Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18468 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. II, 04/09/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 04/09/2020), n.18468

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2284-2016 proposto da:

T.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NICOLO’

PAGANINI 15, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA PANICCIA,

rappresentata e difesa dagli avvocati FRANCESCO PALLESCHI, GIOVANNI

PANICCIA giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

TE.RA., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE IPPOCRATE

92, presso lo studio dell’avvocato ROSALBA GENOVESE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ANTONIO BALDASSARRA giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

F.N.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7602/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito il PUBBLICO MINISTERO nella persona Sostituto Procuratore

Generale, Dott. ALESSANDRO PEPE, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso

udito l’Avvocato Francesco Palleschi per la ricorrente e l’Avvocato

Antonio Baldassarra per il controricorrente.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE

T.R. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Cassino il fratello Te.Ra. e chiedeva che, previo accertamento della qualità di eredi delle parti in causa del defunto T.A., loro genitore, procedutosi alla ricostruzione dell’esatta consistenza dell’asse ereditario, si procedesse alla riduzione delle donazioni di cui ai punti 4, 5 e 6 dell’atto di citazione reintegrando nella massa i beni interessati dalle donazioni nonchè le somme di denaro del pari donate al convenuto, con la condanna di quest’ultimo al versamento del corrispettivo per l’uso esclusivoA’ei beni immobili e del denaro, il tutto al fine di ricostituire la quota spettante all’attrice quale legittimaria.

Si specificava che in data 9/4/2001 era deceduto T.A. lasciando a sè superstiti l’attrice ed il convenuto, nonchè il coniuge G.T. che aveva rinunciato all’eredità con atto del 29/5/2001, con l’effetto che unici eredi erano solo le parti in causa e per la quota del 50%.

A seguito di numerose donazioni di immobili e di denaro effettuate dal padre in favore del figlio era necessario procedere alla loro riduzione, al fine di reintegrare la quota di legittima.

Nella resistenza del convenuto che chiedeva di essere autorizzato alla chiamata in causa del coniuge dell’attrice, F.N., in quanto a sua volta beneficiario di una donazione da parte del de cuius, che gli aveva fornito il denaro per il successivo acquisto di un immobile, nella contumacia del terzo chiamato, il Tribunale con la sentenza n. 111 del 2009, dichiarava aperta la successione legittima del defunto genitore, con il riconoscimento ai figli R. e Ra. della qualità di eredi, rigettava l’eccezione di inammissibilità della domanda di divisione e collazione avanzata dall’attrice con le memorie di cui all’art. 183 c.p.c., e previo assorbimento dell’azione di riduzione, disponeva per il prosieguo del giudizio al fine di pervenire ad un progetto di divisione, previa collazione delle donazioni ricevute dal convenuto.

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 7602 dell’11 dicembre 2014 in accoglimento del gravame proposto da T.R. ha rigettato la domanda di riduzione, dichiarando inammissibile l’azione di divisione e di collazione, con la condanna dell’attrice al rimborso delle spese del doppio grado.

Dopo avere provveduto alla correzione dell’errore materiale commesso dal Tribunale nell’indicazione del cognome del terzo chiamato, nell’esaminare congiuntamente il secondo, il terzo ed il quinto motivo di appello, la Corte distrettuale riteneva che fossero fondati.

In tal senso, richiamata la differenza tra azione di riduzione e collazione, attesa anche la diversa finalità che mirano a soddisfare ed i differenti presupposti applicativi, ribadiva che la proposizione dell’azione di riduzione non implica altresì che sia stata avanzata la domanda di collazione nè tantomeno quella di divisione.

Nella specie l’attrice in citazione aveva chiesto solo la riduzione delle donazioni effettuate in favore del germano, avendo provveduto all’elencazione dei beni facenti parte dell’asse ribadendo la spettanza della quota di legittimaria.

Non poteva quindi individuarsi anche la volontà di proporre la domanda di divisione e di collazione, con la conseguenza che la domanda successivamente proposta nel corso del giudizio di primo grado era da reputarsi inammissibile in quanto tardiva, nemmeno potendo accreditarsi la tesi del Tribunale per cui la T. avesse proposto implicitamente anche la domanda di divisione.

In tal senso il solo richiamo alla spettanza di una quota del 50%, oltre a non permettere di superare il fondato dubbio circa la possibilità di una proposizione di domanda ab implicito, non era significativo “giacchè non vi è modo di ritenere che nascesse dalla volontà di proporre una ulteriore domanda (di divisione? anche di collazione?) e non, ben più semplicemente, da un errore nell’individuazione della quota di legittima”.

Inoltre non vi era alcuna chiara manifestazione di volontà dell’attrice di trasformare la propria quota ideale della comunione in proprietà solitaria, nè era stato manifestato l’intento di mantenere inalterata la proporzione tra le attribuzioni ai coeredi stabilita dalla legge.

Anche il quarto motivo era poi accolto.

Infatti, richiamati gli oneri di allegazione e probatori cui è tenuto il legittimario che agisce in riduzione, nella specie la citazione era del tutto carente, in quanto non era stato specificato quale sarebbe stata la quota di riserva dell’attrice ed in quale misura fosse stata lesa, tenuto conto del raffronto tra la complessiva entità della massa e la stessa quota di legittima.

Non era causale in tal senso il fatto che anche in grado di appello l’attrice avesse insistito per l’attribuzione del 50% dell’asse ereditario, richiesta che lungi dal denotare l’effettiva proposizione ab origine di una domanda di divisione, conferma che l’azione di riduzione era stata avanzata senza nemmeno rappresentarsi quale fosse la sua quota di riserva.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso T.R. sulla base di due motivi.

Te.Ra. ha resistito con controricorso.

F.N. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Diritto

RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si rileva che con l’atto introduttivo del giudizio era stato fatto riferimento alla natura ab intestato della successiOne paterna nonchè alla circostanza che fosse intervenuta la rinuncia all’eredità da parte della comune genitrice con il conseguente accrescimento delle quote ereditarie dei due fratelli. Inoltre si era fatto riferimento ad una serie di atti di donazione da parte del de cuius tutti avvenuti senza dispensa da collazione.

Pertanto una volta escluso che il riferimento alla quota del 50% sia un errore nell’indicazione della quota di riserva, la valutazione dei suddetti fatti avrebbe necessariamente portato ad un esito diverso, e cioè a ritenere, come peraltro già opinato dal Tribunale, che fosse stata proposta anche l’azione di collazione.

Il secondo motivo denuncia la nullità della sentenza per violazione degli artt. 99 e 112 e art. 183, comma 5, vigente ratione temporis e art. 1367 c.c. nell’interpretazione della domanda.

Nel ricordare la correttezza dell’approdo interpretativo seguito dal Tribunale, si sostiene che i giudici di appello hanno erroneamente escluso che fosse stata avanzata anche la domanda di divisione e di collazione, dovendosi a tal fine prescindere da un approccio di carattere meramente letterale, ed occorrendo indagare quale fosse la reale volontà della parte.

2. I motivi che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione sono infondati.

Incensurabile è, ad avviso della Corte, l’affermazione dei giudici di appello i quali hanno rimarcato la netta differenza esistente tra la domanda di riduzione e quella di divisione, nel cui ambito trova spazio anche l’istituto della collazione.

Questa Corte ha reiteratamente affermato (cfr. Cass. n. 9192/2017) che l’azione di divisione ereditaria e quella di riduzione sono fra loro sostanzialmente diverse, perchè la prima presuppone l’esistenza di una comunione tra gli aventi diritto all’eredità che, invece, non sussiste nella seconda, ove il “de cuius” ha esaurito il suo patrimonio in favore di alcuni di tali aventi diritto, con esclusione degli altri, mediante atti di donazione o disposizioni testamentarie.

Ne consegue che la domanda di riduzione, pur potendo essere proposta in via subordinata rispetto a quella di divisione, la quale ha, rispetto alla prima, carattere pregiudiziale, non è implicitamente inclusa in quest’ultima sicchè, se presentata per la prima volta nel corso del giudizio di scioglimento della comunione, va considerata come domanda nuova, stante la diversità di “petitum” e “causa petendi”.

In tal senso si veda anche Cass. n. 20143/2013, a mente della quale proprio in considerazione dell’autonomia e della diversità dell’azione di divisione ereditaria rispetto a quella di riduzione, il giudicato sullo scioglimento della comunione ereditaria in seguito all’apertura della successione legittima non comporta un giudicato implicito sull’insussistenza della lesione della quota di legittima, sicchè ciascun coerede condividente, pur dopo la sentenza di divisione divenuta definitiva, può esperire l’azione di riduzione della donazione compiuta in vita dal “de cuius” in favore di altro coerede dispensato dalla collazione, chiedendo la reintegrazione della quota di riserva e le conseguenti restituzioni.

Differenti, infatti, sono i presupposti delle due azioni, proprio perchè la collazione presuppone evidentemente un relictum ancora esistente tra i coeredi, che invece può anche non esservi ai fini dell’esercizio dell’azione di riduzione, ove il de cuius abbia esaurito i propri beni per effetto di donazioni compiute in vita (cfr. Cass. n. 15026/2013).

Ancora sul piano soggettivo, mentre la collazione opera esclusivamente tra i coeredi indicati dall’art. 737 c.c., l’azione di riduzione può essere indirizzata verso chiunque abbia ricevuto donazioni o liberalità, a prescindere dalla qualifica di coerede, atteso che la finalità della collazione, come specificato anche da Cass. n. 21896/2004/è quella di conservare tra gli eredi stessi la proporzione stabilita nel testamento o nella legge, permettendo la divisione tra i coeredi in proporzione delle quote a ciascuno spettanti, indipendentemente dall’esperimento dell’azione di riduzione che invece mira a preservare l’integrità della quota di riserva del legittimario (cfr. Cass. n. 2704/1975).

In tal senso si è chiarito (Cass. n. 14864/2000) che, ancorchè l’esercizio dell’azione di divisione ereditaria comporti, come quello dell’azione di riduzione, la collazione e l’imputazione delle donazioni per accertare la consistenza del patrimonio ereditario, mentre la “causa petendi” della prima è la qualità di erede ed il “petitum” l’attribuzione della quota ereditaria, la “causa petendi” della seconda è la qualità di legittimario leso nella quota di riserva, e il “petitum”, pur senza necessità di usare formule sacramentali, la reintegra in essa, previa determinazione della disponibile, mediante riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni.

Ciò conferma che (Cass. n. 3821/2000) l’azione di divisione e quella di riduzione sono nettamente distinte ed autonome (per oggetto e causa petendi, presupponendo la prima l’esistenza di una comunione ereditaria che si vuole sciogliere; ed essendo la seconda diretta al soddisfacimento dei diritti del legittimario indipendentemente dalla divisione).

Per l’effetto si è escluso che la domanda di reintegra della quota di riserva possa ritenersi implicitamente contenuta in quella di divisione essendone preclusa, perchè nuova, la sua proposizione per la prima volta in appello, pur essendo consentito al legittimario leso di chiedere cumulativamente nello stesso giudizio, sia la riduzione che la divisione.

La netta differenziazione dal punto di vista processuale tra le due azioni impone poi di ritenere che (cfr. Cass. n. 7142/1994) la domanda di collazione proposta nel giudizio di divisione ereditaria con riguardo ai beni che si assumono donati in vita dal coerede con atto di alienazione simulato, non implica domanda di riduzione delle relative attribuzioni patrimoniali, così che, in relazione all’eventuale deduzione della natura simulata di alcune donazioni, ove sia stata esperita la sola domanda di divisione e conseguente collazione, l’attore, oltre ad essere sottoposto alla prescrizione decorrente dalla data del compimento dell’atto simulato, alla quale sarebbe stata sottoposta anche l’eventuale azione intentata dal simulato donante (Cass. n. 3932/2016), non può avvalersi delle agevolazioni probatorie che la legge riserva ai terzi (e tra questi anche al legittimario che agisca in riduzione o per far valere la propria qualità di legittimarie).

Peraltro come opportunamente sottolineato da Cass. n. 22097/2015, un concreto interesse del legittimario ad esercitare l’azione di riduzione verso il coerede donatario anche in sede di divisione ereditaria (e ciò a prescindere dal particolare favor che la legge accorcia al legittimario per il caso di donazione simulata, come appena evidenziato), potrebbe scaturire dalla considerazione che gli effetti della divisione nonostante il meccanismo della collazione – non assorbono del tutti gli effetti della riduzione, posto che quest’ultima obbliga alla restituzione in natura dell’immobile donato, mentre l’altra ne consente solo l’imputazione di valore.

Ai fini della disamina della vicenda non può quindi prescindersi dalla correttezza dell’affermazione in diritto circa l’autonomia e diversità tra l’azione di riduzione e quella di divisione, il che impone di ritenere che (cfr. Cass. n. 22885/2010) poichè la domanda di riduzione non è implicitamente inclusa in quella di divisione, anche nel regime anteriore alla riforma di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353, una volta proposta la domanda di divisione, quella di riduzione è da ritenere nuova e, come tale, inammissibile ove la controparte abbia sul punto rifiutato il contraddittorio nel corso del giudizio di primo grado.

Anzi, sempre in punto di preclusioni processuali, si è altresì precisato che (Cass. n. 29372/2011), anche laddove sia stata proposta una domanda di divisione ereditaria, successivamente alla costituzione dei convenuti non può più essere chiesta una formazione delle quote diversa da quella cui il giudice debba attenersi in relazione al patrimonio del “de cuius” individuato dalle parti nei loro scritti difensivi iniziali, in quanto la deduzione del fatto che un condividente sia tenuto alla collazione di un bene donato, costituendo eccezione in senso proprio, in quanto diretta a paralizzare la pretesa di tale condividente a partecipare alla divisione secondo quanto gli spetterebbe ove tale donazione non avesse avuto luogo, è soggetta alle preclusioni di cui all’art. 167 c.p.c., comma 2.

Non si intende in alcun modo negare la cumulabilità nello stesso giudizio delle due domande, possibile, oltre che nell’ipotesi sopra richiamata in cui il coerede miri con la riduzione ad assicurarsi il recupero in natura del bene donato, anche laddove (cfr. Cass. n. 19284/2019) il legittimario che abbia chiesto la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che assume lesive della legittima, successivamente, nell’eventualità che la domanda di riduzione sia accolta, intenda estendere l’azione di divisione anche a quei beni che, a seguito dell’accoglimento dell’azione di riduzione, rientrano a far parte del patrimonio ereditario divisibile, ma va fermamente ribadita la diversità delle due azioni sia per il petitum che per la causa petendi.

Ne deriva che, se come affermato in giurisprudenza (Cass. n. 7237/2017), in tema di divisione ereditaria, poichè, ai fini dell’individuazione della domanda proposta, non può prescindersi dalla disamina congiunta della “causa petendi” e del “petitum”, nel caso in cui, sotto il primo profilo, la parte ha fatto riferimento alla possibilità di donazioni lesive della quota di legittima, non può ritenersi che sia stata proposta un’azione di riduzione ove il “petitum” rientri in quello dell’azione di divisione, analogamente ove nella causa petendi si riferisca di donazioni, potenzialmente suscettibili di essere sottoposte a collazione, non può farsi applicazione di tale istituto ove il petitum sia chiaramente finalizzato all’esercizio dell’azione di riduzione.

Non ignora questa Corte come apparentemente in senso difforme da tale orientamento prevalente si ponga Cass. n. 8510/2018, che ha affermato che l’obbligo della collazione sorge automaticamente e i beni donati in vita dal “de cuius” devono essere conferiti indipendentemente da una espressa richiesta, essendo sufficiente, a tal fine, la proposizione della domanda di accertamento della lesione della quota di legittima e di riduzione e la menzione in essa dell’esistenza di determinati beni facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire, trattandosi di conclusione che, oltre a contrastare con la costante e risalente giurisprudenza di questa Corte in ordine alla chiara differenza tra le due azioni, non trova corrispondenza nella motivazione nella volontà di rimeditare l’orientamento tradizionale, ma appare anzi supportata unicamente dal richiamo al precedente rappresentato da Cass. n. 15131/2005, la cui massima così recita: In presenza di donazioni fatte in vita dal “de cuius”, la collazione ereditaria in entrambe le forme previste dalla legge, per conferimento del bene in natura ovvero per imputazione – è uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote, da determinarsi, in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del “relictum” e del “donatum” al momento dell’apertura della successione, e quindi garantire a ciascuno degli eredi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota. Ne consegue che l’obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell’apertura della successione (salva l’espressa dispensa da parte del “de cuius” nei limiti in cui sia valida) e che i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti, essendo sufficiente a tal fine la domanda di divisione e la menzione in essa dell’esistenza di determinati beni, facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire, quali oggetto di pregressa donazione. Incombe in tal caso sulla parte che eccepisca un fatto ostativo alla collazione l’onere di fornirne la prova nei confronti di tutti gli altri condividenti.

Traspare con evidenza come anche il precedente in esame si inserisca nel tradizionale filone interpretativo della Corte che correla l’automaticità della collazione alla proposizione dell’azione di divisione, ma che non consente di estendere tale automatismo alla diversa ipotesi in cui la domanda proposta sia quella di riduzione.

Una volta poste tali premesse in punto di diritto, e tornando alla disamina dei motivi di ricorso, si palesa evidentemente infondata la censura che investe la corretta interpretazione della domanda attorea, e la pretesa violazione delle previsioni in tema di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di preclusioni processuali.

Ed, infatti, occorre richiamare il tradizionale orientamento di questa Corte secondo cui (cfr. da ultimo Cass. n. 30684/2017) l’interpretazione della domanda integra un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, così che in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata, con la conseguenza che la censura formulata si rivela priva di fondamento, posto che l’unica norma di ermeneutica di cui si denuncia la violazione è quella di cui all’art. 1367 c.c., che risulta evidentemente inconferente nella fattispecie, atteso che i giudici di appello, lungi dal negare efficacia alla domanda proposta, hanno ritenuto, con motivazione logica e coerente, che le richieste della ricorrente fossero indirizzate unicamente all’aggressione delle donazioni con l’azione di riduzione, prescindendosi dalla pur possibile assoggettabilità delle stesse a collazione nell’ambito di un giudizio di divisione.

Tuttavia, anche a voler reputare che la formulazione del motivo esuli dalla richiesta di sindacare una mera interpretazione della domanda, come tale riservata al giudice di merito, ma investa piuttosto la denuncia di un error in procedendo, dandosi quindi seguito alla tesi sostenuta da questa Corte secondo cui (Cass. n. 20716/2018) quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un “error in procedendo”, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (nella specie, la Corte, rilevando un vizio di omessa pronuncia sulla riproposizione in appello dell’originaria domanda riconvenzionale riguardante l’obbligo dell’appellato di contribuire ai miglioramenti apportati dall’appellante alle parti comuni dell’edificio, ha proceduto direttamente all’interpretazione dell’atto di appello; conf. Cass. n. 25259/2017), il ricorso risulta privo di fondamento.

Il tenore letterale delle richieste formulate nelle conclusioni dell’atto di citazione denota senza alcuna residua incertezza che l’intento effettivo della parte e quindi il petitum della domanda era finalizzato ad ottenere il recupero dei beni donati e delle somme donate “per ricostruire la quota spettante alla legittimaria sig. T.R.” (così come riportato nelle conclusioni di cui alle pagg. 4 e 5 dell’atto di citazione, trascritte dalla stessa ricorrente).

Nè vale addure la sussistenza del vizio di omessa disamina dei fatti decisivi, posto che la loro eventuale decisività avrebbe potuto rilevare nel solo caso in cui fosse stata effettivamente proposta l’azione di divisione e conseguente collazione delle donazioni.

D’altronde trattasi di fatti che assumono rilievo non solo ai fini dell’esercizio della domanda di scioglimento della comunione ma si pongono come fatti incidenti sull’esito del giudizio anche nel caso di proposizione della domanda di riduzione, atteso che la circostanza che la successione sia ab intestato non è preclusiva dell’esercizio dell’azione di riduzione (soprattutto laddove per effetto di atti di liberalità si sostenga che il relictum, sebbene ripartito secondo le maggiori quote della successione legittima, non assicuri il soddisfacimento della quota di riserva inferiore dal punto di vista matematico, ma che si calcola su di una diversa base rappresentata dal cumulo tra relictum al netto dei debiti e donatum), così come l’esistenza di una successione testamentaria non esclude la necessità di ricorrere alla divisione (nel caso in cui il testatore non abbia ripartito i suoi beni fra i coeredi designati ai sensi dell’art. 734 c.c.).

Ancora l’avvenuta rinuncia all’eredità del coniuge superstite potrebbe rilevare non solo ai fini della decisione della domanda di divisione, in vista dell’accrescimento delle quote dei coeredi, ma anche ai fini dell’azione di riduzione, essendo stato a lungo dibattuto se anche per le quote di riserva operasse l’istituto de quo in caso di rinuncia di uno dei legittimari (dibattito infine risolto da Cass. S.U. n. 13524 e 13429 del 2006, a favore della tesi della cd. cristallizzazione delle quote di riserva alla luce del quadro successorio esistente al momento della morte del de cuius).

Infine la mancanza di dispensa da collazione se consente di far rientrare i beni per l’intero valore ai fini delle operazioni divisionali tra coeredi, non costituisce una circostanza ostativa all’aggressione delle relative donazioni anche con l’esercizio dell’azione di riduzione, non avendo quindi carattere decisivo ai fini dell’individuazione della domanda effettivamente proposta.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Inoltre la correttezza dell’esito interpretativo al quale è giunta la Corte distrettuale trova ulteriore conforto nella circostanza che la stessa attrice, nella citazione introduttiva, si limitava con riferimento ai beni di cui ai punti da 4 a 6 dell’atto medesimo, a riferire solo in merito all’esistenza di beni oggetto di atti di liberalità da parte del de cuius, senza alcuna indicazione di beni relitti, di modo che, come detto, l’assenza di un relictum risulta ostativa sia alla proponibilità di una domanda di divisione (potendo una divisione ipotizzarsi solo per la eventuale comunione che rossa insorgere a seguito dell’accoglimento dell’azione di riduzione secondo il meccanismo delineato dall’art. 560 c.c.) che alla possibilità di invocare la collazione per le donazioni indicate, posto che anche in assenza di dispensa da collazione, l’operatività di quest’ultima presuppone a monte l’esistenza di un relictum e quindi di una comunione ereditaria di citazione.

L’assunto della stessa attrice, quale delineato in citazione, che in realtà il de cuius si era spogliato con atti di liberalità di tutti i propri beni immobili e del denaro, stante l’inoperatività della collazione per l’assenza di un relictum implica quindi che l’unico strumento di tutela per il recupero dei propri diritti successori, nella specie quale legittimaria, era quello dell’esercizio dell’azione di riduzione, sicchè anche un’eventuale modificazione della domanda nei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5, come invocato dalla ricorrente, non avrebbe sortito alcun effetto utile per la parte, dovendosi appunto ribadire che, alla luce di quanto riportato in citazione e del fatti in esso allegati, era solo l’azione di riduzione quella in potenza idonea ad offrire tutela alle aspettative successorie della T..

3. Attesa la complessità delle questioni giuridiche trattate e tenuto conto dei diversi esiti della controversia nei gradi di merito, si ritiene che ricorrano i presupposti per compensare le spese del presente giudizio.

4. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

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