Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18463 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 26/07/2017, (ud. 17/05/2017, dep.26/07/2017),  n. 18463

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. DI STASI Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22082-2011 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE DEL VIGNOLA

5, presso lo studio dell’avvocato LIVIA RANUZZI, rappresentato e

difeso dall’avvocato CARLO CIMINIELLO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BARI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 83/2010 della COMM. TRIB. REG. della PUGLIA,

depositata il 28/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/05/2017 dal Consigliere Dott. DI STASI ANTONELLA;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa DE RENZIS LUISA, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. V.G. impugnava innanzi alla Ctp di Bari il provvedimento di diniego avverso l’istanza di rimborso degli acconti e dei saldi dell’Irap versata per gli anni dal 1998 al 2001; la Ctp di Bari accoglieva le censure e riconosceva il diritto al rimborso del ricorrente.

2. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello e la Commissione Tributaria Regionale della Puglia con sentenza n. 83-7-2010 dep. il 28.6.2010 e non notificata, previa revoca della sentenza n. 156/2009 del 29.10.2009 “apparentemente emessa tra le parti, accoglieva l’appello.

Ricorre per cassazione V.G. formulando due motivi.

Con il primo motivo deduce nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 65, (art. 306 c.p.c., n. 4).

Argomenta che il Giudice di appello, su distinte ed analoghe istanze di revoca e correzione della sentenza n. 156/7/09 proposte dall’Agenzia e dal contribuente, aveva revocato tale sentenza senza preliminarmente rilevarne l’inammissibilità per l’evidente violazione da parte di entrambi gli istanti delle formalità imposte dal D.Lgs n. 546 del 1992, artt. 53 e 65.

Con il secondo motivo deduce nullità della sentenza per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Argomenta che la motivazione offerta nella sentenza impugnata in merito alla circostanza che il contribuente svolgesse la propria attività professionale di medico generico in regime di convenzione con la ASL avvalendosi di una “autonoma organizzazione”, sarebbe insufficiente in quanto, pur rilevando l’importo delle spese afferenti l’esercizio della professione di medico sostenute dal contribuente e la loro incidenza rispetto al reddito prodotto, non aveva esplicitato le ragioni del proprio convincimento nè tenuto conto che i pochi beni strumentali di cui il professionista si era avvalso (piccolo studio di circa mq 55, un computer, suppellettili, piccola attrezzatura medica, autovettura) sarebbero risultati eccedenti la normale dotazione necessaria per l’esercizio dell’attività professionale.

3. L’Agenzia delle Entrate resiste presentando controricorso.

4. Il Sostituto Procuratore Generale ha depositato memoria nella quale ha ritenuto fondato il secondo motivo e chiesto l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei limiti appresso precisati.

2. Il primo motivo è di ricorso è inammissibile.

Deve, infatti, rilevarsi la carenza di interesse a proporre l’impugnazione in quanto l’istanza del ricorrente, la cui irritualità è oggetto di doglianza, è stata accolta dalla CTR.

3. Il secondo motivo di ricorso è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. n. 9451 del 10/05/2016, Rv. 639529-01) hanno specificato che il requisito dell’autonoma organizzazione -previsto dal D.Lgs. 15 settembre 1997, n. 446, art. 2, il cui accertamento è rimesso al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.

E’ stato anche precisato, quanto all’incidenza delle spese per beni strumentali, che anche una spesa consistente riferita all’acquisto di un macchinario indispensabile per l’esercizio della professione può rilevarsi inidonea a significare l’esistenza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, tutte le volte in cui il capitale a tal fine investito non valga a rappresentare fattore aggiuntivo o moltiplicativo del valore rappresentato dalla mera attività intellettuale del professionista ma risulti ad essa asservito ai fini dell’acquisto di attrezzatura connaturata e indispensabile all’esercizio dell’attività medesima e come tale inidoneo ad assumere rilievo, quale fattore produttivo di reddito, distinguibile da quello rappresentato dalla stessa attività intellettuale c/o dalla professionalità del lavoratore autonomo (Sez. 6-5,Ordinanza n.23552 del 18/11/2016,Rv.642026 – 01).

La motivazione della sentenza impugnata è insufficiente ed incongrua in quanto la CTR, a fronte di specifiche deduzioni e documentazione del contribuente, non ha chiarito e precisato le ragioni per le quali i pochi beni strumentali di cui il ricorrente si è avvalso nell’esercizio della professione (piccolo studio di circa mq 55, un computer, suppellettili, piccola attrezzatura medica, autovettura) siano idonei a costituire sintomo di maggior capacità di arricchimento e, dunque, eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività, tenuto anche conto che il professionista non si è avvalso di lavoro altrui.

4. Va, quindi, accolto il secondo motivo di ricorso e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

 

Dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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