Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18474 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 26/07/2017, (ud. 03/05/2017, dep.26/07/2017),  n. 18474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12590/2010 R.G. proposto da:

SAUTER ITALIA s.p.a., in persona dei Consiglieri delegati,

I.A. e F.A., rappresentata e difesa, per procura

speciale autenticata dal notaio R.C.A.,

dall’Avv. Andrea Russo, con domicilio eletto presso lo studio del

predetto difensore, in Roma, viale Castro Pretorio, n. 122;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, n. 114/26/09, depositata in data 4 novembre 2009;

Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 3 maggio 2017 dal

Cons. Lucio Luciotti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Tonio Di Iacovo, per delega dell’avv. Andrea Russo, per

la ricorrente; e l’Avvocato dello Stato Garofali.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Sulla scorta delle risultanze di una verifica fiscale eseguita nei confronti della Sauter Italia s.p.a. la competente Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento nei confronti della predetta società con cui, relativamente all’anno di imposta 2004, riprendeva a tassazione ai fini IVA, IRES ed IRAP diversi costi ritenuti non deducibili dal reddito di impresa in quanto non inerenti, come la quota di indennità suppletiva di clientela degli agenti di commercio ed il relativo fondo di accantonamento costituito quale società mandante, i costi per servizi (quali fiere e mostre e consulenze amministrative), per godimento di beni di terzi (costi per canoni di locazione e spese condominiali di un immobile), nonchè la quota di costo per abbonamenti, perchè relativa ad altro esercizio di competenza, con conseguente indetraibilità dell’IVA.

2. La sentenza di primo grado, di parziale accoglimento del ricorso proposto dalla società contribuente, veniva impugnata sia dall’Agenzia delle entrate, con appello principale, che dalla società contribuente, con appello incidentale, dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che con sentenza n. 114 del 4 novembre 2009 accoglieva l’appello principale, rigettando quello incidentale.

2.1. I giudici di appello, sul presupposto che la quota di indennità suppletiva di clientela ed il fondo di accantonamento costituito negli anni precedenti costituissero oneri deducibili solo nell’esercizio di effettiva corresponsione, non coincidente con quello in verifica, ritenevano legittima la ripresa a tassazione operata dall’amministrazione finanziaria, aderendo all’orientamento prevalso nella giurisprudenza di questa Corte, alla quale si era adeguata l’Agenzia delle entrate emanando la circolare n. 42 del 2007 con la quale aveva chiarito che era in facoltà dei contribuenti rettificare le relative dichiarazioni ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 8, comma 2, oppure ai sensi del ravvedimento di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13. Rigettavano, invece, l’appello incidentale ritenendo assorbiti i motivi proposti dalla società contribuente.

3. Avverso tale statuizione la Sauter Italia s.p.a. propone ricorso per cassazione affidato a nove motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c., contenente anche la richiesta di rideterminazione delle sanzioni ai sensi del D.Lgs. n. 158 del 2015. Non vi è replica dell’intimata che neanche partecipa all’udienza pubblica di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i primi due motivi di ricorso (indicati come “A.1” e “A.2”), la società ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c., (primo motivo), e comunque per difetto assoluto di motivazione, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, nonchè art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e art. 118 disp. att. c.p.c. (secondo motivo).

1.1. Deduce la ricorrente di aver riproposto con appello incidentale una serie di eccezioni di nullità dell’avviso di accertamento, già sollevate con il ricorso introduttivo con riferimento al mancato rispetto da parte dell’Agenzia delle entrate del principio di collaborazione e buona fede di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10,comma 1, (c.d. Statuto dei diritti del contribuente), alla mancata valutazione da parte dell’ufficio finanziario delle ragioni difensive esposte con memoria scritta in sede di contraddittorio amministrativo e all’omessa motivazione nell’atto impositivo delle ragioni del rigetto di quelle osservazioni, in violazione dell’art. 12 della citata legge, alla mancata dimostrazione dell’esito negativo del procedimento di accertamento con adesione, cui aveva aderito essa società ricorrente, essendo stato emesso e notificato l’atto impositivo prima della conclusione di tale procedimento, nonchè al difetto di motivazione dell’avviso di accertamento in violazione dell’art. 7 del predetto Statuto e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42.

1.2. Sostiene, con il primo motivo, che la CTR aveva omesso di pronunciare su tali eccezioni e, con il secondo motivo, che, anche a voler estendere la statuizione di assorbimento dei motivi di appello incidentale a tali eccezioni, di cui la Commissione neppure aveva fatto menzione nella parte relativa allo svolgimento del processo, la motivazione resa sul punto era comunque del tutto mancante, avendo i giudici di appello del tutto omesso di indicare le ragioni del proprio convincimento.

1.3. Il secondo motivo è fondato e va accolto con assorbimento del primo.

1.4. Ritiene il Collegio che la statuizione di assorbimento dei motivi di appello incidentale pronunciata dalla CTR a seguito dell’accoglimento del motivo di appello principale proposto dall’amministrazione finanziaria, abbia riguardato tutte le questioni poste in via incidentale dalla società appellata, comprese, pertanto, quelle relative alla nullità dell’atto impositivo. Quella dell’assorbimento costituisce, però, valutazione del giudice di appello del tutto errata essendo evidente che l’accoglimento del motivo di appello proposto dall’Ufficio non escludeva affatto la necessità o la possibilità di provvedere sulle eccezioni e questioni poste dalla società non comportava un implicito rigetto di altre domande e non faceva venir meno – ma, anzi, accresceva – l’interesse della società contribuente alla pronuncia sulla nullità dell’atto impositivo.

2. Con il secondo gruppo di motivi, articolato in tre motivi (“B.1”, “B.2” e “B.3”), la società censura la statuizione impugnata in relazione all’accoglimento dell’appello dell’ufficio finanziario per avere i giudici di appello ritenuto legittime le riprese a tassazione della quota di indennità suppletiva di clientela e del relativo fondo di accantonamento.

3. Con il terzo motivo (elencato come “B.1”) la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1, lett. c), art. 105, commi 1 e 4, art. 109, comma 1, e art. 1751 c.c., sostenendo che la quota di indennità suppletiva di clientela degli agenti di commercio e del relativo fondo di accantonamento costituito negli anni precedenti sono oneri deducibili nell’esercizio di competenza civilistica, in cui vengono stanziati, e non, invece, in quello di effettiva corresponsione, non coincidente con quello in verifica, come erroneamente ritenuto dalla Commissione di appello “pur in virtù dell’esplicito richiamo che l’art. 105, comma 2, TUIR fa all’art. 17, comma 1, lett. d) TUIR recante le indennità per la cessazione di rapporti di agenzia delle persone fisiche previste dal novellato art. 1751 c.c. senza che in esso vi sia menzione o distinzione alcuna sì da poter escludere l’applicabilità all’indennità suppletiva di clientela del detto richiamo dell’art. 105, comma 1, TUIR” (così nel quesito di diritto conclusivo del motivo di ricorso in esame).

4. Con il quarto motivo (elencato come “B.2”), la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 88, e art. 109, comma 1, ponendo a questa Corte il quesito se incorra nella violazione e falsa applicazione delle citate disposizioni la sentenza impugnata “la quale, ai fini delle imposte sui redditi, pur ritenendo la deducibilità dell’accantonamento per indennità suppletiva di clientela nell’esercizio di sua effettiva corresponsione – allorchè quindi vengano realizzati i requisiti di certezza e determinabilità dell’inerente costo – statuisca comunque con riferimento al FISC esistente al 31/12/2003-1/1/2004 una sopravvenienza attiva per ritenuta insussistenza di passività iscritta nel passivo dello stato patrimoniale al momento di quantificazione del carico fiscale per l’anno 2004”.

5. Con il quinto motivo (elencato come “B.3”) la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43,comma 1, sostenendo che la CTR aveva omesso di rilevare l’intervenuta decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere impositivo con riferimento alla ripresa a tassazione dell’intero fondo di accantonamento dell’indennità suppletiva di clientela in quanto costituito da accantonamenti effettuati nel corso di quindici anni e, dunque, ben oltre il termine di decadenza quadriennale di cui alla disposizione censurata.

6. Con il sesto motivo di ricorso (elencato sub “C.1”), ricompreso nel terzo gruppo di motivi, riferiti alle riprese a tassazione dei costi per abbonamenti a servizi di informazione su clienti e della penale corrisposta per recesso dal contratto di partecipazione ad una fiera, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere i giudici di appello omesso di pronunciarsi sui motivi di appello incidentale proposti con riferimento alla ripresa a tassazione dei predetti costi.

7. Con il settimo motivo di ricorso (elencato sub “C.2”) deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c. (erroneamente indicato nella rubrica come “art. 118 c.p.c.”).

8. Con l’ottavo ed il nono motivo (elencati rispettivamente sub “C.3” e “C.4”) deduce la medesima questione posta nei due precedenti motivi (sesto e settimo), ma sotto il profilo del vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

9. Così sunteggiati i motivi di ricorso, ritiene il Collegio fondato il secondo e settimo motivo di ricorso che vanno esaminati congiuntamente in quanto attinenti al medesimo vizio processuale.

10. Invero, con entrambi i motivi di ricorso in esame la ricorrente deduce la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione in ordine alle eccezioni di nullità dell’avviso di accertamento (secondo motivo) e alle riprese a tassazione dei costi per abbonamenti a servizi di informazione su clienti e della penale corrisposta per recesso dal contratto di partecipazione ad una fiera (settimo motivo), che la CTR aveva ritenuto assorbiti.

11. Precisato preliminarmente che la statuizione di assorbimento dei motivi di appello incidentale pronunciata dalla CTR a seguito dell’accoglimento del motivo di appello principale proposto dall’amministrazione finanziaria, abbia riguardato tutte le questioni poste in via incidentale dalla società appellata, comprese, pertanto, quelle relative alla nullità dell’atto impositivo, osserva il Collegio che quella dell’assorbimento costituisce valutazione del giudice di appello palesemente errata. Infatti, nessuna delle questioni poste dall’appellata può dirsi legata da nesso logico inscindibile con l’accoglimento espressamente argomentato della domanda di parte appellante, che non comportava un implicito rigetto delle domande ed eccezioni proposte dall’appellata, nè faceva venire meno – ma, anzi, accrescendo – l’interesse della medesima alla pronuncia sulla nullità dell’atto impositivo, come pure sulle contestate pretese fiscali. In buona sostanza, la CTR avrebbe dovuto esaminare e pronunciare preliminarmente sulle eccezioni di nullità dell’avviso di accertamento perchè soltanto il loro eventuale rigetto avrebbe consentito l’esame delle questioni di merito, e non soltanto del motivo di appello proposto dall’Ufficio, ma anche di quelli proposti in via incidentale dalla società contribuente con riferimento alle riprese a tassazione dei costi disconosciuti dal giudice di primo grado, non comportando l’accoglimento del primo un implicito rigetto delle altre. E poichè quella dell’assorbimento ha costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta escluso il vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., (cfr. Cass. n. 28663 del 2013, n. 17219 del 2012) e sussistente, invece, quello di “motivazione inesistente o radicalmente inidonea a lasciar comprendere il procedimento logico-giuridico della decisione”, tale da integrare “la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4: la sentenza è nulla, se risulta mancante dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda, ovvero la motivazione sia solo apparente, perchè non idonea a rivelare la ratio decidendi, onde ne resta impedito ogni controllo sul percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento del giudice (cfr. Cass., sez. lav., 8 gennaio 2009, n. 161; nonchè sez. 1, 4 agosto 2010, n. 18108; sez. 5, 16 luglio 2009, n. 16581; sin da Cass., sez. un., 12 giugno 1999, n. 319)” (cfr., in motivazione, Cass. n. 28663 del 2013).

12. Da quanto fin qui detto consegue l’accoglimento del secondo e settimo motivo di ricorso, restando assorbiti il primo ed il sesto motivo (con cui è stata dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c.) nonchè l’ottavo ed il nono (con i quali è stato dedotto il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento alle due riprese a tassazione contestate dalla ricorrente).

13. Passando, quindi, all’esame dei mezzi di impugnazione dedotti nel secondo gruppo, elencati sub “B” del ricorso, ritiene il Collegio che sia fondato il terzo motivo, che va esaminato preliminarmente, in quanto assorbente del quarto e del quinto.

14. Con il predetto terzo motivo (elencato nel ricorso come “6.1”) la ricorrente ha dedotto la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 17, comma 1, lett. c), art. 105, commi 1 e 4, art. 109, comma 1, e art. 1751 c.c., sostenendo che la quota di indennità suppletiva di clientela degli agenti di commercio e del relativo fondo di accantonamento costituito negli anni precedenti sono oneri deducibili nell’esercizio di competenza civilistica, in cui vengono stanziati, e non, invece, in quello di effettiva corresponsione, non coincidente con quello in verifica, come erroneamente ritenuto dalla Commissione di appello.

14.1. Invero, a tale conclusione è approdata la giurisprudenza di questa Corte con la sentenza n. 26534 del 2014 che:

a) ricostruito il quadro normativo di riferimento, in particolare evidenziando che la modifica apportata dal D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, art. 4, successivamente corretto dal D.Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, in attuazione della Direttiva 86/653/CEE, all’art. 1751 c.c., e, con esso, all’indennità dovuta all’agente, al termine del contratto, “ha comportato il superamento della dualità del precedente sistema, che contemplava – per il tramite del rinvio integrativo alla contrattazione collettiva – una duplice indennità, la prima (indennità di risoluzione) spettante all’agente sempre e comunque, la seconda (indennità di clientela) ancorata invece esclusivamente a profili meritocratici, prevedendo invece un’unica indennità in caso di cessazione dal rapporto”;

b) ricondotto “l’aspetto fiscale” dell’indennità suppletiva di clientela degli agenti di commercio al “D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 70, comma 1, vigente ratione temporis (ora art. 105, comma 1, nuovo t.u.i.r.), il quale prevede la deducibilità degli accantonamenti ai fondi per le indennità di fine rapporto e ai fondi di previdenza del personale dipendente istituiti ai sensi dell’art. 2117 c.c., se costituiti in conti individuali dei singoli dipendenti, nei limiti delle quote maturate nell’esercizio in conformità alle disposizioni legislative e contrattuali, ed al successivo comma 3 estende tale regime anche agli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto di cui l’art. 16, comma 1, lett. e), d) ed f), (ora art. 17, nuovo t.u.i.r.), tra le quali rientra (lett. d) la voce indennità per la cessazione di rapporti di agenzia delle persone fisiche”;

c) rilevata l’assoluta chiarezza della disposizione fiscale che aveva consentito a questa Corte, con “una serie di arresti del 2009 (Cass. sent. n. 13506, 13507 e 13509 dell’11 giugno 2009)” di ricondurre ad unità “le diverse prospettive assunte nei precedenti sino ad allora maturati (la deducibilità fiscale dell’accantonamento per indennità suppletiva di clientela era stata esclusa da Cass. n. 7690/2003, n. 24973/2006 e n. 17602/2008 ed invece ammessa da Cass. n. 10221/2003 e n. 9179/2003)”, così da rendere superflua anche la rimessione della questione alle Sezioni Unite, in quanto, così come correttamente evidenziato da Cass. n. 13506 del 2009, “i precedenti contrari alla deducibilità riguardavano anni d’imposta anteriori alla modifica dell’art. 1751 c.c.”;

ha riaffermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui “In tema di determinazione del reddito d’impresa, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 70 (ora art. 105), il quale disciplina la deducibilità fiscale degli accantonamenti per le indennità di fine rapporto, trova applicazione anche all’indennità suppletiva di clientela spettante agli agenti, da ritenersi inclusa tra le indennità per la cessazione di rapporti di agenzia, cui fa riferimento l’art. 16 (ora 17), comma 1, lett. d) del medesimo D.P.R., richiamato dall’art. 70 cit., comma 3, dovendosi ritenere che tale locuzione si riferisca a tutta la materia regolata dall’art. 1751 c.c., il quale, a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, contiene, a decorrere dal 1 gennaio 1993, l’intera disciplina dell’indennità di fine rapporto dell’agente di commercio, essendo venuta meno ogni distinzione fra indennità di scioglimento del contratto (obbligatoria perchè di origine codicistica) ed indennità suppletiva di clientela (derivante dalla contrattazione collettiva e fruibile solo a determinate condizioni), e non potendosi escludere la deducibilità dei relativi accantonamenti in virtù del carattere aleatorio dell’indennità in parola”.

14.2. L’applicazione del predetto principio al caso di specie comporta la cassazione della sentenza impugnata laddove la CTR, discostandosi da esso ed applicando il principio di cassa – anzichè quello di competenza – alla quota di indennità suppletiva di clientela degli agenti di commercio e del relativo fondo di accantonamento costituito negli anni precedenti dalla società ricorrente, ha erroneamente ritenuto legittima la ripresa a tassazione operata dall’amministrazione finanziaria.

15. In estrema sintesi, vanno accolti il secondo motivo di ricorso, il terzo, limitatamente alla quota di indennità suppletiva di clientela degli agenti di commercio nonchè al fondo di accantonamento della predetta indennità, ed il settimo motivo di ricorso, assorbiti tutti gli altri, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che riesaminerà la vicenda processuale alla stregua dei suesposti principi e, qualora rilevi la sussistenza degli illeciti amministrativi contestati alla società contribuente, rideterminerà l’entità delle sanzioni in applicazione dello ius superveniens costituito dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158. Provvederà, infine, alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie il secondo, terzo e settimo motivo di ricorso, assorbiti tutti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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