Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18478 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. II, 04/09/2020, (ud. 20/01/2020, dep. 04/09/2020), n.18478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 870-2016 proposto da:

CENTRO SERVIZI FISCALI SRL, S.F., M.S.

rappresentati e difesi dagli avvocati M.S. e

S.F.;

– ricorrenti –

contro

STUDIO C. STP SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO PANZARANI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2335/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 21/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/01/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società Centro Servizi Fiscali S.r.l. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Treviso su richiesta dalla S.r.l. studio C. che le ingiungeva di pagare la somma di Euro 2432,80.

1.1 Si costituiva l’opposta eccependo l’intempestività dell’opposizione e la carenza di legittimazione della parte avversaria.

2. Il Tribunale di Treviso confermava il decreto opposto e dichiarava la carenza di procura alle liti da parte dell’opponente e condannava i difensori alla rifusione, in favore della controparte, delle spese di giudizio, oltre al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c..

3. La Centro Servizi Fiscali S.r.l. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

La Corte d’Appello accoglieva solo in parte l’impugnazione, limitatamente alla condanna ex art. 96 c.p.c. dei difensori. Per quel che ancora rileva la Corte d’Appello rigettava l’impugnazione rilevando che, sin dal primo atto difensivo, era stato eccepito che T.A., definito come legale rappresentante pro tempore dell’appellante, avesse la rappresentanza processuale della società Centro servizi fiscali. Infatti, dalla visura camerale della società opponente risultava che lo statuto attribuiva la rappresentanza della società al presidente del consiglio di amministrazione o, in sua assenza, al vicepresidente ovvero all’amministratore unico, dunque, il legale rappresentante era F.G. e T.A. invece non risultava neanche far parte del consiglio di amministrazione.

Nonostante tale eccezione l’appellante non aveva prodotto nessun prova della sussistenza della rappresentanza, facendo riferimento a una delega che, invece, non risultava dagli atti del giudizio.

2. La società Centro servizi fiscali S.r.l., nonchè M.S. e S.F. in proprio, hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.

3 La società Studio C. ha resistito con controricorso.

4. I ricorrenti, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, hanno insistito nella richiesta di accoglimento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve evidenziarsi che il ricorso è ammissibile solo per quanto riguarda la posizione processuale dei ricorrenti M.S. e S.F., mentre deve rilevarsi la mancanza di procura speciale rilasciata ai difensori per la rappresentanza della Società Servizi S.r.l., rispetto alla cui posizione processuale, pertanto, deve affermarsi l’inammissibilità del ricorso.

Per quanto riguarda, invece, i suddetti ricorrenti M.S. e S.F., questi hanno interesse ad agire in proprio, essendo stati condannati personalmente al pagamento delle spese di lite.

Sussiste pertanto la loro legittimazione attiva a proporre l’impugnazione per contestare la decisione della Corte d’Appello di rigetto del motivo relativo all’inesistenza della procura alle liti, che, come si è detto, costituisce il presupposto della suddetta condanna dei difensori, in proprio, al pagamento delle spese processuali sulla base della giurisprudenza che afferma che in caso di inesistenza della procura alle liti il rapporto processuale si crea in capo al legale personalmente non potendo il soggetto falsamente rappresentato rispondere dell’agire del falsus procurator.

1.1 Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 75,83 e 182 c.p.c..

I ricorrenti censurano la sentenza della Corte d’Appello di Venezia nella parte in cui ha ritenuto inesistente la procura rilasciata da soggetto privo dei poteri rappresentativi della società che nel giudizio di primo grado rivestiva la parte della opponente.

In particolare, i ricorrenti contestano che la Corte d’Appello abbia ritenuto inesistente la procura perchè rilasciata da soggetto non anagraficamente identificato. Mentre nel caso di procura rilasciata da parte del legale rappresentante di una società o di chi ne fa le veci non è necessario indicare gli estremi anagrafici della persona fisica che sottoscrive la procura. Peraltro, nel caso il signor T. non fosse soggetto abilitato al rilascio, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 182 c.p.c. secondo il quale, in caso di difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione il giudice deve promuovere la sanatoria dello stesso in qualsiasi fase e grado del giudizio, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa. E ciò indipendentemente dalle cause che l’hanno determinato.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione degli artt. 75,83 e 125 c.p.c..

Secondo i ricorrenti la costituzione in grado di appello del titolare del potere di rappresentare la società sin dal momento dell’instaurazione del giudizio comporta la regolarizzazione del rapporto processuale e la riferibilità alla società di tutti gli atti processuali delle procure compiute in suo nome. Il difetto di legittimazione processuale della persona fisica che agisce in giudizio in rappresentanza di un ente può essere sanata in qualunque stato e grado del giudizio con efficacia retroattiva.

I ricorrenti evidenziano che il vizio della procura non concerneva la legittimazione ad agire o lo ius postulandi ma solamente la capacità processuale in quanto relativo a un difetto di legittimazione processuale e tale tipo di vizio può essere sanato in ogni stato e grado del giudizio con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti. Una diversa interpretazione dell’art. 125 c.p.c. contrasterebbe con il disposto di cui all’art. 182 c.p.c..

2.1 I primi due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione, possono essere trattati congiuntamente, sono infondati per una pluralità di ragioni.

In primo luogo, non può che ribadirsi il seguente principio di diritto affermato nel 2014 dalle sezioni unite: “il principio secondo cui gli atti posti in essere da soggetto privo, anche parzialmente, del potere di rappresentanza possono essere ratificati con efficacia retroattiva (salvi i diritti dei terzi) non opera nel campo processuale, ove la procura alle liti costituisce il presupposto della valida instaurazione del rapporto processuale e può essere conferita con effetti retroattivi solo nei limiti stabiliti dall’art. 125 c.p.c., il quale dispone che la procura al difensore può essere rilasciata in data posteriore alla notificazione dell’atto, purchè anteriormente alla costituzione della parte rappresentata, e sempre che per l’atto di cui trattasi non sia richiesta dalla legge la procura speciale, come nel caso del ricorso per cassazione, restando conseguentemente esclusa, in tale ipotesi, la possibilità di sanatoria e ratifica” (Sez. U, Sentenza n. 13431 del 13/06/2014 Rv. 631299).

A tale principio generale, già di per sè dirimente, deve aggiungersi quello affermato da altro consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui il nuovo testo dell’art. 182 c.p.c., comma 2, (introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69), in virtù del quale il giudice che rilevi la nullità della procura, assegna un termine per il rilascio della procura o per la rinnovazione della stessa, non ha portata meramente interpretativa e non si applica, perciò, retroattivamente, atteso il tenore testuale fortemente innovativo della norma (v. tra le varie, Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26465 del 09/12/2011 Rv. 620618; Sez. 6 – 2, Sentenza n. 21753 del 23/09/2013 Rv. 627776; Sez. 6 – 2, Sentenza n. 21754 del 2013 e ancora, nello stesso senso, Sez. L, Sentenza n. 30245 del 2017).

Come chiarito dalla pronuncia da ultimo richiamata, è solo con il nuovo testo che si introduce per la procura alle liti, oltre che per i vizi di rappresentanza ed assistenza, la concreta possibilità di una sanatoria o rinnovazione e tale palese effetto innovativo delle regole processuali non può confondersi con il diverso problema della eventuale immanenza nell’assetto processuale preesistente alla L. n. 69 del 2009 di un principio generale che imponesse, e non solo consentisse, al giudice di procedere alla regolarizzazione delle situazioni irregolari. Di tale questione, invero, si occuparono le Sezioni Unite del 19 aprile 2010 n. 9217 (non seguite da Cass. 3700/2012 e 12686/2016), che, infatti, ebbero ad oggetto la diversa fattispecie di invalida costituzione in giudizio della persona incapace, inabilitata ed assistita dal curatore e non ipotesi di procura alle liti irregolare (così, Sez. L, Sentenza n. 30245/2017 cit.).

E pur vero che nel panorama giurisprudenziale si registra anche qualche affermazione dissonante, come la recente Sez. 3, Ord. n. 28824 del 2019 che ha ripreso il principio affermato da Sez. 1, Sentenza n. 22559 del 2015, secondo cui: “L’art. 182 c.p.c., comma 2, (nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009), secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione “può” assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, deve essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, nel senso che il giudice “deve” promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio ed indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali”.

Anche volendo accedere all’interpretazione più favorevole ai ricorrenti, in ogni caso il difetto di rappresentanza processuale e sostanziale non sarebbe sanabile in quanto, secondo le sezioni unite, il potere d’ufficio del giudice di attivarsi per la sanatoria ex art. 182 c.p.c. si arresta quando vi sia stata l’eccezione di parte, rispetto alla quale la controparte sia rimasta inerte (Cass. S.U. n. 4248/2016).

Si è detto, infatti, che il difetto di rappresentanza processuale ovvero il vizio di invalidità o assenza della procura ad litem possa essere sanato, senza che operino le ordinarie preclusioni istruttorie, ma laddove il rilievo del vizio sia stato eccepito dalla controparte, l’onere di sanatoria del rappresentato sorge immediatamente, non essendovi necessità di assegnare un termine, che non sia motivatamente richiesto, giacchè sul rilievo di parte l’avversario è chiamato a contraddire.

Nel caso di specie il difetto di rappresentanza era stato eccepito sin dalle prime difese dello studio C. e, come si legge nella sentenza impugnata, nel corso del giudizio di primo grado i ricorrenti non avevano in alcun modo sanato il suddetto vizio, essendosi limitati a far riferimento ad una delega di poteri al T., firmatario della procura, delega che tuttavia non era stata prodotta in giudizio. Ne consegue che, a fronte della contestazione dello Studio C. risulta che la parte ricorrente non si è attivata per provvedere alla sanatoria del vizio denunciato, nè ha chiesto la concessione del termine di cui all’art. 182 c.p.c., con la conseguenza che deve escludersi la fondatezza del motivo in esame.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Violazione e falsa applicazione degli artt. 75,83,91 e 92 c.p.c..

In sostanza i ricorrenti evidenziano che sulla base delle considerazioni espresse nei motivi precedenti non poteva ritenersi inesistente la procura rilasciata per il giudizio di primo grado, e pertanto, non poteva applicarsi il principio secondo il quale il difensore assume di fatto la posizione di parte processuale con conseguente condanna delle spese a suo carico. Infatti, trattandosi di procura rilasciata da soggetto privo di poteri rappresentativi, giammai la stessa avrebbe potuto definirsi inesistente; di conseguenza giammai si sarebbe potuta ritenere ammissibile la condanna alle spese da parte dei difensori.

3.1 Il terzo motivo è infondato.

La censura, a seguito del rigetto dei primi due motivi di ricorso è manifestamente infondata, ed è sufficiente richiamare il seguente principio di diritto cui il Collegio intende dare continuità: “In materia di disciplina delle spese processuali, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi (come nel caso di inesistenza della procura ad litem o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l’atto è speso), l’attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio” (Sez. 6-3, Ord. n. 14474 del 2019).

4. In conclusione il ricorso proposto dalla Società Servizi Fiscali srl è inammissibile mentre quello proposto da M.S. e S.F. in proprio è rigettato.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti principali di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Centro Servizi Fiscali, s.r.l. rigetta il ricorso proposto da M.S. e S.F. in proprio e li condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.500 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato previsto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 131, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 20 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

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