Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18470 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. II, 04/09/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 04/09/2020), n.18470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29664-2015 proposto da:

E.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA XX

SETTEMBRE 3, presso lo studio dell’avvocato MICHELE SANDULLI,

rappresentata e difesa dagli avvocati ROSA PERSICO, FERDINANDO

PINTO, GIULIO RENDITISO;

– ricorrente –

contro

M.S., M.F., M.A., M.G.,

D.L.P., C.L., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA ORAZIO 31, presso lo studio dell’avvocato DANIELA FRATACCIA,

rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONIO CIRILLO, MAURO FIERRO;

– controricorrenti –

e contro

D.F., D.G.R., M.C.,

D.M., D.R., FOREVER SAS;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2214/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI

depositata il 15/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2020 dal Consigliere Dr. GIUSEPPE DE MARZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Dr.

SGROI CARMELO, che ha concluso, in via principale, per la rimessione

alle Sezioni Unite sul gravame incidentale tardivo, in subordine per

l’accoglimento, per quanto di ragione, del primo motivo e il rigetto

del resto;

udito l’Avvocato Rosa Persico, difensore della ricorrente, che si è

riportata agli atti depositati; udito l’Avvocato Antonio Cirillo,

difensore dei resistenti, che si è riportato agli atti depositati

insistendo per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 351 c.p.c., comma 4 e art. 281-sexies c.p.c., all’udienza del 15 maggio 2015, la Corte d’appello di Napoli ha dichiarato l’inammissibilità per tardività dell’appello proposto in data 27 novembre 2014 da E.A., avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 5 aprile 2014, che le era stata notificata in data 13 maggio 2014.

2. Sul piano processuale, anche al fine di intendere la portata delle censure sviluppate in ricorso, occorre premettere quanto segue.

C.L., D.L.P., Co.An.Ma., M.G., M.A., M.F. e M.S. hanno convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, D.F., D.G.R., M.C., D.M., D.R. e E.A. nonchè la Forever di R.D. s.a.s., al fine di ottenere, previo accertamento che gli stessi “per quanto di ragione” erano occupanti senza titolo del terreno di loro proprietà facente parte della partita n. 1113 del N. C.T., foglio 3, particelle (OMISSIS), la loro condanna al rilascio, alla demolizione ovvero all’arretramento delle costruzioni realizzate a distanza illegale dal confine delle particelle n. (OMISSIS), nonchè la condanna al risarcimento dei danni subiti per la mancata utilizzazione del fondo, quantomeno a partire dal 1 gennaio 1988, per l’arbitraria demolizione di una parte del preesistente capannone e per i costi da sostenere per il ripristino dello stato dei luoghi.

A fondamento della pretesa, gli attori hanno lamentato che i convenuti avessero occupato il fondo, quantomeno a decorrere dalla data appena indicata, una volta scaduto il contratto di comodato stipulato tra M.F., anche per conto dei fratelli, e D.R., limitatamente alla particella n. (OMISSIS), e vi avessero realizzato manufatti di vario genere e natura. Secondo la ricostruzione degli attori, l’occupazione era stata progressiva ed era stata attuata da D.R. e da altri componenti della sua famiglia: le aree occupate erano state destinate al complesso turistico denominato Giardino delle Esperidi, per parcheggio di auto e roulottes, per la costruzione di un patio asservito alla villa adibita ad abitazione dei coniugi D.A. e M.C. e di un piccolo manufatto in mutaiuta.

Per quanto ancora rileva, i convenuti D.F., D.G.R., M.C. e D.M., nel contestare la domanda con riguardo alle superfici eccedenti quelle da loro posse.e, analiticamente individuate, hanno chiesto dichiararsi l’intervenuta usucapione per le superfici e i manufatti effettivamente posseduti nonchè il diritto a mantenere gli edifici realizzati a distanza inferiore, ove fosse stata applicabile quella invocata dagli attori.

Anche D.R., nel contestare il fondamento della domanda degli attori, aveva concluso, in via riconvenzionale, per l’accertamento dell’intervenuta usucapione della parte di fondo da lui occupata.

Il Tribunale aveva condannato i convenuti: a) “per quanto di ragione ed in riferimento alle aree dagli stessi occupate”, a rilasciare in favore degli attori il fondo sopra indicato; b) a pagare, in favore degli attori, la somma di 544.839,00 Euro, quale indennità per il mancato utilizzo del fondo in oggetto, oltre accessori; c) “per quanto di ragione”, all’immediato ripristino dello status quo ante mediante la demolizione o l’arretramento sino alla distanza regolamentare delle costruzioni sconfinanti nel fondo attoreo e di quelle realizzate a distanza illegale, come individuate nella consulenza tecnica d’ufficio.

Il Tribunale, inoltre, ha condannato i convenuti al pagamento della somma di 20.831,00 Euro a titolo di risarcimento dei danni e ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti.

Sono stati proposti distinti appelli da D.F., D.G.R., M.C. e D.M. (proc. n. 2301/2014 R.G.), dalla Forever di R.D. s.a.s. (proc. n. 2531/2014), da D.R. (proc. n. 2553/2014 R.G.).

I tre procedimenti sono stati riuniti e decisi con sentenza della Corte d’appello di Napoli depositata il 10 febbraio 2016.

3. Ciò posto, per quanto ancora rileva, la Corte territoriale, con la sentenza pronunciata all’udienza del 15 maggio 2015 e oggi impugnata, ha osservato: a) che non poteva essere condivisa la tesi della E., secondo la quale sarebbe stata inidonea a far decorrere il termine breve di impugnazione la notifica della sentenza effettuata ad istanza di M.G., M.A., M.F. e M.S., in proprio e non nella qualità di eredi di Co.An., deceduta in data 19 febbraio 2009, senza interruzione del giudi,mD (il primo grado, per mancata dichiarazione del procuratore; b) che, in effetti, la sentenza era stata notificata alla E. anche dagli altri attori, C.L. e D.L.P., oltre che dai menzionati M., i quali, oltre ad essere eredi della Co., già nel giudizio di primo grado, erano attori in proprio; c) che, in definitiva, ogni ulteriore specificandone nella relata era superflua e la notifica era stata idonea a determinare per tutti la decorrenza del termine breve di impugnazione.

3. Avverso tale sentenza E.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Hanno resistito con controricorso C.L., D.L.P., M.G., M.F., M.A. e M.S., D.F., D.G.R., M.C., D.M., D.R. e la Forever s.a.s. non hanno svolto attività difensiva. Sia la ricorrente che i controricorrenti hanno depositato memoria in vista dell’adunanza camerale del 16 maggio 2019. Il procedimento è stato rinviato a nuovo ruolo, in ragione della opportunità di una trattazione congiunta con il ricorso n. 9661 del 2016, scaturito dall’impugnazione proposta da C.L., D.L.P., M.G., M.A., M.F. e M.S. avverso la citata sentenza della Corte d’appello di Napoli del 10 febbraio 2016. In vista dell’adunanza camerale del giorno 11 ottobre 2019, tutte le parti hanno depositato memoria. Alla successiva adunanza camerale del giorno 11 ottobre 2019 il procedimento è stato rimesso alla pubblica udienza. Nell’interesse di C.L. e di D.L.P. è stata depositata memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 285,325,326,327,331,332,333,334 e 350 c.p.c., rilevando: a) che la sentenza di primo grado aveva condannato i convenuti, in solido tra loro, al rilascio del fondo controverso, al versamento di una indennità per il mancato utilizzo dello stesso, all’immediato ripristino dei luoghi e, infine, al risarcimento del danno; b) che, vertendosi in ipotesi di obbligazione solidale, il termine per proporre impugnazione non era unitario, ma decorreva dalle singole notificazioni; c) che, pertanto, la E. si era determinata ad impugnare la sentenza nei confronti della Co., atteso che la notifica ad opera dei suoi eredi, ma senza indicare siffatta qualità, era inidonea a far decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c.; d) che, infatti, nel caso di morte della parte avvenuta nel corso del giudizio e non dichiarata dai procuratore, la notifica della sentenza ad istanza degli eredi è idonea a produrre tale effetto solo se contiene la dichiarazione del decesso e le indicazioni necessarie per la notifica dell’impugnazione, ossia ie generalità di tutti gli eredi e il luogo di residenza o di domicilio di questi ultimi; e) che, in ogni caso, l’appello avrebbe dovuto essere qualificato come incidentale tardivo, trattandosi di cause inscindibili, in ragione della adesione, espressa dall’ E. con l’atto di appello, alla domanda di usucapione proposta da D.R.; f) che ad identica conclusione si sarebbe dovuti giungere anche a voler ritenere le cause scindibili, essendo sussistente l’interesse della E. ad impugnare, a fronte della impugnazione principale dei coobbligati in solido e quella incidentale proposta dagli attori, dal momento che da tali iniziative sarebbe potuta scaturire una soccombenza più grave.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza, per avere la Corte omesso di disporre, ai sensi dell’art. 350 c.p.c., la riunione del presente giudizio agli altri originati dalle ricordate impugnazioni sia dei coobbligati che delle controparti.

3. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, costituiti: a) dall’intervenuta instaurazione di vari giudizi di appello contro la medesima sentenza di primo grado; b) dalla insufficienza dei dati contenuti nella relata di notifica della sentenza di primo grado, al fine di far decorrere il termine breve di impugnazione; c) dalla necessità di considerare l’impugnazione proposta dalla E. come appello incidentale tardivo.

4. I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, sin da ora sottolineando, quanto al terzo motivo, che ripropone, nell’angolo visuale dell’omesso esame di fatti decisivi, ossia dei vizio argomentativo, i dati processuali rilevanti ai fini della questione processuale sollevata col primo motivo, che, qualora il ricorrente prospetti un difetto di motivazione che non riguarda un punto di fatto, bensì un’astratta questione di diritto, il giudice di legittimità, investito, a norma dell’art. 384 c.p.c., del potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza impugnata, è chiamato a valutare se la soluzione adottata dal giudice del merito sia oggettivamente conforme alla legge, piuttosto che a sindacarne la motivazione, con la conseguenza che persino l’eventuale mancanza di questa deve ritenersi del tutto irrilevante, quando il giudice del merito sia, comunque, pervenuto ad una esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (v., ad es., Cass. 28 maggio 2019, n. 14476).

E parimenti, è ritenuta l’inammissibilità della prospettazione del vizio di motivazione in relazione a questione processuale, spettando alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato, o meno, il denunciato vizio di attività, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito (in tal senso, le pronunce 10 novembre 2015, n. 22952 e 31 luglio 2012, n. 13683).

Affrontando quindi i temi posti col primo e col secondo motivo, si osserva quanto segue.

Dall’esposizione delle vicende processuali emerge che gli originari attori non hanno fatto valere una responsabilità collettiva e solidale, ma una responsabilità specifica dei convenuti (o di gruppi di convenuti), per quanto di ragione, ossia in relazione alle aree da loro occupate.

Proprio la necessità di un unitario accertamento sollecitato dalla prospettazione degli attori e dalle difese dei convenuti – peraltro, non è senza significato che, in prima battuta, l’odierna ricorrente insista per il carattere inscindibile delle cause – orienta verso la ricostruzione della situazione realizzatasi come di litisconsorzio processuale.

Ora, l’art. 331 c.p.c., disciplinante il litisconsorzio nelle fasi di gravame, si applica non solo alle fattispecie in cui la necessità del litisconsorzio in primo grado derivi da ragioni di ordine sostanziale, ma anche a quelle di cd. litisconsorzio necessario processuale, che si verificano quando la presenza di più parti nel giudizio di primo grado debba necessariamente persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio (v., ad es., Cass. 29 marzo 2019, n. 8790).

Ciò posto, nei processi con pluralità di parti, quando si configuri l’ipotesi di litisconsorzio necessario, ovvero di litisconsorzio processuale, è applicabile la regola, propria delle cause inscindibili, dell’unitarietà del termine per proporre impugnazione, con la conseguenza che la notifica della sentenza eseguita da una delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio del termine breve per impugnare contro tutte le altre parti (v. i principi affermati al riguardo da Cass. 7 giugno 2018, n. 14722).

Ne discende che, nei confronti della E., il termine ha senz’altro preso a decorrere, per effetto della notifica ritualmente effettuata dai convenuti in primo grado, restando irrilevante il tema della mancata notifica da parte degli eredi della Co..

L’appello autonomamente proposto dalla E. con atto notificato il 27 novembre 2014 deve essere ritenuto tardivo per le ragioni di seguito esposte.

Si è ritenuto, in effetti, che in tema d’impugnazioni, l’appello autonomo tardivo, anche dopo la riunione dei procedimenti, non può essere considerato come un appello incidentale tardivo, operando la preclusione della decadenza stabilita dall’art. 333 cit., finalizzata a salvaguardare la tempestività dell’impugnazione incidentale, altrimenti proponibile, fuori dal primo procedimento, senza termine, e l’unitarietà del processo, pregiudicata da un’impugnazione autonoma, che, in mancanza di riunione, può generare contraddittorietà di giudicati (Cass. 12 ottobre 2016, 20497).

Tuttavia, la regola processuale della proposizione dell’impugnazione incidentale nello stesso processo scaturito dall’impugnazione principale è stata ritenuta superabile da parte della giurisprudenza di legittimità, nei senso che è operante un principio di conversione dell’impugnazione autonoma in incidentale, ma sempre che sia rispettato il termine previsto per la proposizione dell’impugnazione incidentale (v., per il ricorso per cassazione, tra le ultime, Cass. 26 novembre 2019, n. 30775; per l’appello, in particolare, Cass. 21 ottobre 2019, n. 26811, secondo cui siffatta impugnazione, proposta in via principale da chi, essendo stata la sentenza già impugnata da un’altra parte, avrebbe potuto proporre soltanto appello incidentale, non è inammissibile, ma può convertirsi, per il principio di conservazione degli atti giuridici, in gravarne incidentale, purchè depositato nel termine prescritto per quest’ultima impugnazione).

in particolare, le pronunce Cass., Sez. Un., 20 marzo 2017, n. 7074 e Sez.Un., 25 giugno 2002, n. 9232 hanno affermato che in tema di processo litisconsortile, in virtù del principio di unità dell’impugnazione, il ricorso proposto irritualmente in forma autonoma da chi, ai sensi degli artt. 333 e 371 c.p.c., avrebbe potuto proporre soltanto impugnazione incidentale, per convertirsi in quest’ultima deve averne i requisiti temporali, onde la conversione risulta ammissibile solo se la notificazione del relativo atto non ecceda il termine di quaranta giorni da quello dell’impugnazione principale; nè la decadenza conseguente all’inosservanza di detto termine può ritenersi superata dall’eventuale rispetto del termine “esterno” di cui agli artt. 325 o 327 c.p.c., giacchè la tardività o la tempestività, in relazione a quest’ultimo, assume rilievo ai soli fini della determinazione della sorte dell’impugnazione stessa in caso di inammissibilità di quella principale, ex art. 334 c.p.c..

In altre parole, occorre aver riguardo non alla data di notifica dell’appello autonomo (27 novembre 2014), ma alla data dell’adempimento di cui all’art. 343 c.p.c., ossia alla data di costituzione nel distinto giudizio – data che la ricorrente neppure si cura di indicare nel suo ricorso, di assoluta genericità sul punto – rispetto alla quale deve computarsi il rispetto del termine di venti giorni a ritroso rispetto alla data della prima udienza fissata per il primo appello (18 dicembre 2014).

Al riguardo, va ribadito che la Corte di cassazione, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, nè potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato (Cass., Sez. Un., 25 luglio 2019, n. 20181).

E, come ribadito tra le ultime nelle pronunce di questa Corte del 25 settembre 2019, n. 23834 e dell’8 giugno 2016, n. 11738, in tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti (nella specie, il ricorrente lamentava l’erronea dichiarazione di inammissibilità dell’appello per tardiva notificazione della citazione senza l’indicazione in ricorso della data della notificazione dell’atto, nemmeno desumibile dalla sentenza impugnata).

Nella fattispecie, la ricorrente, che ha fatto valere il vizio processuale nel quale sarebbe incorsa la Corte d’appello per non avere riunito le impugnazioni, ex art. 335 e 350 c.p.c., riunione che avrebbe comportato, in tesi, l’ammissibilità dell’appello dalla stessa parte proposto, quale appello incidentale tardivo, ex art. 334 c.p.c., non ha però dedotto di avere rispettato il termine ex art. 333 c.p.c. avuto riguardo all’impugnazione principale, da cui consegue l’inammissibilità del motivo per come fatto valere.

Nè l’astratta violazione della regola processuale che impone la riunione delle impugnazioni riguardanti la stessa sentenza potrebbe integrare ex se vizio di nullità della pronuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, dato che l’impugnazione non mira a tutelare l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte (sul principio, tra le tante, le pronunce di questa Corte del 12 dicembre 2014, n. 26157, del 9 agosto 2017, n. 19759, del 7 febbraio 2020, n. 2966).

5. In conseguenza, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, alla luce del valore e della natura della causa nonchè delle questioni trattate.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro (3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

 

 

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