Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18473 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 09/07/2019), n.18473

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 309-2018 proposto da:

S.A.C.ED SOCIETA’ APPALTI COSTRUZIONE EDILI SRL IN LIQUIDAZIONE, in

persona del liquidatore, legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI N.

103, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PALMA, rappresentata e

difesa dagli avvocati LUCA MIGLIORE, ERNESTO DE MARIA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

e contro

PROVVEDITORATO IN’T’ERREGIONALE DELLE OPERE PUBBLICHE PER LA

CAMPANIA, IL MOUSE, LA PUGLIA, LA BASILICATA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4107/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARULLI

MARCO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con il ricorso in atti la s.r.l. S.A.C.E.D. impugna l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Napoli ha confermato l’impugnata decisione di primo grado che in merito al riconoscimento della riserva 2 (Ritardata emissione dello Stato finale) esternata in relazione al contratto d’appalto rep. (OMISSIS) del 12.7.1986, aveva rigettato la relativa pretesa in ragione della ritardata iscrizione della corrispondente riserva e ne chiede la cassazione sul rilievo della violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e/o 5 degli artt. 1176 e 1375 c.c. in rapporto alla L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 5, al D.P.R. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 187 e al D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 38, nonchè dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il mancato riconoscimento dei costi generali di sede, viceversa dovuti per la protrazione del vincolo contrattuale dopo l’esecuzione del contratto senza che intervenisse il previsto collaudo e per il fatto che “l’appaltatore non è liberato dei propri obblighi nei confronti del committente fino a quando il collaudo non è approvato”.

Resiste al ricorso l’Amministrazione intimata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Osservato, invero, più in generale che il decidente ha inteso confermare l’assunta tardività della iscrizione della riserva, relativa ai costi in parola, sulla considerazione del ritardo con cui essa era stata portata a conoscenza della stazione appaltante – “è incontroverso”, annota la Corte d’Appello, “che le riserve sono state formulate per iscritto solamente nella nota allegata alla missiva spedita dalla Saced al Provveditorato delle Opere Pubbliche per la Campania il 13.2.1997, quindi circa nove anni dopo l’ultimazione dei lavori, avvenuta il 19.11.1988” -, nonchè del principio che, quando la riserva non sia iscrivibile su uno dei documenti dell’appalto, essa deve essere “tempestivamente” comunicata all’amministrazione mediante apposito atto scritto, il motivo è previamente fulminato da precoce inammssibilità evidenziabile sotto molteplici profili.

Esso opera inizialmente un’impropria mescolanza di mezzi di impugnazione affatto eterogenei, non essendo invero consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili quale quello afferente alla pretesa violazione di norme di diritto che presuppone che gli elementi di fatto della vicenda scrutinata siano incontroversi e quello che, argomentando, come qui, una mera anomalia motivazionale – tanto da indurre il deducente a parlare come visto di motivazione “illogica ed incongrua” – quegli elementi intende mettere invece in discussione (Cass., Sez. I, 23/09/2011, n. 19443), a nulla valendo in contrario appellarsi al principio di effettività della tutela giurisdizionale, in ossequio al quale si reputa non incompatibile con il regime di tassatività dei motivi di ricorso la prospettazione nello stesso motivo di distinte questioni, ciò postulando che la sua illustrazione renda possibile identificare con chiarezza le diverse questioni sollevate (Cass., Sez. U, 6/05/2015, n. 9100), circostanza che nella specie è manifestamente manchevole, atteso il sopra riportato tenore della doglianza.

Contravviene, poi, laddove lamenta l’erroneità in diritto della decisione, lo statuto di censurabilità per cassazione dell’errore di diritto, giacchè, anche quando sopravanzando la sola indicazione delle norme violate contenuta nella rubrica, si dà cura di richiamare talune di esse nell’illustrazione del motivo, viene meno al precetto secondo cui il vizio in parola deve essere dedotto, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass., Sez. I, 29/11/2016, n. 24298).

Ostenta, ancora, una denuncia motivazionale, che oltre ad assommare in sè profili già incompatibili sotto il vigore del cessato dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., Sez. 1, 23/09/2011, n. 19443), è resa ora tanto più inattuale dalla riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione conseguente alla novellazione di quel dettato ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

Sollecita, infine, un’indiretta valutazione del sindacato di fatto operato dal decidente riguardo al riconoscimento dei costi generali di sede risolvendosi la doglianza nell’opporre al giudizio esternato dal decidente quello di esso deducente e nel chiedere, così, a questa Corte di farsi nuovamente arbitro della contesa, quantunque non sia notoriamente questo l’ufficio a cui essa preposta dall’ordinamento processuale (Cass., Sez. V, 28/11/2014, n. 25332).

3. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

4. Spese alla soccombenza.

5. Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-I sezione civile, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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