Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18476 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 26/07/2017, (ud. 04/05/2017, dep.26/07/2017),  n. 18476

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14319/2010 R.G. proposto da:

Valvitalia S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Prof. Stefano

Petrecca e dall’Avv. Rosamaria Nicastro, con domicilio eletto in

Roma, via Giovanni Paisiello, n. 33, presso lo studio “Di Tanno e

associati”;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 79/1/09 depositata il 23 novembre 2009.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 4 maggio 2017

dal Consigliere Iannello Emilio;

uditi l’Avv. Rosamaria Nicastro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Del Core Sergio, che ha concluso chiedendo il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Tormene Gas Technology S.p.A. proponeva separati ricorsi avanti la C.T.P. di Padova avverso due avvisi di accertamento e due atti di irrogazione sanzioni con cui l’Ufficio, sulla base di un p.v.c. della Guardia di Finanza (a sua volta traente origine da verifiche condotte dall’Inps a carico di una terza società, la Vega S.r.l.), con riferimento agli anni 2002 e 2003, aveva ad essa contestato l’omessa effettuazione e il mancato versamento di ritenute d’acconto sui redditi di lavoro dipendente, con conseguente recupero delle imposte non trattenute e non versate e l’applicazione delle sanzioni conseguenti alle mancate dichiarazioni del sostituto d’imposta. Ciò in ragione del disconoscimento degli effetti di contratti di appalto di servizi (effettuati dalla Vega S.r.l., tramite proprio personale, a favore della Tormene) in quanto stipulati in violazione del divieto posto dalla L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1. Sulla base dei medesimi elementi l’Ufficio aveva altresì determinato, per gli stessi anni, maggiori imponibili Irap e, per il solo 2003, anche maggiori imponibili Iva e Irpeg, notificando alla Tormene, per il recupero delle maggiori imposte conseguentemente calcolate, altri due avvisi di accertamento, anch’essi da questa separatamente impugnati.

I ricorsi – trattati in due separati giudizi: nel primo dei quali erano riuniti i quattro proposti avverso gli avvisi di accertamento, nel secondo gli altri due proposti avverso gli atti di irrogazione di sanzioni – erano tutti rigettati dalla adita C.T.P. rispettivamente con sentenze n. 13/02/2008 depositata il 23/5/2008 e n. 3/10/2009 depositata il 12/1/2009.

2. Con sentenza depositata in data 23/11/2009 la C.T.R. del Veneto rigettava, previa riunione, i gravami proposti dalla Valvitalia S.p.A. (società nella quale la Tormene Gas Technology S.p.A. era stata nelle more incorporata), affermando la piena legittimità degli atti tutti impugnati.

3. Avverso tale decisione la società contribuente propone ricorso articolando sette motivi.

L’Agenzia delle entrate non ha svolto difese nella presente sede ma ha depositato c.d. atto di costituzione al fine della partecipazione all’udienza di discussione.

La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso la società contribuente deduce insufficiente e contraddittoria motivazione, circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui “il ricorso alle disposizioni di cui alla L. n. 1369 del 1960, art. 1, non ha costituito la meccanica applicazione di un quadro normativo proprio del settore giuslavoristico alla materia finanziaria, quanto piuttosto integrato l’utilizzazione di un fatto storicamente ed incontrovertibilmente accertato…”. Lamenta che tale motivazione è inidonea a rendere conto dei passaggi logici che hanno consentito al giudice di superare il tenore degli atti che espressamente fondavano la ripresa a tassazione sulla base dell’applicazione della disciplina predetta e che, comunque, essa non risolve la “questione principale… se le norme in materia di intermediazione di manodopera legittimino una trasmigrazione degli oneri tributari del soggetto commissionario al soggetto committente”.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione L. n. 1369 del 1960, art. 1, in combinato disposto con D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. attribuito rilievo anche ai fini fiscali alla violazione del divieto di intermediazione di manodopera operante invece assume – esclusivamente sul piano giuslavoristico.

Sostiene la ricorrente che manca comunque, in concreto, il presupposto per il sorgere, a proprio carico, dell’obbligo del versamento d’imposta in veste di sostituto, atteso che gli emolumenti ai lavoratori dipendenti sono stati versati da altro soggetto, ossia dalla Vega S.r.l..

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia poi violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici d’appello rigettato il motivo di gravame con il quale si deduceva l’illegittimità degli avvisi di accertamento emessi per il recupero di maggiori imposte Irpeg, Irap e Iva per carenza degli elementi legittimanti l’accertamento analitico – induttivo, a tal fine non potendo considerarsi conducente – assume – la mera riqualificazione dei costi contabilizzati all’interno del conto denominato “Manutenzioni interne”, da costi per servizi in costi per manodopera. Rileva trattarsi di mera fictio iuris diretta, per volontà legislativa, a giustificare l’applicazione ai lavoratori del trattamento economico più favorevole, ma non anche idonea a rappresentare per ciò stesso anche un fatto noto da cui poter risalire, secondo il ragionamento presuntivo previsto dalle norme citate, anche all’esistenza di ricavi occulti. Soggiunge che peraltro manca anche la prova del fatto posto a fondamento della detta finzione giuridica, essendo stato questo tratto da ispezioni e accertamenti condotti nei confronti della Vega S.r.l. e non nei confronti della Tormene, non potendo a tal fine considerarsi sufficiente la mera notifica dei relativi verbali ad essa ricorrente.

4. Con il quarto motivo la società contribuente deduce insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al rigetto dell’ulteriore motivo di gravame con il quale si contestava la fondatezza nel merito degli avvisi di accertamento predetti, con particolare riferimento ai criteri utilizzati dall’Ufficio finanziario per giustificare i recuperi d’imposta (costo dei lavoratori impiegati così come indicato nelle fatture emesse da Vega S.r.l., moltiplicato per le ore lavorative prestate). Essendosi al riguardo affermato in sentenza che “tale criterio non risulta essere stato seriamente ed analiticamente contestato dalla società appellante” in sede di accertamento con adesione, censura la ricorrente l’infondatezza di tale rilievo, trattandosi di contestazione oggetto di specifica censura con il terzo motivo d’appello. Evidenzia al riguardo che, con tale motivo, si era rimarcato che quelli posti a base del calcolo non potevano considerarsi costi relativi a “retribuzioni in nero” ma erano gli stessi costi relativi ai servizi acquistati da Vega S.r.l., con regolare fatturazione. Donde la necessità, obliterata dall’Ufficio e dal giudice di merito, per non incorrere in una doppia imposizione vietata dall’ordinamento, di sottrarre, dai maggiori ricavi calcolati su detta base presuntiva, l’ammontare dei ricavi dichiarati derivanti dai costi per servizi, con l’effetto di neutralizzare l’ammontare dei maggiori ricavi presunti.

5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia poi violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto inammissibile, in quanto non proposta in precedenza e pertanto nuova, la censura con la quale si eccepiva la violazione del divieto di doppia imposizione, anche con riferimento alla maggiore Irap pretesa. Rileva che, contrariamente a quanto assunto in sentenza, l’eccezione era già compresa nelle doglianze svolte nel precedente grado.

6. Con il sesto motivo la ricorrente deduce insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. comunque rigettato, nel merito, la teste esposta eccezione, valutandola “inconsistente” “per i rilievi suesposti in ordine alle censure… relative alla determinazione del costo della manodopera”. Rileva che tale motivazione non consente di comprendere le ragioni del rigetto della doglianza, con la quale si evidenziava che, anche ai fini Irap, la metodologia di calcolo utilizzata dall’Ufficio conduceva a una doppia imposizione, vietata dall’ordinamento, dal momento che, per effetto della riqualificazione dei costi per servizi acquisiti da Vega S.r.l., come costi di manodopera, si determinava l’impossibilità di dedurre i relativi importi dal valore della produzione imponibile a fini Irap, sia per la Vega S.r.l., sia per la committente, Tormene Cassa Technology S.r.l..

7. Con il settimo motivo la ricorrente deduce infine “nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla autonoma domanda di declaratoria di illegittimità degli autonomi atti di irrogazione delle sanzioni per omesso versamento delle ritenute alla fonte, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Rileva che, con autonomo atto d’appello, essa contribuente aveva iterato la richiesta di annullamento degli atti di irrogazione sanzione, per illegittimità della pretesa sostanziale cui essi accedevano, e che sul punto la C.T.R. ha omesso di pronunciarsi.

8. E’ inammissibile il primo motivo di ricorso, impingendo esso evidentemente nella ricognizione non del fatto ma della regola di diritto in concreto applicata, come noto sottratta alla censura di vizio motivazionale.

E’ noto, infatti, che non può configurarsi vizio di motivazione in relazione a questioni di mero diritto (quale è quella cui nella specie è riferita la detta censura, ossia la questione, secondo la sintesi offerta dalla stessa ricorrente, “se le norme in materia di intermediazione di manodopera legittimino una trasmigrazione degli oneri tributari del soggetto commissionario al soggetto committente”). Ciò in quanto il giudice di legittimità è investito, a norma dell’art. 384 c.p.c., del potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che, se chiamato a valutare la conformità a diritto della decisione impugnata, la sua valutazione ben può prescindere dalla motivazione che, in punto di diritto, sia contenuta nella sentenza impugnata, restando del tutto irrilevante anche l’eventuale mancanza di questa, quando il giudice del merito sia, comunque, pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (Cass. 17/11/1999, n. 12753).

9. E corretta deve nella specie ritenersi la soluzione accolta dal giudice di merito, alla stregua delle considerazioni che seguono, in ragione delle quali deve pervenirsi al rigetto del secondo e del terzo motivo di ricorso, congiuntamente esaminabili per la connessione che deriva dal trovare essi confutazione proprio nei principi appresso esposti.

In materia, invero, trovasi costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte – con riferimento alla disciplina anteriore al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, applicabile nella fattispecie ratione temporis, e con indirizzo qui pienamente condiviso al quale si intende dare continuità – che, in tema di divieto di intermediazione di manodopera, ai sensi della L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1, u.c., nel testo vigente ratione temporis, i prestatori di lavoro occupati in violazione di esso sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’imprenditore appaltante o interponente che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni, sul quale ricadono, in via esclusiva, gli obblighi retributivi, previdenziali, assicurativi e normativi del datore di lavoro, ivi compresi quelli del sostituto d’imposta per le ritenute d’acconto sulle retribuzioni, ciò a prescindere dal fatto che la retribuzione non sia stata materialmente pagata dal committente, ma dall’appaltatore; ne discende anche che la fatturazione di tali prestazioni da parte dell’intermediario non legittima l’appaltante o interponente a detrarre l’Iva relativa o a dedurre tali costi ai fini della determinazione del reddito imponibile, mancando alla base un valido rapporto contrattuale con l’intermediario (Cass. 17/10/2014, n. 22020), ciò comportando che nemmeno l’appaltante può portare in deduzione ai fini Irap, quale componente negativa di reddito, le spese per il personale dipendente, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5, comma 3, (Cass. 20/10/2016, n. 21289; v. anche, con riferimento agli obblighi del sostituto d’imposta, di cui al D.P.R. 22 settembre 1973, n. 600, art. 23, per le ritenute d’acconto sulle retribuzioni, Cass. 31/05/2013, n. 13748; Cass. 15/02/2013, n. 3795). Non può conseguentemente negarsi nemmeno la rilevanza di tale qualificazione ai fini della rettifica del reddito imponibile a fini Irpeg, palesandosi del tutto ragionevole – e del resto in sè nemmeno contestata – la presunzione di maggior redditività delle prestazioni rese a favore della contribuente nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, rispetto a quelle derivanti da contratto di appalto di servizi.

Deve poi considerarsi inammissibile la doglianza secondo cui mancherebbe prova della intermediazione stessa di manodopera, sia perchè si tratta di censura di merito estranea alla invocata tipologia di vizio (violazione di legge), sia perchè la stessa non risulta proposta in grado d’appello. E’ al riguardo appena il caso di rammentare che, secondo orientamento pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 4787/2012). Come questa Corte ha già affermato, dunque, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 2140/2006).

10. E’ invece fondato il quarto motivo di ricorso.

A fronte degli specifici motivi di critica, di cui si dà conto nella stessa sentenza impugnata, circa la correttezza del criterio utilizzato per la quantificazione dei maggiori imponibili Irpeg, Iva e Irap, l’argomentazione spesa dai giudici a quibus per negarne la fondatezza – risolventesi nel rilievo che “tale criterio non risulta essere stato seriamente ed analiticamente contestato dalla società appellante la quale, in fase di accertamento con adesione, non si è opposta all’assunto degli avvisi di accertamento ai fini delle ritenute alla fonte, Iva ed Irap… chiedendo soltanto di rivedere la ricostruzione dei maggiori ricavi conseguiti alla ripresa degli importi relativi alla manodopera in nero, in quanto, facendo parte dei costi di esercizio, avevano contribuito alla produzione dei ricavi medesimi, senza alcuna migliore specificazione” – si appalesa sostanzialmente declinatoria dell’onere motivazionale, dal momento che, da un lato, la circostanza che un dato motivo di opposizione alla pretesa fiscale non sia fatto valere in sede di accertamento con adesione non può certamente considerarsi preclusiva della sua proposizione, quale motivo di ricorso, in sede contenziosa; dall’altro, in realtà, le contestazioni mosse in sede procedimentale, così come esplicitate nel passaggio sopra trascritto, contraddicono l’assunto predetto, dal momento che proprio esse integravano i motivi di censura riproposti anche in sede d’appello dalla contribuente e rigettati dal giudice a quo con la motivazione in esame, evidentemente inconsistente.

11. L’accoglimento di tale motivo, comportando la cassazione della sentenza con rinvio al giudice a quo perchè riesamini, sotto il profilo considerato, la legittimità degli atti impositivi in relazione alla contestata correttezza della quantificazione degli imponibili Irpeg, Iva e Irap, assorbe l’esame dei restanti motivi, in quanto involgenti questioni strettamente conseguenziali e dunque suscettibili di essere riviste all’esito delle valutazioni che saranno compiute sul tema indicato.

Al giudice di rinvio va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

A) accoglie il quarto motivo di ricorso; dichiara inammissibile il primo motivo; rigetta il secondo e il terzo; dichiara assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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