Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18480 del 01/09/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 18480 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: FALASCHI MILENA

usucapione
SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 27079/08) proposto da:
IMMOBILIARE ROMANELLO s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore,
rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dagli Amti Dario Di Gravio
e Domenico Talarico del foro di Roma ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma,
via Anapo n. 29;
F
ì

Data pubblicazione: 01/09/2014

– ricorrente –

contro
CARAMANNA GIUSEPPE, CARAMANNA ANGELO, CARAMAN,NA MARIA, CARAMANNA
ANNA ROSA e CARAMANNA VINCENZA, rappresentati e difesi dall’Avv.to Sergio Olivieri del
foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, ed elettivamente
domiciliati presso il suo studio in Roma, via Tuscolana n. 346;

Lvt

- controricorrenti avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4973 depositata il 28 novembre 2007.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2014 dal
Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

Capasso, che — in assenza delle parti – ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 10 maggio 1983 Giuseppe CARAMANNA evocava, dinanzi al
Tribunale di Roma, la s.r.l. Immobiliare Romanello per sentire dichiarare l’intervenuto acquisto per
usucapione ventennale della proprietà dell’appartamento sito in Roma- via Gentile da Mogliano n.
117 (già via Romanello da Forlì), posto al secondo piano.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della società convenuta, la quale in via
riconvenzionale chiedeva la condanna dell’attore all’immediato rilascio dell’immobile, nonché al
risarcimento dei danni conseguenti all’abusiva occupazione, oltre ad un indennizzo nei limiti della
prescrizione da liquidarsi in via equitativa, il giudice adito, istruito il giudizio anche con c.t.u.,
espletato intervento volontario dai figli del CARAMANNA, accoglieva la domanda attorea.
In virtù di appello interposto dalla Immobiliare Romanello, prospettando sei motivi di doglianza, la
Corte di appello di Roma, nella resistenza dei CARAMANNA, ad eccezione di Vincenza

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio

Caramanna, che rimaneva contumace, i quali proponevano appello incidentale, respingeva
entrambi i gravami.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che sulla scorta della
consulenza tecnica d’ufficio, in particolare dalla disamina degli atti inerenti la procedura ablatoria,
doveva escludersi che l’espropriazione del Comune di Roma avesse riguardato anche l’immobile
de quo (contrassegnato con la particella 332), attenendo solo alla particella 331.

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NAt

Osservava che quanto al procedimento penale per il reato di violazione di domicilio, poi qualificato
come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, esso atteneva alla occupazione degli appartamenti
nella disponibilità della Corsello (madre dell’attore) e del Borbonaro (genero dell’attore), reato che

ventennio rispetto al 1960, epoca in cui CARAMANNA collocava il postesso del bene.
Aggiungeva che i proprietari dell’immobile in contestazione, succedutisi nel tempo, erano a
conoscenza, come emergeva dei relativi atti pubblici di acquisto, che gli immobili erano occupati
‘da sfollati e profughi’.
Quanto all’origine ed al titolo dell’occupazione, non riteneva che il possesso fosse stato acquisito
con violenza e clandestinità, risultando che nel 1962 — essendo i beni in proprietà della Casa di
Procura della Congregazione dei missionari della Sacra Famiglia — la madre superiora aveva
consentito l’occupazione, non provata l’argomentazione che il cespite fosse abbandonato dal
1977. L’esercizio di un potere potestativo sulla cosa risultava, inoltre, dai contratto di affitto avente
ad oggetto il bene de quo, intervenuto nel 1980, tra Giuseppe Caramenna ed il Sassi.
Concludeva che quanto all’appello incidentale, non era stata proposta una specifica doglianza
relativamente alla statuizione di compensazione delle spese processuali.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma ha proposto ricorso per la cessazione la
società Immobiliare, articolato su cinque motivi, al quale hanno replicato i Carannanna con
controricorso.

era stato contestato ad Antonio e Giannevasio Bonfili, peraltro nel 1983 allorchè era già decorso il

In data 24.4.2014 il procuratore della ricorrente ha depositato visura del Registro delle imprese
relativa allo status della Immobiliare Romanello.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente osservare che non deve tenersi conto della visura del Registro delle
imprese depositata da parte controricorrente, da cui emerge che nelle more del presente giudizio

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(ut

(ossia il 20.2.2014) è intervenuta la cancellazione della società ricorrente dal registro delle
imprese, rilevando al riguardo il Collegio che il principio sancito da questa Corte, nella sentenza
n. 6070 del 2013 delle Sezioni Unite (secondo il quale “la cancellazione della società dal registro

società stessa della capacità di stare in giudizio – con la sola eccezione della fictio furie
contemplata dall’art. 10 legge fall.- pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un
giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli alt. 299
e ss. c.p.c., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci,
successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.; qualora l’evento non sia stato fatto constare
nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato
possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o
essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la
stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere il grado di giudizio nel quale
l’evento estintivo è occorso”), non è applicabile, ai fini della dichiarazione d’interruzione del
processo, nella presente fattispecie essendo la cancellazione intervenuta dopo la proposizione
del ricorso per cassazione e dopo la stessa costituzione in giudizio della medesima società, e,
quindi, dopo l’impugnazione della sentenza e l’instaurazione del contraddittorio in sede di
legittimità.
E’, invece, operante la regula luris secondo la quale nel giudizio di cassazione, il quale è
dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione l’istituto della interruzione del processo per
uno degli eventi previsti dagli aitt. 299 e segg. c.p.c., onde, una volta instauratosi il giudizio, il
decesso di uno dei ricorrenti, comunicato dal suo difensore, non produce l’interruzione del
giudizio ( v. per tutte Cass. S.U. 21 giugno 2007 n. 14385, nonché con specifico riferimento alle
società Cass. 13 ottobre 2010 n.21135 e Cass. 31 maggio 2012 n.8685).

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delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della, società cancellata, priva la

Passando all’esame del ricorso, con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 1158 e 2727 c.c., oltre a vizio 91i motivazione, per essere le
argomentazioni della corte di merito per addivenire alla decisione apodittiche ed incomplete. In

protagonisti della vicenda, tralasciando ogni valutazione circa elementi di prova quali l’essere la
Immobiliare, dal 1962, epoca del suo acquisto, l’unica destinataria dei rapporti con il Comune di
Roma e degli altri uffici pubblici, non solo per le procedure di esproprio in atto e per i vincoli di
piano regolatore, ma anche per la liberazione delle porzioni distrutte e di quelle clandestinamente
occupate. Di converso la corte distrettuale avrebbe in maniera del tutto arbitraria ed ingiustificata,
ritenuto di dovere scindere l’intero complesso immobiliare, per analizzare le varie porzioni che vi
facevano parte al fine di verificare l’esistenza dei presupposti per la prescrizione acquisitiva.
L’illustrazione del mezzo è completata dalla formulazione del seguente quesito di diritto:

“Se, la

valutazione negativa attribuita dal giudice di merito ai singoli elementi di prova ed indiziari acquisiti
in giudizio, senza alcun accertamento ed alcuna valutazione circa il loro valore complessivo,
costituisca errore di diritto per falsa applicazione della norma posta dall’art. 2727 c.c.. In
particolare, si chiede a codesta Ecc.ma Corte se, ai fini dell’accertamento dell’avvenuta
acquisizione della proprietà per usucapione da parte di soggetti terzi, sia sufficiente la valutazione
delle condotte singolarmente tenute dal proprietario e relative alle singole porzioni di terreno (o
unità immobiliari) ovvero se tali condotte debbano essere valutate alla stregua dell’atteggiamento

particolare, non si sarebbe tenuto conto delle condotte complessivamente tenute dai singoli

complessivamente tenuto dallo stesso proprietario in relazione all’intero complesso immobiliare e
ciò in quanto il mancato accertamento da parte del giudice di merito della presunzione iuris tantum
della continuità ininterrotta del possesso costituisce, appunto, errore di diritto per falsa
applicazione della norma posta dall’art. 1142 c.c.”.

Il motivo, con il quale vengono contemporaneamente denunciati violazione di legge e vizio di
motivazione, prospetta censure che nel loro complesso non sono fondate.

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[wf

La prima, infatti, con la quale deduce l’esercizio con intensità del suo diritto di proprietà su tutto il
complesso immobiliare, non coglie il vero senso delle motivazioni addotte dalla Corte territoriale
con le quali si è inteso porre particolarmente in risalto, per svalùtare l’equivoca circostanza

dell’appellante secondo cui la società aveva sempre esercitato i suoi ‘diritti di impresa costruttrice,
nell’ambito dei requisiti propri della fattispecie, quali l’animus ed il tempo, argomentazione che non
risulta in alcun modo censurata. Del pari priva di riscontro è risultata l’affermazione secondo la
quale per il mantenimento del potere di fatto sul bene non occorre da parte del possessore
l’esplicazione di continui e concreti atti di fruizione della cosa, essendo sufficiente che questa,
anche in relazione alla sua destinazione, possa continuare a considerarsi rimasta nella sua
disponibilità (v. pag. 7 della sentenza impugnata, che ha svolto dette considerazioni con
riferimento all’assunto che il Caramanna all’epoca della denuncia di successione della madre
risiedeva in Guidonia e supportata dalla stipula nell’anno 1980 di un contratto di affitto fra il
Caramanna e tale Sassi).

Quanto all’altra doglianza è sufficiente osservare che il principio invocato con riferimento all’art.
2727 c.c. non si attaglia alla concreta fattispecie per le ragioni di seguito esposte. In diritto occorre
rilevare che l’acquisto per usucapione della proprietà per usucapipne ha per fondamento una
situazione di fatto che si caratterizza per il mancato esercizio del diritto da parte del proprietario e
dalla prolungata signoria di fatto sulla cosa da parte di chi si sostituisca a lui nella utilizzazione di
essa. L’inerzia del proprietario si manifesta nel mancato esercizio delle facoltà in cui si concreta il
contenuto del suo diritto e nella mancata reazione contro la signoria esercitata di fatto da altri sulla
cosa costituente oggetto del diritto stesso. L’esercizio da parte del proprietario di taluna delle
facoltà inerenti al suo diritto, oltre a rendere di per sé equivoca e non pacifica l’altrui situazione
possessoria, fa sì che questa non aderisca al contenuto del diritto di proprietà (art. 1140 c.c.), che

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rappresentata dall’avere gestito il complesso, il fatto che non era specifica la deduzione

deve presentare i caratteri della pienezza e dell’esclusività (art. 832 c.c.), e non possa, quindi, dar
luogo all’acquisto del diritto stesso per usucapione.

Dai principi enunciati discende che ove la condotta del proprietario con riferimento all’intero

dell’occupante di un singolo immobile del medesimo complesso (che per ciò ha continuato ad
esercitare una signoria di fatto sul bene corrispondente al diritto di proprietà), il comportamento del
proprietario può essere valutato solo in termini di tolleranza, che per sua natura implica un
elemento di transitorietà e saltuarietà che comporta un godimento di modesta portata, incidente
molto debolmente sull’esercizio del diritto da parte dell’effettivo titolare o possessore e soprattutto
trae la propria origine da rapporti di amicizia o familiarità (cfr Cass. 18 giugno 2001 n. 8194).

Orbene ritiene questo Collegio che la motivazione della sentenza si presenta adeguatamente
articolata, e che in particolare la corte di merito ha esplicitato le fonti di prova, in virtù delle quali ha
ritenuto fondata la pretesa dei Caramanna a vantare il diritto di proprietà dell’immobile in questione
a titolo originario.

Nè è possibile in sede di legittimità prospettare un vaglio alternativo degli elementi acquisiti dal
giudice di merito. Al riguardo infatti la giurisprudenza insegna che la valutazione degli elementi
probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se
non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento.

Nè è ravvisabile il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione, che si configura solamente
allorquando non è dato desumere Inter” logico-argonnentativo condotto alla stregua dei canoni
ermeneutici seguiti per addivenire alla formazione del giudizio. In proposito invero la
giurisprudenza insegna che il vizio di omessa o insufficiente (o contraddittoria) motivazione,
deducibile in sede di legittimità ex art. 360 n. 5 c.p.c., sussiste solo se nel ragionamento del

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complesso immobiliare di cui era titolare non si sia risolto in una limitazione all’esercizio da parte

giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di
punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle
prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citatp norma non conferisce alla

controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta
dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e,
all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le
risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discpssione. Su tali punti dunque
la sentenza impugnata risulta motivata in modo adeguato, oltre che in forma giuridicamente e
logicamente corretta.

Il secondo motivo — con cui è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 116
c.p.c., 1142 e 1158 c.c., oltre a vizio di motivazione — in una confusa ricostruzione della vicenda
quanto all’assenza di un possesso qualificato e continuativo, oltre all’animus possidenti
(occupazione di porzioni di fabbricato per mansioni di guardiani e di dipendenza, presenza non
continua nell’appartamento- una volta al mese e per qualche ora), pone il seguente quesito di
diritto: “se, ai fini dell’accertamento dell’avvenuta acquisizione della proprietà per usucapione da
parte di soggetti terzi, il riconoscimento della natura obbligazionaria possesso in forza di contratto
di affitto gratuito ovvero dietro pagamento in natura valga ad escludere l’elemento psicologico
dell’animus possidendi di cui all’art. 1158 c.c.”.

Anche detto motivo è infondato.
La corte distrettuale nel respingere i motivi quinto e sesto di appello ha sostenuto che il possesso
era iniziato nel 1960, a seguito dell’assenso all’occupazione dato dalla Superiora della
Congregazione proprietaria dei complesso immobiliare, e mai interrotto. L’argomentazione
risponde all’esigenza di chiarire che il giudice del merito ha escluso il carattere violento od
occulto dell’impossessamento, nonché la natura di mera detenzione della relazione di fatto con il

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Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di

bene (peraltro dedotto solo in sede di legittimità l’esistenza di un rapporto di comodato da cui
sarebbe scaturita l’occupazione). E’ stata, inoltre, evidenziata nell’ambito del medesimo quadro
probatorio l’ulteriore circostanza che all’atto dell’acquisto, avvenuto nel 1962, la società
Immobiliare era a conoscenza dell’occupazione, in quanto espressamente menzionata nel

rispettare gli eventuali accordi conclusi dall’alienante con i terzi, occtwanti gli immobili trasferiti,
essendo inapplicabile il fenomeno successorio di cui al disposto dell’art. 1599 c.c. anche alla
ipotesi di comodato (al riguardo v. Cass. n. 2343 del 2006 e Cass. n. 1940 del 2004).
Solo per completezza argomentativa va, infine, osservato che la domanda riconvenzionale volta
al recupero del possesso risulta proposta solo nel 1983 e lo stesso episodio del 25.3.1983 (dal
quale scaturì la denuncia penale di esercizio arbitrario delle proprie ragioni) hanno riguardato atti
successivi al ventennio necessario per maturare l’usucapione.
Il terzo motivo, con cui è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e
1163 c.c., oltre a vizio di motivazione, insiste nella denuncia di mancanza di prova della
consistenza effettiva delle porzioni di fabbricato occupato dalla Corsello (parente del frate
Vincenzo Caramanna, per intercessione del quale le suore, originarie proprietarie del complesso,
avrebbero dato alla stessa il possesso del bene), nonché del relativo titolo, configurandosi — ad
avviso della ricorrente — una ipotesi di occupazione clandestina rispetto alla società immobiliare.
A corollario del mezzo è formulato il seguente quesito di diritto: “se, ai fini dell’accertamento

contratto di compravendita (v. pag. 6 della sentenza impugnata); nè l’acquirente non era tenuta a

dell’avvenuta acquisizione della proprietà per usucapione da parte di soggetti terzi, in assenza
totale di documentazione comprovante il titolo del possesso, tale possesso debba essere inteso
vim et clam con la conseguenza che il computo del periodo ventennale per l’eventuale
acquisizione prescrittiva può iniziare a decorrere dal momento in cui venga a cessare la violenza
o clandestinità ex art. 1163 c.c.”.

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m

A parte il rilevare l’inammissibile riferimento del motivo al possesso da parte di un terzo soggetto,
certa Corsello, la censura risulta manifestamente infondata in quanto si incentra su un
presupposto — l’asserito possesso violento e/o clandestino del bene — che è stato definitivamente
escluso dal giudice distrettuale, per quanto sopra esposto (v. mezzo n. 2).

1158 c.c., oltre a vizio di motivazione, quanto alla valutazione delle ‘deposizione dei testi ed ai
riferimenti alla sentenza penale (la controparte avrebbe abitato in Guidonia per tutto il tempo, i
locali a Roma erano vuoti o occupati da altre persone) e formula il seguente quesito di diritto: “se,
ai fini dell’accertamento dell’avvenuta acquisizione della proprietà per usucapione da parte di
soggetti terzi, valutazione del giudice di merito il giudizio sulla base di semplici presunzioni, non
sorretta da valida ed adeguata motivazione logica e giuridica anche in relazione agli altri elementi
di prova forniti, costituisca errore di diritto per falsa applicazione di legga”.

L’illustrazione del quarto motivo, peraltro genericamente articolato, è conclusa con la formulazione di
un quesito di diritto astratto, che non evidenzia i dati processuali dai quali dovrebbe dedursi la
violazione delle norme invocate nella fattispecie e non ne chiarisce il contrasto con l’interpretazione
della norma fornita dalla Corte di merito. Trascura inoltre di considerare che !a Corte distrettuale ha
evidenziato gli elementi di giudizio dai quali ha tratto il convincimento della sussistenza dei requisiti di
cui all’art. 1158 c.c. per ritenere intervenuta l’usucapione.
Il quinto motivo, con cui è lamentata la nullità della sentenza ex art. 395 nn. 1 e 3 c.p.c.,
deduce una ipotesi di dolo revocatorio, sussistendo a avviso della ricorrente un vero e proprio
artificio o raggiro soggettivamente diretto e oggettivamente idoneo a paralizzare la difesa della
società e ad impedire al giudice l’accertamento della verità.
Il mezzo è inammissibile in quanto non tiene conto che il ricorso per cassazione è limitato alle
fattispecie previste dall’art. 360 c.p.c. e non può estendere l’esame su questioni sollevate per la
prima volta nel giudizio di legittimità. L’errore di fatto e il dolo della parte potranno quindi essere

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Con il quarto motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e

dedotti, sussistendone i presupposti, con l’impugnazione per revocazione contro la sentenza
avanti al medesimo giudice di appello qualora tali vizi inficino la portata delle statuizioni che
definiscono la vertenza tra le parti.
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso non può trovare accoglimento e deve

Le spese giudiziali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese dei giudizio di
Cassazione, che liquida in complessivi E. 5.700,00, di cui E. 200,00 per esborsi, oltre a spese
forfettarie ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, 1’8 maggio 2014.

essere respinto.

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