Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1848 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/01/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 28/01/2021), n.1848

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Aldo – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16254-2019 proposto da:

T.S., T.L., T.R., T.C., tutti

eredi del Sig. T.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA REGINA MARGHERITA, 27, presso lo studio dell’avvocato

MASSIMILIANO PANCA, rappresentati e difesi dall’avvocato FABRIZIO

LOSITO;

– ricorrenti –

contro

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO DAMNELLI;

– controricorrente –

contro

F.M., F.S.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1346/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 03/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

OSSERVA

– Il Tribunale di Bergamo accolse la domanda, con la quale F.F., qualificatosi comproprietario di un fabbricato, aveva chiesto condannarsi T.A., che lo deteneva senza titolo, a rilasciarlo, per contro disattendendo la domanda riconvenzionale con la quale il convenuto aveva chiesto che egli fosse dichiarato proprietario del bene, avendolo acquistato per usucapione;

– la Corte d’appello di Brescia, rigettò l’impugnazione di T.A., condividendo il vaglio probatorio di primo grado e negando la prospettata violazione dell’art. 188 c.p.c., poichè in sede di precisazione delle conclusioni l’appellante non aveva insistito per l’esperimento di prove ulteriori;

– con il ricorso di T.C., S. e L., tutti eredi di T.A., fondato su un solo motivo, al quale si contrappone il controricorso del F., viene denunziato l’omesso esame di fatti controversi e decisivi in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5″ poichè la Corte locale aveva confermato, senza ragione alcuna, il diniego del Tribunale dell’accesso a una decisiva prova per testi;

– al ricorso i ricorrenti hanno fatto seguire memoria con allegato il certificato di morte di T.A.;

– la doglianza non supera il vaglio d’ammissibilità, in quanto:

a) l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, art. 54, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (si rimanda alla sentenza delle S.U. n. 8053/2014);

b) la sentenza d’appello, al contrario dell’assunto impugnatorio, non ha negato tout court accesso alla prova orale, sulla quale si insiste in ricorso, bensì l’ha giudicata inammissibile perchè non reiterata in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, secondo l’insegnamento più volte espresso da questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. n. 22883/2019);

– la ratio decidendi sopra esposta, costituendo la ragione più liquida, preclude il vaglio dell’eccepito difetto di legittimazione avanzato dal resistente, assumendo che i ricorrenti non avevano provato la qualità di eredi del defunto T.A..

Diritto

CONSIDERATO

che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle svolte attività, siccome in dispositivo;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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