Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18481 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 26/07/2017, (ud. 06/06/2017, dep.26/07/2017),  n. 18481

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19560/2010 R.G. proposto da:

La Fontana s.r.l. rappresentata e difesa dall’avv. Donella Resta, con

domicilio eletto in Roma, via Maria Cristina 2, presso lo studio

dell’avv. Giovanni Corbyons;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 19/1/2010, depositata il 2 febbraio 2010;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 maggio

2017 dal Consigliere Giuseppe Tedesco.

Fatto

FATTO E DIRITTO

che la contribuente ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale dello Lombardia (Ctr) che ha rigettato l’appello contro la sentenza di quella provinciale, che aveva a sua volta rigettato il ricorso della contribuente contro avviso di accertamento, con il quale erano stati accertati maggiori ricavi per l’anno 2003:

che il ricorso è proposto sulla base di sette motivi al quale l’Agenzia delle entrate ha reagito con controricorso;

che i motivi di ricorso sono inammissibili, perchè la sentenza è per lo più censurata contemporaneamente per violazione di legge e per vizio di motivazione (incorrono in questo vizio il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso), in termini tali da non consentire di separare le censure che riguardano l’interpretazione e l’applicazione delle norme da quelle che riguardano la ricostruzione del fatto;

che altri motivi (come il quinto e il settimo), sotto la veste del vizio di motivazione, sollecitano nella sostanza una revisione del procedimento decisorio, che è attività che non rientra nell’ambito del controllo consentito alla Corte ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo applicabile ratione temporis, “posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità” (Cass. n. 11789/2005);

che il sesto motivo, sotto il profilo della motivazione contraddittoria su fatto controverso, censura la sentenza in ordine al valore attribuito dalla sentenza al certificato di congruità rilasciata dall’Ufficio ai fini Iva, e ciò sotto il profilo che la Ctr, nonostante avesse circoscritto il valore di tale certificato ai fini Iva, aveva poi confermato la ripresa anche ai fini della imposizione indiretta;

che anche questo motivo è inammissibile, perchè il vizio di motivazione può riguardare solo la motivazione del giudizio di fatto, laddove la valutazione della Ctr oggetto di censura esprime un giudizio di diritto: secondo il costante pacifico insegnamento di questa Corte i relativi vizi o costituiscono errori in iudicando censurabili ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 oppure, se attengono propriamente e soltanto alla motivazione, non danno luogo a cassazione della sentenza, ma a correzione della motivazione in diritto ex art. 384 c.p.c., u.c. (Cass. n. 19618/2003; n. 6328/2008; n. 7050/1997);

che, in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

PQM

 

dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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