Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18468 del 21/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 21/09/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 21/09/2016), n.18468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13511/2012 proposto da:

AGENZIA DEL TERRITORIO, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FASHION DISTRICT GROUP SPA in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA P.ZA DEI QUIRITI 3,

presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PROIETTI, rappresentato e

difeso dall’avvocato PIETRO AUGUSTO DE NICOLO giusta delega in

calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 34/2011 della COMM. TRIB. REG. di BARI,

depositata l’11/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito per il ricorrente l’Avvocato CASELLI che si riporta al ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato DE NICOLO che si riporta

agli scritti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – La Fashion District Group s.p.a. (incorporante la società Gamma 1 s.r.l.) ha impugnato con separati ricorsi dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Bari n. 34 rettifiche aventi ad oggetto il classamento, con l’attribuzione della categoria D/8 (fabbricati costruiti per esigenze commerciali, ipermercati e supermercati), di unità immobiliari (in gran parte negozi e in minima parte locali tecnici) facenti parte di un compendio definito “outlet” e denominato Fashion District Outlet sito nel comune di (OMISSIS), per le quali la società, con procedura DOCFA, aveva proposto l’accatastamento con l’attribuzione della categoria C/1 (negozi e botteghe).

2. – La commissione provinciale ha rigettato i ricorsi, all’uopo riuniti, della società, con sentenza avverso la quale essa ha proposto appello innanzi alla commissione tributaria regionale della Puglia in Bari.

3. – Quest’ultima, in accoglimento dell’appello, ha annullato gli atti di rettifica catastale, deliberando per ciascuna delle unità immobiliari l’attribuzione della categoria C/1.

4. – Avverso detta sentenza ricorre per cassazione l’agenzia del territorio (ora agenzia delle entrate) in forza di due motivi. La parte contribuente resiste con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo l’agenzia ricorrente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 652 del 1939, art. 10, D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 8 e del D.Lgs. n. 114 del 1998, art. 4, comma 1, lett. f) e g). Lamenta che la sentenza impugnata ha affermato che mentre i centri commerciali, basandosi sul D.Lgs. n. 114 del 1998, art. 4, sarebbero sicuramente soggetti all’attribuzione della categoria catastale D/8, le unità immobiliari inserite in un outlet non costituirebbero centro commerciale in ragione dell’autonomia delle componenti rispetto al complesso.

A sostegno della doglianza, l’agenzia deduce che il D.Lgs. del 1998 cit. non detta criteri in materia catastale, disciplinata esclusivamente dal R.D.L. n. 652 del 1939, art. 10 e dal D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 8, onde queste ultime norme sarebbero state violate dai giudici di merito; tali norme prevedono per i gruppi di categorie ordinarie (A, B e C) il classamento mediante confronto con le unità “tipo” di riferimento, essendo i negozi tipo della categoria C/1 negozi di modeste consistenze con propri servizi e semplici impianti, di norma prospicienti piazze o strade in centri abitati, mentre prevedono per il gruppo speciale D il classamento mediante stima diretta, essendo tali immobili (centri commerciali, outlet, mercati, fiere, spazi espositivi, mostre) “costruiti per le speciali esigenze di un’attività industriale e commerciale non suscettibili di una destinazione estranea alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni” (R.D.L. n. 652 del 1939, art. 10 e succ. mod.). Deduce altresì l’agenzia che su tutto il territorio nazionale, come documentato in causa, gli outlet sono classificati nella categoria D/8, mentre non sarebbe possibile – ai fini dell’attribuzione della categoria C/1 – il confronto con “unità tipo” nella zona censuaria o in quelle adiacenti, in quanto non esistenti.

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente agenzia deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, contraddittorietà e insufficienza di motivazione circa un fatto decisivo della controversia. La ricorrente lamenta che sul punto decisivo della controversia costituito dalle caratteristiche degli immobili appartenenti alla categoria catastale D/8, attribuita alle unità immobiliari dall’ufficio, rispetto alle caratteristiche degli immobili per l’attribuzione della categoria C/1 pretesa dalla società, la sentenza impugnata, pur riconoscendo da un lato la fondatezza della proposta della parte per l’attribuzione alle unità immobiliari della predetta categoria C/1, dall’altro, in maniera contraddittoria, abbia poi argomentato che le unità costituiscono “una vera e propria cittadella del commercio”, “con le strade, i portici, le piazze, i bar, i punti di ristoro, ecc.”, con ciò svilendo l’altra affermazione espressa circa il fatto che dette unità immobiliari potessero e dovessero avere “… una catalogazione catastale autonoma” l’una dall’altra in base alla superficie e alla effettiva destinazione commerciale tipo C/1.

3. – Il primo motivo è inammissibile. In ordine a esso, deve rilevarsi che già in altre controversie tra le stesse parti, su ricorsi della parte contribuente avverso decisioni di segno opposto a quella qui esaminata, aventi ad oggetto il classamento catastale di immobili siti nel medesimo “outlet” di (OMISSIS) per i quali l’amministrazione aveva attribuito la categoria D/8 in luogo di quella C/1 proposta dalla contribuente (cfr. sez. 6-5 nn. 3577, 3578, 3579 e 3580 del 2015, che hanno rigettato i ricorsi), nonchè in una controversia tra diverse parti concernente immobili in altro “outlet” (cfr. sez. 5 n. 8662 del 2015, che ha cassato sentenza che aveva riconosciuto la categoria C/1), questa corte ha ritenuto che la questione relativa al valutare se gli esercizi commerciali compresi nei complessi immobiliari di tipo “outlet” debbano formare oggetto di un classamento frammentato in categoria C/1 o debbano invece formare oggetto di una valutazione che, tenendo conto del complesso architettonico e commerciale in cui i singoli locali si collocano, e dal quale fruiscono di servizi e infrastrutture centralizzate seppure non all’interno di un unico edificio ma all’interno di una “cittadella commerciale”, integri una “questio facti”, insindacabile mediante ricorso in cassazione.

In effetti, con il primo motivo, sotto l’apparente denuncia di violazione di norme di diritto, la ricorrente agenzia ha in realtà sottoposto alla corte la predetta valutazione di questione di fatto, sollecitandone un riesame in difformità dalla valutazione adottata dal giudice di merito, censurando peraltro, con separato motivo come insufficiente e contraddittoria, la motivazione addotta a sostegno del suddetto accertamento. Mentre dunque l’esame del primo motivo, risolvendosi in una censura di fatto, resta precluso in sede di legittimità in assenza di vizi della motivazione (cfr., anche per richiami, la sentenza n. 8662 del 2015 cit.), deve passarsi all’esame del secondo motivo mediante il quale, appunto, l’agenzia sottopone – correttamente – la questione dal punto di vista dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. – Può solo soggiungersi, per completezza, che l’argomentazione sottoposta dall’agenzia – nell’ambito del primo motivo – secondo la quale la sentenza impugnata avrebbe basato sul D.Lgs. n. 114 del 1998, art. 4, l’attribuzione della categoria catastale D/8, mentre il D.Lgs. cit., non concerne la materia catastale, onde ne risulterebbero violati il R.D.L. n. 652 del 1939, art. 10 e il D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 8, pare fondarsi su una lettura errata della sentenza impugnata, che in effetti trae dalla definizione di “centro commerciale” evincibile dal D.Lgs. cit. (in realtà recante disciplina del commercio) meri dati fattuali per le proprie valutazioni ai fini dell’applicazione della disciplina catastale.

5. – Va invece accolta la censura di cui al secondo motivo, con il quale si denuncia la carenza motivazionale della decisione impugnata sotto il profilo della motivazione contraddittoria e insufficiente.

Effettivamente, come dedotto dall’agenzia, un punto decisivo della controversia risiede nella valutazione relativa al se gli immobili destinati ad esercizi commerciali compresi nell'”outlet” – avente connotati di cittadella commerciale – di cui si discute debbano formare oggetto di un classamento frammentato, in categoria ordinaria C/1, cioè quali botteghe o negozi ordinari autonomamente considerati, o se invece debbano ritenersi costituire fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze dell’attività commerciale della cittadella stessa, e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni, tali – in questo secondo caso – da giustificare l’attribuzione della categoria speciale D/8 di cui al classamento impugnato. Come già rilevato da questa corte (cfr. sez. 5, n. 8662 del 2015 cit.), la dicotomia tra ordinarietà e specialità è, in materia, assolutamente irriducibile, onde particolarmente delicato è il compito del giudice del merito, che deve procedere alle valutazioni fattuali di sua spettanza nel pieno rispetto della logica e dei criteri giuridici della materia.

6. – Orbene la sentenza impugnata, dopo avere esposto le ragioni che, ad avviso dei giudici di merito, diversificano l'”outlet” in forma di cittadella del commercio rispetto ad un centro commerciale, valorizzando la visione secondo cui i negozi compresi nell'”outlet” rappresentino – in quanto non compresi all’interno di un “unico corpo di fabbrica” – punti di vendita distinti, indipendenti e autonomi l’uno dall’altro, sì da costituire unità singolarmente produttive di reddito, in maniera contraddittoria poi afferma che l'”outlet” “riproduce una città in miniatura, con le strade i portici, le piazze, i bar, i punti di ristoro, ecc.”, facendone una “cittadella del commercio”, “in cui i punti vendita sono riuniti” “al fine di agevolare la clientela che… ha l’opportunità di visitare diversi esercizi commerciali per le esigenze di tutta la famiglia”.

Al di là delle contraddizioni logiche insite nella predetta argomentazione (che non spiega peraltro l’origine del tratto distintivo utilizzato dell'”unico corpo di fabbrica”, a fronte invece della definizione di “centro commerciale” – pure citata nella sentenza impugnata – tratta dal D.Lgs. n. 114 del 1998, art. 4, comma 1, lett. g), che, invece, guardando ad esercizi commerciali “inseriti in una struttura a destinazione specifica (che) usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente”, ben si adatterebbe anche ad esercizi pur in corpi di fabbrica diversi ma inseriti in un unico recinto commerciale, con parcheggi e servizi comuni), il percorso motivazionale appare viziato anche per insufficienza, posto che, da un lato, non tiene conto dell’esistenza dei dati strutturali predetti (inserimento in struttura a destinazione specifica e presenza di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente) e, dall’altro, soprattutto, non pone a confronto le conclusioni fattuali raggiunte con il dato – normativamente previsto dal R.D.L. n. 652 del 1939, art. 10 e succ. mod. – relativo al se o meno gli immobili debbano ritenersi “costruiti per le speciali esigenze di un’attività industriale e commerciale” e “non suscettibili di una destinazione estranea alle esigenze suddette senza radicali trasformazioni”. Sul punto, infatti, la mera asserzione che si legge nella sentenza gravata, secondo cui “ogni singola unità produttiva è suscettibile di un uso diverso, perchè può cambiare la categoria merceologica oggetto di vendita o comunque essere destinata a ufficio o altro”, non coglie nel segno in ordine al portato dell’art. 10 cit., che impone al giudice del merito di valutare non già se siano possibili i mutamenti meramente di destinazione di cui alla sentenza impugnata, del tutto compatibili con le finalità di un “outlet”, bensì se sia possibile “una destinazione estranea” alle “esigenze” dell’attività di “outlet” insito in cittadella commerciale.

7. – La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio a diversa sezione della commissione tributaria regionale della Puglia, che – rinnovando l’esame della questione alla luce di quanto innanzi – deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla commissione tributaria regionale della Puglia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2016

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