Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18474 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. II, 04/09/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 04/09/2020), n.18474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25734-2016 proposto da:

M.M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ANDREA BAFILE 3, presso lo studio dell’avvocato SERGIO MASSIMO

MANCUSI, rappresentato e difeso dagli avvocati SALVATORE

SANTONOCITO, GIUSEPPE BOTTARI;

– ricorrente –

contro

MA.MI.AN.MA., rappresentata e difesa da se medesima ex

art. 86 c.p.c.;

– ricorrente incidentale –

contro

F.V., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

MELLINI 24, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI GIACOBBE, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente al ricorso principale e all’incidentale –

e contro

L.B.M., F.G., F.P.;

– intimati –

avverso la sentenza non definitiva n. 66/2013 della CORTE D’APPELLO

DI MESSINA, depositata i130/01/2013 nonchè avverso la sentenza n.

463/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 23/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/01/2020 dal Consigliere ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE IGNAZIO che ha concluso per l’inammissibilità complessiva

dei motivi e il rigetto dei ricorsi;

udito l’Avvocato Ugo Mancusi, con delega depositata in udienza

dall’avvocato Sergio Massimo Mancusi e l’Avvocato Pietro Cesare

Vincenti, con delega depositata in udienza dall’avvocato Salvatore

Santonocito, difensori del ricorrente, che hanno chiesto di

riportarsi agli atti depositati;

udito l’Avvocato Anna Maria Mazzaglia, in proprio, che si è

riportata agli atti depositati ed ha depositato in udienza ulteriori

documenti;

udito l’avv. Giovanni Giacobbe, difensore del resistente, che si è

opposto alla produzione dei nuovi documenti ed ha chiesto il rigetto

dei ricorsi.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

F.V. e L.B.M. in F., nonchè F.G. e P., convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Messina M.A. e M.M.C., C.F. ved. R., nonchè – quali eredi della madre M.M.T. – Ma.Mi.An.Ma. e Ma.Mi.Pa..

Parti attrici chiedevano il riconoscimento e l’esecuzione, con le conseguenti statuizioni, del legato testamentario, in loro favore, disposto, dalla de cuius R.F. ved. H. deceduta in (OMISSIS) senza lasciare figli.

Domandavano, quindi, la declaratoria della loro titolarità di una casetta in costruzione su terreno in (OMISSIS) il tutto sulla base della postilla, sostanziante il preteso legato, apposta lateralmente a margine del testamento olografo della de cuius R. pubblicato con atto per notaio A. del 24 febbraio 1997 del seguente testuale tenore letterale “se a (OMISSIS) costruiremo voglio che abbia anche una casetta”.

Va, per completezza, chiarito che i convenuti erano eredi legittimi, in assenza di legittimari, della R. (deceduta senza lasciare figli) e che il F.V. era figlio di H.A., cugina del marito della de cuius, con conseguenziale regolamentazione della successione in parte per legge ed in parte per testamento.

Costituitisi in giudizio i convenuti contestavano l’avversa domanda, chiedevano la declaratoria di nullità del preteso legato testamentario, proponendo altresì domanda riconvenzionale per l’accertamento dell’inesistenza dell’intero testamento, di cui disconoscevano la scrittura e la sottoscrizione.

L’adito Tribunale di prima istanza, con sentenza n. 588/2004, ritenuta la succitata postilla come apposta aggiunta successivamente alla redazione e sottoscrizione del testo principale, rigettava la domanda attorea, dichiarando la nullità per difetto di sottoscrizione e di individuazione della persona beneficiata della medesima postilla apposta contenuta nel testamento olografo pubblicato della R.. Gli originari attori interponevano appello avverso la suddetta decisione del Giudice di prime cure, della quale chiedevano la riforma.

Il gravame era resistito dalle originarie parti convenute, che chiedevano il rigetto dell’avversa impugnazione, proponendo – inoltre – appello incidentale con il quale insistevano nella già svolta domanda di invalidazione del testamento in virtù dell’effettuato disconoscimento e per difetto di capacità della testatrice.

L’adita Corte di Appello di Messina, anche all’esito di quella che la stessa definisce “ampia istruttoria omessa in prime cure” provvedeva dapprima con sentenza non definitiva n. 66/2013 (avverso cui – a dire di parti odierne ricorrenti – veniva formulata riserva di impugnazione) e, di seguito, con sentenza definitiva n. 463/2016.

Con la prima delle due anzidette decisioni la Corte messinese, “fatti salvi gli esiti della disposta indagine peritale conseguente al disconoscimento dell’olografo in esame”, dichiarava “la formale validità del testamento di R.F., pubblicato in Notaio A. in data 24.02.1997, anche nella postilla che risulta estesa in tre righe scritte lateralmente alla prima facciata”, disponendo per il prosieguo del giudizio con separata ordinanza.

Con la seconda e definitiva sentenza, espletata apposita Consulenza tecnica di ufficio (che accertava l’omogeneità e la veridicità del testamento olografo de quo, redatto senza condizionamento alcuno), prova per testi ai fini della verifica della capacità della testatrice all’epoca dell’atto e perizia estimativa, la Corte territoriale accoglieva parzialmente l’appello principale e rigettava l’appello incidentale;

provvedeva – quindi, pure per effetto della documentata vendita dell’immobile realizzato in (OMISSIS) e dell’inesistenza di alcuna attuale altra proprietà in capo agli appellati principali nel fabbricato medesimo – alla condanna degli appellati principali al pagamento, ciascuno pro-quota, del dovuto in favore del F.V. a titolo di importo per equivalente economico del valore dell’immobile oggetto di legato da parte della predetta R., disponendo la rivalutazione monetaria, oltre interessi, con compensazione delle spese del giudizio del primo grado e condanna, in solido, dei M. e dei Ma. al pagamento della metà delle spese di lite del secondo grado del giudizio, compensate per la parte rimanente.

Per la cassazione delle anzidette decisioni della Corte di appello ricorrono, con successivi atti, il Ma.Mi.Pa. (con ricorso fondato su sei ordini di motivi) e La Ma.Mi.An.Ma. (con ricorso affidato a nove motivi).

Resiste con controricorso il F.V., eccependo in via preliminare la preclusione dei ricorsi avverso la sentenza non definitiva n. 66/2013 per effetto del giudicato formatosi a seguito di intervenuta decadenza ai sensi dell’art. 361 c.p.c., artt. 133 e 129 disp. att. c.p.c..

La Ma.Mi.An.Ma. ha depositato controdeduzioni al detto controricorso, nonchè ulteriori documenti di cui in atti.

Anno depositato memorie il M.M.P. ed il F..

Diritto

RITENUTO in DIRITTO

1.- Deve, innanzitutto, dichiararsi l’inammissibilità dei documenti depositati dalla Ma.Mi.An.Ma. stante la loro assoluta irritualità.

2.- Va, quindi, esaminata la fondatezza della suddetta decadenza eccepita dal controricorrente.

Tanto in ragione del carattere dirimente – rispetto a vari motivi dei ricorsi proposti – derivante dagli effetti dell’intervenuto giudicato formatosi in relazione alla citata sentenza n. 66 del 2013.

Orbene,dall’esame degli atti emerge che, alla prima udienza (in data 12 aprile 2013) successiva al deposito dell’anzidetta sentenza non definitiva d’appello, non venne svolta alcuna riserva di impugnazione della stessa ad opera degli odierni ricorrenti in ossequio all’art. 361 c.p.c..

Tanto si evince, più specificamente, dal verbale della stessa udienza.

Peraltro, a fronte della sollevata eccezione del controricorrente, le parti ricorrenti nulla hanno adeguatamente controdedotto.

Pertanto deve ritenersi intervenuto l’effetto preclusivo conseguente al passaggio in giudicato della succitata sentenza non definitiva d’appello comportante la conseguenza della inammissibilità dei motivi di ricorso relativi a questioni e parti del decisum coperte da giudicato.

3.- Con il primo motivo del ricorso proposto dal Ma.Mi.Pa., si censura in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 il vizio, di violazione e/o falsa applicazione degli artt. 602 e 606 c.c.).

Viene sostenuta, col motivo qui in esame, la necessità della sottoscrizione e dell’apposizione di data per la postilla aggiunta nel testamento.

L’esame del motivo è precluso stante il fatto che sulla validità della disposizione testamentaria de qua si è pronunciata la sentenza non definitiva passata – come innanzi detto – in giudicato.

Il motivo è, pertanto, inammissibile.

4.- Con il secondo motivo del ricorso stesso si deduce il vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 653 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Le doglianze del ricorrente attengono alla ricorrenza o meno, nella concreta fattispecie, di una ipotesi di legato, ex art. 653 c.c., di cose genericamente individuate.

La sentenza non definitiva, più volte già citata, riteneva – in proposito – che si era in “presenza di bene determinato solo nel genere valido anche qualora il bene non sia presente nel patrimonio del testatore al tempo della morte (art. 653 c.c.)”.

Orbene, al di là della correttezza o meno della valutazione così svolta dalla Corte messinese, deve – nuovamente – rammentarsi che il passaggio in giudicato, sul punto, della medesima sentenza non definitiva preclude oggi ogni riesame della questione, incluso l’aspetto – pure oggetto di denuncia col ricorso qui in esame – dell’esistenza o meno del bene al momento della scomparsa della testatrice e, quindi, della sua effettiva realizzazione a seguito della invocata licenza edilizia post mortem del 31 luglio 1998, nonchè della necessità o meno della precisa indicazione del bene stesso anche in dipendenza della previsione di cui all’art. 654 c.c. e tenendo presenti le considerazioni prospettate in ricorso circa l’inesistenza, nel codice civile del 1865, del legato generico ed i limiti che andrebbero oggi osservati in tema di applicazione del vigente art. 653 c.c..

Il motivo non è, dunque, ammissibile.

5.- Con il terzo motivo il ricorrente Ma.Mi.Pa. lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 652 c.c.. Col motivo stesso si lamenta un preteso errore nella valutazione della validità del legato, che andava limitata – a dire del ricorrente – alla sola parte del bene esistente ed appartenente alla de cuius.

Il motivo è inammissibile in quanto si sostanzia in una doglianza generica ed il cui esame presupporrebbe una rivalutazione in fatto della condizione di immobile con ricostruzione cronologica delle sue vicissitudini che sostanzia questione eminentemente meritale.

6.- Con il quarto motivo del medesimo ricorso ora in esame si prospetta il vizio di violazione dell’art. 673 c.c., comma 2 ai sensi dell’art. 3609 c.p.c., nn. 3 e 5.

Parte ricorrente sostiene che il legato per cui è controversia doveva ritenersi estinto in quanto divenuto impossibile giusta la mancata realizzazione dell’immobile (“casetta” o villa) per come voluto, in vita, dalla de cuius e poi sostituito dalla edificazione di altro immobile condominiale, quest’ultimo edificato da altri e solo dopo l’intervenuta citata licenza successiva alla scomparsa della de cuius.

Anche l’esame del presente motivo deve ritenersi precluso per effetto dell’intervenuto giudicato.

7.- Con il quinto motivo del ricorso si censura, senza indicazione di parametro normativo alcuno, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Il motivo, in particolare, fa cenno – attraverso un’apposita propria ricostruzione in punto di fatto – alla valenza da attribuire all’atto per notaio Ca. del 2001.

Quest’ultimo, secondo la prospettazione del ricorso, era relativo ad unico immobile asseritamente pervenuto ed era intervenuto a seguito della partecipazione di più venditori (ciascuno pro quota inclusi il P. e la germana A.M.).

Senonchè il motivo, al di là della sua irritualità per mancanza di indicazione del parametro normativo processuale di riferimento, è infondato.

L’atto de quo è stato, difatti, valutato nella competente sede dai Giudici del merito.

Parte ricorrente pretende, in sostanza, di far considerare come omessa valutazione di un documento quella che – a suo dire e secondo il proprio convincimento – è la valutazione (cosa ben diversa) che il documento avrebbe dovuto indurre a far ritenere alla Corte.

Il motivo deve, dunque, essere respinto.

8.- Con il sesto motivo del ricorso del Ma.Mi.Pa. si deduce il vizio di violazione dell’art. 91 c.p.c. in tema di attribuzione del carico delle spese albi parte soccombente.

Il motivo è del tutto ipotetico nella prospettiva dell’accoglimento del ricorso.

Esso è, perciò, del tutto inammissibile.

9.- Il ricorso proposto dal Ma.Mi.Pa. va, pertanto, rigettato.

10.- Nel procedersi all’esame del ricorso della Ma.Mi.An.Ma. non può non evincersi, in via preliminare, che i plurimi motivi non risultano neppure numerati per di più nel contesto di un copioso ricorso senza indicazione del numero delle pagine.

Con il primo motivo del ricorso proposto da Ma.Mi.An.Ma. si deduce eccezione preliminare di nullità ed inesistenza della notificazione della sentenza n. 463/2016 per violazione dell’art. 170 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo non è fondato in quanto atterrebbe alla correttezza della notifica (dopo rinuncia al mandato) della sentenza nei confronti di altre parti.

Senochè, anche per difetto in proposito di interesse, deve evidenziarsi che, comunque, al fine del presente giudizio ed in relazione alla parte deducente, la sua costituzione con formulazione ricorso sana oggi eventuale nullità

Il motivo deve, quindi, esser respinto.

11.- Con il secondo motivo del medesimo ricorso qui in esame si prospetta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di norme di legge (artt. 654 e 602 c.c.), nonchè la falsa applicazione dell’art. 653 c.c. e art. 12 preleggi.

Il motivo, in quanto relativo alla già affrontata questione del legato de quo, coperta – come detto – da intervenuto giudicato, non è ammissibile.

12.- Con il terzo motivo dello stesso ricorso qui in esame si deduce la violazione delle norme di cui agli artt. 625 e 628 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo, in quanto relativo – in sostanza – alla identificazione del soggetto destinatario della disposizione testamentaria, attiene ad una valutazione in fatto svolta dalla Corte del merito nell’ambito delle proprie prerogative di Giudice del merito.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

13.- Con il quarto motivo del ricorso si deduce la violazione di legge, quanto agli artt. 631 e 632 c.c., e la falsa applicazione di legge, quanto all’art. 653 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La doglianza si riferisce alla identificazione del bene oggetto del legato raggiunta dalla Corte del merito con propria valutazione fattuale svolta anche sulla base della espletata Consulenza tecnica di ufficio.

Il motivo, involgendo un aspetto meritale, è, perciò, inammissibile.

14.- Con il quinto motivo del ricorso si prospetta la violazione di legge (artt. 652 e 654 c.c.) in ordine all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo è incentrato, in sostanza, nella pretesa di una nuova valutazione in punto di fatto della disposizione testamentaria de qua.

Sia per effetto della anzidetta preclusione dovuta all’intervenuto giudicato, che per il coinvolgimento di profili del tutto fattuali, il motivo è inammissibile.

15- Con il sesto motivo del ricorso si deduce la violazione di legge (art. 591 c.c. in rapporto all’art. 606 c.c.) in ordine all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Viene svolta doglianza in ordine alla capacità della testatrice.

La valutazione di detta capacità è tipica esplicazione dell’attività valutativa, in fatto, della Corte del merito e come tale non censurabile – quanto al suo risultato – nel giudizio di legittimità.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

16.- Con il settimo motivo del ricorso si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La doglianza mossa col motivo attiene, in sostanza, alla idoneità della prova dell’esistenza della casetta al momento del decesso della testatrice e, quindi e per conseguenza, alla ricorrenza o meno del lascito di cosa generica o determinata.

Il motivo, coinvolgendo – quindi – la questione della ricorrenza di una ipotesi di legato ex art. 653 c.c. o art. 654 c.c. (questione come più volte detto coperta da giudicato) è inammissibile.

17.- Con l’ottavo motivo del ricorso si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo per il ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e art. 132 c.p.c., n. 4.

Si contesta, in particolare, la sussistenza nella sentenza di adeguata “concisa esposizione” delle ragioni del decisum, senza – peraltro – puntuale allegazione del fatto decisivo di cui si sarebbe omessa la valutazione.

Detta omessa allegazione e la completezza della motivazione dell’impugnata decisione non consentono l’accoglimento del motivo.

Quest’ultimo è infondato e va, quindi, respinto.

18.- Con il nono motivo del ricorso si deduce la violazione dell’art. 91 c.p.c..

Il motivo è del tutto ipotetico nella prospettiva dell’accoglimento del ricorso.

Esso è, perciò, del tutto inammissibile.

19.- Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto il ricorso della Ma.Mi.An.Ma. va, pertanto, rigettato.

20.- Al rigetto di entrambi i proposti ricorsi consegue, in virtù della soccombenza, la condanna alle spese di ciascuna delle parti ricorrenti.

21.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte di ciascuno dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per ricorso per ciascuna ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta entrambi i proposti ricorsi e condanna entrambe le parti ricorrenti al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio, determinate – per ciascuna delle due dette parti – in Euro 3.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di ciascun ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

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