Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18478 del 21/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 21/09/2016, (ud. 08/06/2016, dep. 21/09/2016), n.18478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28409/2011 proposto da:

C.E., CA.AN., elettivamente domiciliate in ROMA VIA

A. GRAMSCI 54, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO TASCO, che

le rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO POZZI

giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

CA.AN.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 223/2010 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 24/11/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/06/2016 dal Consigliere Dott. MARINA MELONI;

udito per le ricorrenti l’Avvocato POZZI che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato GENTILI che si riporta agli

atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate Ufficio di Roma con avviso di liquidazione d’imposta accertava che la contribuente C.E. aveva indebitamente usufruito delle agevolazioni edilizie previste per l’acquisto della prima casa di cui alla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 131, in quanto l’immobile da lei acquistato sito nel comune di Roma doveva essere considerato di lusso perchè avente superficie utile superiore a 240 mq, e pertanto ne disponeva il recupero applicando interessi di legge.

Avverso l’avviso di recupero d’imposta la contribuente propose ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma che lo accolse con sentenza appellata dall’Agenzia delle Entrate davanti alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

I giudici di secondo grado accolsero l’appello dell’Ufficio ritenendo che il computo della superficie totale dell’immobile ricavabile dalla planimetria ammontasse a 270,59 mq.

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha proposto ricorso per cassazione C.E. con quattro motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi tre motivi di ricorso la ricorrente lamenta omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in ordine a quanto già eccepito in sede di controdeduzioni all’appello dell’Ufficio e precisamente: sulla eccepita violazione di legge e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inammissibilità del ricorso in appello per mancata specificazione dei motivi dell’impugnazione; sulla eccepita violazione di legge e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per inammissibilità del ricorso in appello per proposizione di motivi e domande nuove; sulla eccepita assoluta infondatezza degli apparenti motivi di censura sollevati in appello dall’Ufficio.

Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta omessa o insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la CTR ha recepito la nota dell’Agenzia del Territorio del 10 settembre 2009 disattendendo invece la perizia di parte depositata in primo grado del l’Arch. D. dalla quale risulta che la superficie inferiore a 240 mq.

I primi tre motivi di ricorso sono infondati e devono essere respinti in quanto i giudici di secondo grado hanno implicitamente respinto tutte e tre le censure.

Infatti non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355).

Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n. 748; Cass., 23/6/1967, n. 1537).

Sulla mancata motivazione del giudice di appello in ordine alle analitiche contestazioni mosse dalla contribuente occorre considerare che secondo risalente insegnamento di questa Corte, (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932) “Al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacchè nè l’una nè l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse”.

In ogni caso in riferimento al primo motivo secondo sez. 5, Sentenza n. 1224 del 19/01/2007 sulla indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione richiesta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, occorre chiarire che: “Nel processo tributario, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza. E’ pertanto irrilevante che i motivi siano enunciati nella parte espositiva dell’atto ovvero separatamente, atteso che, non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere “specifici” i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purchè in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni”.

E’ altresì infondato il quarto motivo di ricorso avendo i giudici di appello con accertamento di fatto non sindacabile in questa sede affermato che la superficie totale ammonta a 270,59 mq, sulla base della nota dell’Agenzia del Territorio del 10 settembre 2009, disattendendo quindi implicitamente la perizia di parte depositata in primo grado del l’Arch. D. dalla quale risulta che la superficie inferiore a 240 mq.

A tal riguardo occorre ricordare che l’elencazione dei locali esclusi dal computo dei 240 mq di superficie utile prevista dal D.M. 2 agosto 1969, art. 6 (cantine, soffitte, terrazzi e balconi) è tassativa.

Questa Corte ha avuto modo di stabilire che (sez. 5, Sentenza n. 861 del 17/01/2014) “In tema di imposta di registro, ipotecarie o catastali, per stabilire se un’abitazione sia di lusso e, quindi, esclusa dai benefici per l’acquisto della prima casa ai sensi della tariffa 1, art. 1, nota 2 bis, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, la sua superficie utile – complessivamente superiore a mq. 240 – va calcolata alla stregua del D.M. Lavori Pubblici 2 agosto 1969, n. 1072, che va determinata in quella che – dall’estensione globale riportata nell’atto di acquisto sottoposto all’imposta – residua una volta detratta la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e del posto macchina, non potendo, invece, applicarsi i criteri di cui al D.M. Lavori Pubblici 10 maggio 1977, n. 801, richiamato dalla L. 2 febbraio 1985, n. 47, art. 51, le cui previsioni, relative ad agevolazioni o benefici fiscali, non sono suscettibili di un’interpretazione che ne ampli la sfera applicativa.

Per quanto sopra il ricorso deve essere respinto e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Respinge il ricorso, condanna C.E. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.000,00 complessivamente oltre spese accessorie come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 8 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2016

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