Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18465 del 08/09/2011

Cassazione civile sez. I, 08/09/2011, (ud. 13/07/2011, dep. 08/09/2011), n.18465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20162/2009 proposto da:

C.G.A. ((OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 227, presso lo studio dell’avvocato

STEFANIA JASONNA, rappresentato e difeso dall’avvocato ITRO Giovanni,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SALARIA 227, presso lo studio dell’avv. STEFANIA JASONNA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ITRO GIOVANNI, giusta procura

speciale a margine del ricorso principale;

– controricorrente al ricorrente incidentale –

– ricorrenti incidentali –

avverso il decreto n. 6754/08 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

3.4.09, depositato il 14/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito per il ricorrente e controricorrente al ricorrente incidentale

l’Avvocato Giovanni Itro che ha chiesto l’accoglimento del ricorso

principale ed il rigetto di quello incidentale.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIERFELICE

PRATIS che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo del ricorso

principale e per il rigetto dell’incidentale.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che C.G.A., con ricorso del 10 settembre 2009, ha impugnato per cassazione – deducendo tre motivi di censura, nei confronti del Ministro dell’economia e della finanze, il decreto della Corte d’Appello di Napoli depositato in data 14 aprile 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del C. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare al ricorrente la somma di Euro 5.165,00 a titolo di equa riparazione;

che resiste, con controricorso, il Ministro dell’economia e delle finanze, il quale ha anche proposto ricorso incidentale fondato su un unico motivo, cui resiste, con controricorso, il ricorrente principale;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 22.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 21 novembre 2008, era fondata sui seguenti fatti: a) il C., asseritamente interessata con altri ricorrenti all’apertura di un ambulatorio medico nel Comune di S. Arcangelo Trimonte (BN), apertura negata invece dalla Regione Campania, aveva impugnato – con ricorso del 3 novembre 1990 – gli atti di diniego dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Campania; b) il Tribunale adito, al momento della proposizione della domanda di equa riparazione non aveva ancora deciso la causa;

che la Corte d’Appello di Napoli, con il suddetto decreto impugnato:

a) ha ritenuto infondata l’eccezione di improcedibilità della domanda, avendo il ricorrente depositato istanza di prelievo nel processo presupposto in data 18 novembre 2008; b) ha ritenuto parzialmente fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dall’Amministrazione resistente, ritenendo estìnto per prescrizione decennale il diritto di credito fatto valere concernente, a ritroso, il periodo di irragionevole durata fino al 20 novembre 1998; c) ha determinato in dieci anni e quattro mesi circa (dal 21 novembre 1998 al 3 aprile 2009, data della deliberazione del decreto) il periodo eccedente la ragionevole durata; d) ha liquidato a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale la somma di Euro 5.165,00, calcolata in base ad un importo annuo di circa Euro 500,00, così ridotta, per avere la ricorrente proposto una specifica istanza di prelievo nel giudizio amministrativo presupposto solo nel novembre 2008, nonchè per il carattere collettivo collettiva del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

preliminarmente, che il ricorso principale e quello incidentale debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., per essere stati proposti contro lo stesso decreto;

che con i tre motivi di censura vengono denunciati come illegittimi dal ricorrente principale: a) la affermata prescrizione parziale del diritto fatto valere; b) l’applicazione di un parametro di liquidazione dell’indennizzo ingiustificatamente inferiore a quello indicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; c) la riduzione dell’indennizzo per il comportamento inerte della ricorrente, avuto riguardo alla ritardata presentazione dell’istanza di prelievo;

che il ricorrente incidentale censura il decreto impugnato, per aver ritenuto inapplicabile alla specie la nuova disciplina dell’istanza di prelievo;

che il ricorso incidentale è inammissibile, perchè il ricorrente incidentale non censura la reale ratio decidendi del decreto impugnato: infatti – contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente incidentale -, la Corte napoletana ha ritenuto applicabile alla fattispecie la nuova disciplina sull’istanza di prelievo, di cui al D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, ma ha respinto l’eccezione di improcedibilità della domanda, in quanto il ricorrente aveva depositato istanza di prelievo nel processo presupposto in data 18 novembre 2008, cioè anteriormente al deposito del ricorso per equa riparazione, avvenuto in data 21 novembre 2008;

che il ricorso principale merita, invece, accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che, in particolare, la censura sub a) è manifestamente fondata, perchè, secondo il costante orientamento di questa Corte, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4, nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, nel caso – quale quello di specie – di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 27719 del 2009, 1886 e 3325 del 2010);

che le censura sub b) e sub c) sono assorbite;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., comma 2;

che il processo presupposto de quo è pacificamente iniziato in data 3 novembre 1990 ed era pendente alla data del 21 novembre 2008, della proposizione della domanda di equa riparazione, con la conseguenza che esso si era protratto complessivamente per diciotto anni circa, con la conseguenza che – detratto il periodo di tre anni di ragionevole durata – la eccedenza irragionevole va determinata in quindici anni circa;

che la fattispecie è inoltre caratterizzata dalla incontestata circostanza che la ricorrente ha depositato nel corso del processo presupposto la cosiddetta “istanza di prelievo” soltanto nel novembre 2008;

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni;

che questa Corte, inoltre, ha già più volte affermato il principio secondo cui, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa, secondo cui l’innovazione, introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1 (per il quale la domanda non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata l’istanza di prelievo ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51), non può incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti, in mancanza di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere, e secondo cui – tuttavia – la mancata o ritardata presentazione dell’istanza di relievo può incidere, entro i limiti dell’equità, sulla determinazione dell’entità dell’indennizzo, con riferimento all’art. 2056 cod. civ., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 28507 del 2005, pronunciata a sezioni unite, 24901 del 2008, 14753 del 2010);

che tale orientamento giurisprudenziale ha ottenuto sostanziale avallo dalla Corte EDU (decisione 2 giugno 2009, Daddi contro Italia) la quale, con due recentissime decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia; 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consentono al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a liquidazioni dell’indennizzo più riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 14753 del 2010 cit.);

che, nella specie – caratterizzata dalla ritardata presentazione dell’istanza di prelievo -, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati, nonchè dei recepiti correttivi consentiti dalla giurisprudenza della Corte EDU, il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, va equitativamente determinato in Euro 9.000,00 per i diciotto anni circa di irragionevole ritardo (Euro 500,00 annui), oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo 4, e B, paragrafo 1, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Giovanni Itro, dichiaratosene antistatario;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso incidentale;

accoglie il ricorso principale nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento al ricorrente della somma di Euro 9.000,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 1.200,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’avv. Giovanni Itro, dichiaratosene antistatario, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dello stesso a vv. Itro, dichiaratosene antistatario.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 13 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2011

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