del Senegal e specificamente all’esame di tutti i fatti pertinenti che riguardano il Paese d’origine al momento della decisione, ivi comprese le disposizioni legislative e regolamentari, come disposto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) il tribunale ha indicato le fonti utilizzate ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 per accertare, in adempimento del potere-dovere di cooperazione officiosa, il carattere oggettivo del grave danno cui il rimpatrio esporrebbe il richiedente (e costituite da Country Report on Human Rights Practices 2017-Senegal del US, Department of State, da Amnesty International Report 2017/2018) ed ha coerentemente motivato sulla base delle infomazioni in esse contenute il rigetto della domanda di protezione sussidiaria;

– i richiami contenuti nel ricorso al Rapporto di Amnesty International non smentiscono le considerazioni svolte dal tribunale perchè si riferiti a situazioni, quali la libertà di riunione, all’iniquità di certi processi, alla libertà d’espressione ed ai diritti dei minori, rispetto alle quali il richiedente non ha allegato alcun concreto pregiudizio, nè il tribunale ha ravvisato limitatamente ad essi una sua concreta esposizione a rischio;

– con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere il tribunale erroneamente ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria;

– il motivo è infondato;

– il tribunale ha correttamente ritenuto che per la sussistenza dell’individuale condizione di vulnerabilità occorra che l’allegazione del richiedente sia effettivamente riscontrata sicchè non è irrilevante l’inattendibilità del racconto reso dal richiedente;

– occorre, tuttavia, che il giudicante verifichi secondo un giudizio comparativo se il rimpatrio forzoso esponga il richiedente al rischio di compromissione dei diritti fondamentali tenendo in considerazione l’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Cass. 4458/2018);

– a questo proposito il tribunale ha escluso, anche superando il giudizio di inattendibilità, che la circostanza allegata dal ricorrente sulla diffusione massiva in Senegal di alcune malattie potesse costituire una speciale condizione di vulnerabilità per motivi di salute e tale conclusione appare coerente ed esaustiva, posto che non risulta allegata altra specifica condizione personale;

– atteso l’esito sfavorevole di tutti i motivi, il ricorso va respinto;

– nulla va disposto sulle spese di lite in ragione del mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato Ministero;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

 

 

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