Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18464 del 12/07/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 18464 Anno 2018
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: BELLE’ ROBERTO

ORDINANZA

sul ricorso 21736-2016 proposto da:
DE PRO LUIGI, elettivamente domiciliato in ROMA,
EMILIO DE’ CAVALIERI 11, presso lo studio
dell’avvocato PIERFRANCESCO ZECCA, che lo rappresenta
e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
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del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 12/07/2018

avverso la sentenza n. 648/2016 della CORTE D’APPELLO

di BARI, depositata il 17/03/2016 R.G.N. 3641/2013.

R. G. n. 21736/2016

RILEVATO

che Luigi De Feo è stato licenziato da Poste Italiane s.p.a. per avere, nella
propria veste di preposto alla progettazione e direzione di lavori edili, richiesto
ed ottenuto da un’impresa appaltatrice erogazioni in denaro, dietro la minaccia,
altrimenti, di constatare difformità nei lavori svolti, in realtà secondo la

stesso De Feo;
che la Corte d’Appello di Bari, decidendo con sentenza n. 648/2016
sull’impugnativa di licenziamento accolta dal Tribunale della stessa sede per
tardività della contestazione, riformava la pronuncia di prime cure e, ritenendo la
regolarità del procedimento, nonché la fondatezza e la gravità degli addebiti,
rigettava le domande del lavoratore;
che la sentenza è stata impugnata dal De Feo con quattro motivi, poi illustrati da
memoria e resistiti con controricorso da Poste Italiane, parimenti con ausilio di
successiva memoria ex art. 380-bisl c.p.c.;

CONSIDERATO

che con il primo motivo il De Feo sostiene, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la
violazione e falsa applicazione degli artt. 111 Cost., 132 co. 2 n. 4 e 156 c.p.c.
perché la sentenza, pur se contenente una lunga motivazione, non avrebbe in
realtà scrutinato il tema della ritenuta tempestività della contestazione e del
licenziamento;
che con il secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la
violazione dell’art. 7 L. 300/1970 e degli artt. 1 e 3 L. 604/1966, per totale
assenza di una motivazione che abbia dato conto di una qualunque ragione
dell’affermata complessità delle indagini necessarie, a giustificazione del tempo
trascorso tra la conoscenza dei fatti, la contestazione ed il licenziamento;
che con il terzo motivo, svolto sulla base dell’art. 360 n. 5 c.p.c., il ricorrente
sostiene che non vi sarebbe stata alcuna disamina dei fatti che propriamente
potrebbero giustificare la durata dell’indagine disciplinare, tutto risolvendosi
nell’enunciazione di astratti principi, non rapportati alla concreta dimostrazione
della complessità dell’indagine;
che con il quarto motivo è addotta, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione
degli artt. 116 c.p.c. e delle norme che regolano la prova della giusta causa di
licenziamento, sul presupposto che il testo motivazionale avrebbe ampiamente

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contestazione indotte da indicazioni volutamente errate fornite all’impresa dallo

R. G. n. 21736/2016

fatto uso di “(pre)giudizi di valore”, non sorretti da riscontri fattuali, con richiamo
ad una “sequela di circostanze disorganicamente ed alluvionalmente riportate
(…) al di fuori di qualsiasi sintesi critica”;
che i motivi, esaminabili congiuntamente, vanno disattesi;
che la sentenza impugnata, nell’affermare la tempestività della contestazione alla
luce della complessità delle indagini da svolgere è tutt’altro che generica e priva

che, infatti, rispetto alla tempestività della contestazione, la Corte d’Appello ha
dato preliminarmente atto che il tempo intercorso tra la commissione dei fatti
(2005) e le indagini interne (dal marzo 2009 in poi) era dovuto al fatto che le
denunce dell’appaltatore, da cui erano emerse le condotte illegittime, si erano
avute solo a partire dal giugno 2008, in quanto precedentemente egli, temendo
di non poter più lavorare con Poste, non si era risolto a far emergere l’accaduto;
che, aggiungeva la Corte territoriale, la prima denuncia a carico del De Feo del
giugno 2008 era di contenuto estremamente generico, tanto che lo stesso
Tribunale, nel ritenere tardiva la contestazione, aveva essenzialmente
stigmatizzato il tempo trascorso dall’ultima di tali denunce, quella della metà di
gennaio del 2009, successiva ad altra ancora del 31 ottobre 2008;
che secondo la Corte l’avvio del procedimento di riscontro ispettivo nel marzo
2009 e poi la sua prosecuzione fino al maggio 2009 non individuavano un lasso
temporale incongruo, tenuto conto della complessità degli accertamenti da
svolgere;
che, quanto alla durata delle indagini, la Corte ha richiamato le plurime attività
svolte dalla competente struttura ispettiva aziendale, indicando in specifico
l’audizione del denunciante, nonché dello stesso De Feo e di un’impiegata, oltre
all’acquisizione di vari documenti e segnalando come la complessità fosse data
anche dall’esigenza di valutare contestualmente le condotte di altri dipendenti in
relazione alla medesima vicenda;
che le censure di apparenza della motivazione e di mancato riferimento a fatti
concreti o di trascurato esame di alcune non meglio precisate circostanze,
rilevate con il generico motivo rubricato ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., sono
pertanto palesemente smentite da quanto così desumibile proprio dalle
argomentazioni articolate dalla Corte territoriale;
che l’assunto in ordine all’ampiezza dell’uso di giudizi di valore è in sé generica
ed incongrua, spettando proprio al giudice del merito, nell’impugnativa di un
licenziamento disciplinare, esprimere valutazioni sulla tempestività e durata del
procedimento, attività come detto svolta dalla Corte d’Appello non

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di motivazione concreta;

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aprioristicamente, ma sulla base di ben precisi argomenti fattuali sopra
sinteticamente richiamati;
che analogamente è a dirsi per il giudizio sulla gravità dei fatti addebitati, profilo
anch’esso fatto oggetto di concrete argomentazioni (pag. 15 ss. della sentenza)
con riferimento alla “intenzionalità” e “consapevolezza”, nonché al necessario
rigore che deve aversi nel valutare le operazioni di chi, come il De Feo, “ricopre
posizioni di particolare responsabilità”, con margini di “libertà di movimento e di

che il ricorrente ha infine prodotto, in sede di memoria difensiva finale, un
ulteriore documento, consistente in un report ispettivo, da cui a suo dire si
desumerebbe che gli stessi ispettori avrebbero concluso per l’assenza di prove
atte a riscontrare gli addebiti, così smentendo la posizione assunta da Poste in
sede disciplinare e processuale;
che il ricorrente, nel produrre tale documento fa riferimento ad un suo “mancato
esame”,

il che costituisce affermazione priva di logica dal punto di vista

processuale, non potendosi ovviamente esaminare nei gradi di merito un
documento ivi non prodotto;
che la produzione, anche se, come afferma il ricorrente, da lui conosciuta solo
dopo il deposito del ricorso per cassazione, non può più essere consentita in sede
di legittimità, come reso evidente dall’art. 372 c.p.c., non trattandosi di
documento attinente alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità
processuale del ricorso o controricorso, né al maturare di un successivo giudicato
(Cass. 16 giugno 2006, n. 13916), ma viceversa pertinente alla fondatezza di
merito dell’impugnativa del licenziamento, che da esso dovrebbe essere desunta;
che il mezzo per far valere, in ipotesi, il rinvenimento, dopo la scadenza del
termine di produzione, di documenti che si ritengano decisivi è semmai la
revocazione straordinaria di cui all’art. 395 n. 3 c.p.c. e non il deposito di essi in
sede di legittimità (v., anche, Cass. 8 febbraio 2013, n. 3136, in motivazione);
che pertanto il ricorso va respinto, con regolazione secondo soccombenza delle
spese del giudizio di legittimità

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla
controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00
per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15
% ed accessori di legge.

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iniziativa”, il tutto a suffragare la indubitabile lesione del “rapporto fiduciario”;

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Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il

ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

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