Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18475 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 26/07/2017, (ud. 04/05/2017, dep.26/07/2017),  n. 18475

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14231/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

M.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Claudio Mazzoni e

dall’Avv. Gianfranco Rondello, con domicilio eletto presso lo studio

del primo in Roma, via Taro, n. 35;

– controricorrente, ricorrente incidentale –

e contro

Fallimento della (OMISSIS) S.r.l., e Ma.An.;

– intimati –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Veneto, n. 16/11/09 depositata il 12 maggio 2009;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 4 maggio 2017

dal Consigliere Emilio Iannello;

udito l’Avvocato dello Stato Gianna Galluzzo;

udito l’Avvocato Gianfranco Rondello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Del Core Sergio, che ha concluso chiedendo l’accoglimento

del ricorso principale e dichiararsi inammissibile il ricorso

incidentale condizionato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Pronunciando in controversia relativa all’impugnazione di avvisi di accertamento emessi nei confronti della società (OMISSIS) S.r.l. (dichiarata fallita in data 18/11/1997), del socio M.P. e della di lui moglie Ma.An. (nonchè al ricorso da quest’ultima proposto contro la cartella di pagamento in corso di giudizio emessa nei suoi confronti) – atti impositivi emessi per il recupero a tassazione, a fini Irpef, Irpeg e Ilor per l’anno d’imposta 1996, del reddito induttivamente determinato a carico della società, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, e art. 41, e conseguentemente a carico del socio, quale frutto della distribuzione di utili non dichiarati presunta in ragione della ristretta base sociale – la C.T.R. del Veneto, con la sentenza in epigrafe, in accoglimento degli appelli proposti dal M. e dalla società, annullava tutti gli atti impugnati.

Osservavano infatti i giudici d’appello che la sentenza di primo grado aveva determinato, a carico della società, “un reddito imponibile di ben Lire 1.000.000.000”, senza darne alcuna spiegazione e “senza alcun fondamento basato… sulle risultanze di causa”; che detta sentenza era anche contraddittoria, “perchè prima di accertare il presunto reddito imponibile afferma anche che le argomentazioni dell’Ufficio (come pure quelle del ricorrente) non sono provate”; che “peraltro, se così fosse, l’onere della prova del reddito induttivamente determinato dall’Ufficio sarebbe spettato integralmente all’Ufficio stesso e si deve concludere che l’avviso di accertamento era ab origine carente di motivazione”.

2. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, corredati da quesiti ex art. 366-bis c.p.c., cui resiste M.P., depositando controricorso e proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, con unico mezzo, anch’esso corredato da quesito di diritto.

Il fallimento della (OMISSIS) S.r.l. e Ma.An. non hanno invece svolto difese nella presente sede.

L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale condizionato proposto dal M..

Quest’ultimo ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 41, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la C.T.R. ritenuto carente di motivazione l’avviso di accertamento emesso a carico della società in mancanza di prova del reddito induttivamente determinato dall’Ufficio, omettendo di considerare che, in ipotesi – quale quella di specie – di omessa presentazione della dichiarazione fiscale, oltre che di irregolare tenuta della contabilità, l’Ufficio impositore è autorizzato a procedere ad accertamento induttivo anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di precisione, gravità e concordanza, mentre incombe sui contribuenti l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa tributaria.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce “error in procedendo, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per difetto di esercizio del potere giurisdizionale in relazione al principio di diritto vivente della natura di “impugnazione-merito” del processo tributario, desumibile dal D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1,2,7 e 36, in combinato disposto con gli artt. 112 e 115 c.p.c.”, per avere la C.T.R. annullato l’atto impositivo in ragione della immotivata rideterminazione del reddito societario imponibile nell’ammontare di Lire 1.000.000.000, senza procedere, com’era suo onere quale giudice anche del merito del rapporto tributario, a rideterminare essa stessa tale ammontare nella misura ritenuta congrua, anche esercitando i poteri istruttori ad essa attribuiti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7.

3. Entrambi i motivi di ricorso, congiuntamente esaminabili per la loro intima connessione, sono inammissibili, in quanto aspecifici, non cogliendo essi l’effettiva ratio decidendi posta a base dell’impugnata decisione.

Con questa invero la Commissione regionale – sia pure attraverso affermazioni estremamente succinte e impropriamente focalizzate più sulla valutazione della logicità e congruenza dei motivi addotti dal giudice di primo grado che su un diretto vaglio nel merito delle risultanze di causa (ciò che attiene a sua volta al piano della sufficienza della motivazione della sentenza d’appello, sul quale però non si appuntano le censure in questa sede mosse dalla ricorrente) – a ben vedere ha espresso il convincimento non già della insufficienza degli elementi posti a base dell’accertamento, in quanto meramente presuntivi e non aventi dignità di prova piena, nè di presunzioni gravi, precise e concordanti (ratio, questa, che, ove effettivamente ravvisabile a fondamento della sentenza impugnata, sarebbe pertinentemente criticata con il primo dei motivi in esame) ma, ben diversamente, quello dell’assenza di “alcun fondamento” idoneo a giustificare la determinazione del reddito imponibile operata dal primo giudice (pur riduttiva rispetto a quella dell’Ufficio): convincimento questo da intendersi anche espresso con l’affermazione (pur ricavata dalla sentenza di primo grado) secondo cui “le argomentazioni dell’Ufficio… non sono provate”.

Questa essendo l’effettiva ragione giustificatrice della decisione impugnata, inconferente si appalesa il richiamo da parte della ricorrente al principio di diritto secondo cui, in caso di irregolare tenuta della contabilità (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d) o di accertamento d’ufficio (art. 41 D.P.R. cit.), l’Ufficio determina il reddito complessivo del contribuente medesimo, e in quanto possibile i singoli redditi delle persone fisiche soggetti all’Ilor, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà dunque di ricorso a presunzioni c.d. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale può fornire elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito (risultante algebrica di costi e ricavi) non è stato prodotto o che è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio (v. Cass. 13/02/2006, n. 3115; Cass. 18/06/2003, n. 9755; Cass. 02/12/2002, n. 17016). Tale principio richiede pur sempre, infatti, che l’Ufficio alleghi e dia dimostrazione degli elementi (ossia dei suddetti “dati e notizie comunque raccolti”) che, quale fatto noto e sia pure alla stregua di un ragionamento presuntivo attenuato, non dotato cioè dei requisiti di gravità, precisione e concordanza altrimenti richiesti, possa far risalire al fatto ignoto (reddito imponibile) posto a base dell’accertamento.

La sentenza impugnata, come detto, esprime invece una radicale negazione al riguardo, circa la sussistenza cioè di alcun elemento, sia pur di tal genere, idoneo a giustificare l’imposizione.

Ne discende anche l’inconferenza del secondo motivo di ricorso atteso che un tale radicale convincimento negativo investe l’an e non solamente il quantum della pretesa impositiva ed esclude ovviamente di per sè anche la sussistenza di alcun margine di apprezzamento circa la possibilità di giungere a una diversa determinazione del reddito.

4. Il ricorso principale va pertanto rigettato, rimanendo assorbito l’esame del ricorso incidentale condizionato (con il quale il contribuente, per l’ipotesi che la sentenza impugnata debba intendersi riferita alla sola quantificazione e non anche all’esistenza stessa di un reddito imponibile, lamenta omessa pronuncia sui motivi di gravame con i quali si contestava in radice la fondatezza dell’avviso di accertamento).

Alla soccombenza segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

 

rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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