Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18461 del 12/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 18461 Anno 2018
Presidente: BALESTRIERI FEDERICO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA

sul ricorso 19319-2015 proposto da:
BATESSA NATALE, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA Q. MAIORANA 9, presso lo STUDIO LEGALE FAZZARI,
rappresentato e difeso dall’avvocato AURORA
NOTARIANNI, giusta procura in atti;
– ricorrente contro

2018
609

RFI – RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. (già Ferrovie
dello Stato Società di Trasporti
azioni)

Società

con

Socio

e

Servizi per

Unico,

soggetta

all’attività di direzione e coordinamento di Ferrovie

Data pubblicazione: 12/07/2018

dello

Stato

s.p.a.,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio
dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ANTONINO SACCA’,

– controricorrente

avverso la sentenza n. 109/2015 della CORTE D’APPELLO
di MESSINA, depositata il 27/03/2015, r.g. n.
1602/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/02/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
GARRI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
uditi gli avvocati Aurora Notarianni, Arturo Maresca
ed Antonino Saccà.

giusta procura in atti;

r.g. n. 19319/2015

FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Messina ha accolto il gravame di Rete Ferroviaria Italiana
s.p.a. e, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato la
domanda proposta da Natale Batessa per ottenere l’accertamento dell’esistenza di un
contratto di lavoro a tempo indeterminato con la società, stante la nullità dei termini
apposti ai contratti di arruolamento intercorsi tra le parti.

matricola di gente di mare, aveva lavorato alle dipendenze della Rete Ferroviaria
Italiana s.p.a. sporadicamente in forza di dieci contratti di imbarco stipulati per un
periodo massimo di 78 giorni ciascuno, ma talvolta inferiori, e per complessivi 256
giorni in un arco temporale di sei anni e comunque a distanza di oltre sessanta giorni
l’uno dall’altro.
2.1. Il giudice di appello ha ritenuto che la formula utilizzata dalla società datrice nel
contratto di arruolamento “per la durata di max giorni ….” non violi l’art. 332 comma 4
del codice della navigazione atteso che in base a tale disposizione è richiesta
l’indicazione della data di decorrenza e la durata del rapporto ma non anche l’esatta
data di scadenza. Nel rammentare poi che l’intervallo tra un contratto ed un altro non
poteva essere inferiore a sessanta giorni ha ritenuto che, in concreto, la reiterazione
dei contratti a termine non disvelasse un intento fraudolento tenuto conto del fatto
che si era trattato di un contratto all’anno, di breve durata e con un intervallo
consistente tra l’uno e l’altro ed ha escluso, dunque, che si fosse inteso frantumare in
più rapporti di lavoro a termine un unico contratto di lavoro a tempo indeterminato .
Esclusa altresì l’applicazione al contratto di arruolamento a tempo determinato della
clausola di contingentamento prevista dall’art. 19 del c.c.n.l. di categoria la Corte ha
evidenziato che ove pure applicabile la percentuale non era stata mai in concreto
superata.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre Natale Batessa che articola cinque motivi ai
quali resiste con controricorso RFI – Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.. Entrambe le parti
hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli
artt. 325 lett. b), 332 e 341 cod. nav. e degli artt. 1366 e 1370 cod. civ. in relazione
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2. La Corte territoriale ha accertato che il Batessa, lavoratore marittimo iscritto nella

r.g. n. 19319/2015

all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ. Ad avviso della ricorrente la circostanza
che la Corte di Cassazione abbia ritenuto legittima, in astratto, la clausola “durata
max” non esonerava il giudice di merito dal verificare, in concreto, se, per effetto della
stipulazione di una serie di contratti a tempo determinato, non si fosse realizzata una
frode alla legge. Evidenzia che il lavoro dei marittimi sulle navi traghetto dello Stretto
è di facile predeterminazione, atteso che il lavoro si svolge in turni nelle ventiquattrore
con viaggi di circa venti minuti da una costa all’altra, sicché la formula “durata max”

la ritenuta legittimità del termine apposto ai contratti intercorsi con la società datrice
si pone in contrasto con le richiamate disposizioni del codice che esprimono
complessivamente un favor per il contratto a tempo indeterminato ed un potere di
controllo del giudice sulla legittimità del termine apposto che, oltre a dover essere
apposto per iscritto all’ atto della stipulazione del contratto, deve essere certo nella
durata e chiaro nella causale giustificativa. Tale non è la formula utilizzata “durata
max” che non consente di stabilire quale sia quella minima restando incerta la durata
precisa e preventivamente individuata che deve contraddistinguere il contratto di
lavoro a tempo determinato. Sottolinea ancora che le convenzioni di viaggio stipulate
sono contenute in moduli predisposti dalla società datrice,contraente economicamente
e socialmente più forte che ha apposto un termine il cui verificarsi dipende da un
evento futuro e incerto riconducibile alla volontà del datore di lavoro e perciò invalido.
Erra, pertanto, secondo la parte ricorrente, la Corte di merito che avrebbe dovuto
interpretare il contratto in favore del lavoratore e contro l’autore della clausola ai sensi
dell’art. 1366 cod. civ..
5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli
artt. 326 e 332 cod. nav. e 1344 cod. civ., della direttiva 70/99/CE e della decisione
della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 3 luglio 2014 Fiamingo in relazione
all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ.. Sostiene parte ricorrente che la Corte di
appello, pur mostrando di condividere i principi espressi dalla Cassazione nella
sentenza n. 59 del 2015 con riguardo al carattere vincolante delle norme comunitarie
come interpretate dalla sentenza della Corte di Giustizia Fiamingo, tuttavia ne tradisce
poi ratio e precetti ritenendo che non era stata acquisita la prova che i ripetuti
contratti fossero stati stipulati in frode alla legge sul rilievo che si trattava di singoli
occasionali contratti stipulati a distanza di più di sessanta giorni l’uno dall’altro a
causa di una mancata valida programmazione e non al fine di impedire la
trasformazione con il frazionamento del rapporto di lavoro. Nel valutare l’abuso la
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non si giustifica in relazione al tipo di prestazione richiesta. Sostiene il ricorrente che

r.g. n. 19319/2015

Corte territoriale non avrebbe considerato che allo sbarco del marittimo a tempo
determinato è sempre seguito l’imbarco di altro marittimo, sempre a tempo
determinato. Inoltre non avrebbe tenuto conto del ridotto arco temporale in cui si
sono ripetuti i contratti a termine (nello specifico quattro anni). Sostiene allora il
ricorrente che la frode alla legge denunciata sarebbe comprovata da una serie di
elementi, presuntivi e documentali, oltre che da fatti notori ed incontestati, ben
conosciuti dalla Corte territoriale che, in analoghe controversie, avevano condotto alle

giudice di appello sarebbe incorso nella denunciata violazione dell’art. 326 cod. nav.,
applicato come norma elusiva invece che come disposizione posta per prevenire
possibili abusi. Del pari sarebbe stata violata la disciplina sul collocamento della gente
di mare (regolamento n. 231 del 2006) in base alla quale non si giustifica la ritenuta
carenza di programmazione negli imbarchi da parte della società che rivela piuttosto
l’intento elusivo perseguito. Inoltre non si sarebbe tenuto nella dovuta considerazione
il dictum della sentenza della Corte di Giustizia (Fiamingo) che sollecita il giudice
nazionale a prendere in considerazione anche i contratti stipulati per lo svolgimento
dello stesso lavoro successivamente allo sbarco del marittimo. Sarebbe stata tradita,
infine, la sollecitazione diretta ai giudici territoriali da parte della Cassazione intesa a
far verificare l’esistenza o meno di una frode alla legge prendendo in esame l’arco
temporale in cui sono stati stipulati i singoli contratti a termine , il tempo trascorso tra
un contratto e l’altro ed “ogni altra circostanza” dalla quale evincere se era ravvisabile
l’intento di frantumare l’unico reale rapporto a tempo indeterminato in plurimi
apparenti rapporti a termine, indispensabili per coprire croniche carenze di organico
comprovato dal fatto che l’intervallo di tempo tra due imbarchi a temine è coperto da
analoga assunzione a termine attraverso la chiamata dal turno generale. Altro indice
della frode denunciata dovrebbe essere ravvisato poi nella violazione dei limiti
percentuali previsti dall’art. 19 del c.c.n.l. di settore le cui percentuali sarebbero state
erroneamente calcolate dal giudice di appello il quale non avrebbe considerato che ove
I’ assunzione avvenga per la durata di 78 giorni il marittimo beneficerà della
disoccupazione con requisiti ridotti e non potrà essere nuovamente assunto tramite il
collocamento della gente di mare, dove si sarà iscritto in coda alla graduatoria al
termine di ogni imbarco, prima di sessanta giorni. In definitiva, secondo il ricorrente,
la decisione della Corte di appello avrebbe male interpretato i principi dettati dalla
Cassazione e dalla Corte di Giustizia in materia di contratti a termine in generale e di
contratti della gente di mare che, ove rettamente intesi, avrebbero dovuto condurre la
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pronunce della Corte di Giustizia e della Cassazione rammentate. Così facendo il

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Corte di merito a ritenere provata la frode alla legge denunciata e l’ illegittimità dei
termini apposti ai contratti.
6. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli
artt. 332 n. 7 e 374 cod. nav. oltre che dell’art. 19 del c.c.n.I attività ferroviarie del 16
aprile 2003 in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ.. Sostiene il
ricorrente che equivocando sul contenuto dell’art. 332 comma 7 cod. nav. e sulla

che il contratto collettivo, in mancanza di un richiamo contenuto nel contratto di
arruolamento, potesse applicarsi al rapporto. Ad avviso del ricorrente la mera
esistenza del contratto collettivo ne giustifica se, come nel caso, più favorevole
rispetto alla convenzione di arruolamento. Insiste il ricorrente nel ritenere applicabile,
nello specifico, l’art. 19 del c.c.n.I., che stabilisce le percentuali da rispettare nelle
assunzioni a tempo determinato, a prescindere dalla causale di assunzione. Sostiene
infatti che, diversamente, si determinerebbe un trattamento ingiustificatamente
discriminatorio che violerebbe i principi dell’accordo quadro ed il principio di
uguaglianza. Contesta poi la ricostruzione in fatto, da parte della Corte di merito, circa
l’avvenuto rispetto, in concreto,delle percentuali di contingentamento.
7. Con il quarto motivo di ricorso è denunciata, in relazione all’art. 360 primo comma
n. 5 cod. proc. civ., l’omessa pronuncia su un fatto controverso e decisivo per il
giudizio sull’ammissione della prova testimoniale richiesta. Al fine di escludere la frode
il giudice di appello avrebbe dovuto tenere conto del fatto che l’intervallo di tempo tra
un contratto a termine e l’altro concluso con il lavoratore ricorrente, lungi dall’essere
funzionale alle esigenze del datore di lavoro era, piuttosto, finalizzato (in un sistema
di ripetute assunzioni a tempo determinato che si protraeva dal 1995) a coprire
carenze strutturali d’organico, e che “altre circostanze” quali il numero rilevante di
assunzioni a termine nei venti anni considerati e le chiamate a rotazione dal turno
generale del collocamento pubblico della gente di mare, per sopperire alla necessità di
garantire il servizio essenziale per la continuità territoriale, erano del pari sintomatiche
dell’abuso perpetrato. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe male
interpretato questi elementi pervenendo alla conclusione che la società avrebbe
stipulato circa un contratto all’anno per quattro anni ma avrebbe dovuto invece
considerare che l’intero arco temporale era stato coperto da assunzioni sempre a
termine di altri lavoratori e che l’intervallo di quattro mesi a terra era del tutto
normale per consentire al lavoratore di beneficiare di riposi compensativi, permessi e
6

dizione “ove esista” riferita al contratto collettivo, la Corte territoriale avrebbe escluso

r.g. n. 19319/2015

ferie maturati. Sarebbe stato necessario allora procedere agli approfondimenti
istruttori sollecitati nel ricorso che avrebbero confermato la ricostruzione sopra
riportata, con conseguente diverso esito del giudizio.
8. Con il quinto motivo di ricorso, infine, è denunciata, in relazione all’art. 112 cod.
proc. civ. ed all’art. 360 primo comma nn. 3 e 4 cod. proc. civ. l’omessa pronuncia e/o
il vizio di motivazione sulle domande formulate con l’appello incidentale. Sostiene il

dall’accoglimento dell’appello principale l’esame di quello incidentale. Con tale mezzo
infatti il lavoratore, nel lamentare ché la società non aveva dato seguito alla
ricostituzione del rapporto di lavoro disposta dalla sentenza di primo grado, aveva
chiesto la condanna della società al risarcimento del danno pari alle retribuzioni
dovute e non erogate dalla sentenza di primo grado al ripristino del rapporto oltre agli
scatti di anzianità ed ai contributi, ed il danno esistenziale patito per la forzata
inattività.
9. Il primo, secondo e quarto motivo di ricorso investono, sotto vari profili, la
decisione che non ha ritenuto di ravvisare nella reiterata conclusione di contratti a
termine un comportamento fraudolento da parte della società Ferrovie dello Stato,
vanno esaminati congiuntamente e sono infondati.
9.1. Appare utile riassumere la disciplina dei contratti di arruolamento e nello specifico
le disposizioni che regolano la stipulazione di contratti a termine, a viaggio e a tempo
indeterminato. L’art. 325 del codice della navigazione dispone appunto che il contratto
di arruolamento può essere stipulato per un dato viaggio o per più viaggi (lett. a), a
tempo determinato (lett. b), a tempo indeterminato (lett. c). Per viaggio si intende il
complesso delle traversate fra porto di imbarco e quello di ultima destinazione, oltre
all’eventuale traversata in zavorra per raggiungere nuovamente il porto di imbarco.
L’art. 326 cod. nav. stabilisce poi che il contratto a tempo determinato e quello per
più viaggi “non possono essere stipulati per una durata superiore ad un anno” e che
“se sono stipulati per una durata superiore, si considerano a tempo indeterminato” (1°
comma). Anche il rapporto con il quale “in forza di più contratti a viaggio, o di più
contratti a tempo determinato, ovvero di più contratti dell’uno e dell’altro tipo”
l’arruolato presti ininterrottamente servizio alle dipendenze dello stesso armatore per
un tempo superiore ad un anno è regolato dalle norme sull’arruolamento a tempo
indeterminato (2° comma). La disposizione citata al terzo comma precisa poi che si
deve considerare ininterrotta la prestazione del servizio “quando fra la cessazione di
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ricorrente che il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere assorbito

r.g. n. 19319/2015

un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorre un periodo non
superiore ai sessanta giorni.” L’art. 374 cod. nav. al primo comma prevede poi che
una serie di disposizioni e tra queste quelle contenute nell’art. 325 cod. nav. non sono
derogabili né dal contratto individuale di arruolamento né da norme collettive. Al
secondo comma dispone, poi, che in sede collettiva è possibile derogare al disposto
dell’art. 326 cod. nav. mentre al contratto individuale è consentita solo una deroga in
termini più favorevoli all’arruolato. A norma dell’art. 374 cod. nav. ultimo comma è,

durata ,del contratto e diminuire l’ intervallo tra un contratto e l’altro. Il contratto di
arruolamento deve poi enunciare “il viaggio o i viaggi da compiere e il giorno in cui
l’arruolato deve assumere servizio, se l’arruolamento è a viaggio; la decorrenza e la
durata del contratto, se l’arruolamento è a tempo determinato; la decorrenza del
contratto, se l’arruolamento è a tempo indeterminato” ( cfr.art. 332 n. 4 cod. nav.).
Se dal contratto o dall’annotazione sul ruolo di equipaggio o sulla licenza
l’arruolamento non risulta stipulato a viaggio o a tempo determinato, esso è regolato
dalle norme concernenti il contratto a tempo indeterminato.
9.2. Come si è ricordato l’art. 332 n. 4 cod. nav. prevede, in caso di arruolamento a
tempo determinato, che sia indicata la decorrenza e la durata del rapporto, ma non
anche l’esatta data di scadenza del contratto stesso e, conseguentemente, si è
ritenuto che l’indicazione di una durata con la formula

“max 78 giorni”, quale quella

utilizzata nel caso di specie, non violi la norma del codice della navigazione citata
atteso che il lavoratore non è, perciò solo, posto nella condizione di non potere
regolare il proprio futuro lavorativo e considerato altresì che neppure è ravvisabile un
contrasto con l’ accordo quadro, sul lavoro a tempo determinato recepito dalla
direttiva 1999/70/CE ed, in particolare, con la clausola 2, punto 1 e con la clausola 3,
punto 1. Come già ritenuto da questa Corte, infatti, (cfr. Cass. 08/01/2015 n.59 e
04/03/2015 n.4348) la previsione di una durata del contratto con l’indicazione di un
termine finale certo nell’an (massimo 78 giorni), ma incerto in ordine al quando è
compatibile con la citata direttiva (ed in tal senso è anche la sentenza del 3 luglio
2014 della CGUE, capo 2). Tale ultima decisione della CGUE, in dispositivo, ha infatti
accertato la compatibilità con le disposizioni del citato accordo della normativa
nazionale, qual’ è quella contenuta nell’art. 326 cod. nav., che preveda che i contratti
di lavoro a tempo determinato indichino la durata ma non anche il termine di
scadenza .
9.3. Tanto premesso va rilevato che gli artt. 325, 326 e 332 cod. nav. non prevedono
8

comunque, preclusa alle norme collettive la possibilità di aumentare il termine di

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che debba essere esplicitata una causale specifica nel contratto di arruolamento a
tempo determinato e, come già ritenuto da questa Corte (Cass. 08/01/2015 n.59 e
04/03/2015 n.4348), l’applicabilità anche al lavoro nautico dell’accordo quadro
allegato alla citata direttiva 1999/70/CE (sancita dalla sopra ricordata sentenza del 3
luglio 2014 della CGUE) non implica di per sé l’applicabilità della normativa nazionale
(ossia del D.Lgs. n. 368 del 2001) che ne abbia dato esecuzione. Il principio di
specialità sancito dall’art. 1 cod. nav. non consente di seguire la normativa di diritto

9.4. Va rammentato infatti che , a partire dalla sentenza della Corte Costituzionale n.
41 del 1991, è stato affermato che la disciplina del lavoro nautico costituisce un
subsistema incentrato sul principio di specialità di cui all’art. 1 cod. nav., che regola le
fonti del diritto della navigazione. In tale settore l’operatività del diritto comune
presuppone, salvo che sia diversamente disposto, la mancanza di norme poste in via
diretta o ricavabili per analogia dalla disciplina speciale (v. art. 1 cpv. cod. nav.).
9.5. La circostanza che, come si è ricordato il codice della navigazione preveda
un’apposita disciplina del lavoro a tempo determinato e dei suoi limiti, esclude spazi
residui di applicazione del D. Lgs. n. 368 del 2001 (cfr. in termini Cass. 08/01/2015
n.59 e 04/03/2015 n.4348) e la previsione di una presunzione legale di natura
indeterminata del rapporto, nel caso in cui fra la cessazione di un contratto e la
stipulazione del contratto successivo intercorra un periodo non superiore ai sessanta
giorni (ai sensi dell’art. 326 cod. nav., u.c.) costituisce, in via generale e astratta, una
misura adeguata e idonea a prevenire abusi nel susseguirsi di contratti o rapporti di
lavoro a tempo determinato. La necessità, poi, di un intervallo di tempo superiore ai
sessanta giorni fra un’assunzione a termine e quella successiva è stata ritenuta tale,
in linea di massima, da ostacolare una preordinata volontà di aggirare quanto previsto
dalla citata fonte comunitaria. Interruzioni superiori ai 60 giorni non consentirebbero
infatti al datore di lavoro una valida programmazione dell’attività e
disincentiverebbero la frantumazione dell’unico reale rapporto di lavoro a tempo
indeterminato in plurimi apparenti rapporti a termine.
9.6. Pur ammessa, in linea di principio, la legittimità del termine apposto a contratti di
arruolamento con la causale sopra ricordata, e ribadita l’idoneità della disciplina
dettata dal codice della navigazione a prevenire abusi, tuttavia non si può escludere
che, in concreto, attraverso ripetute assunzioni a tempo determinato, sia possibile
porre in essere una condotta che integri una frode alla legge sanzionabile ai sensi
9

comune, fra cui – appunto – quella del D.Lgs. n. 368 del 2001.

r.g. n. 19319/2015

dell’art. 1344 cod. civ.. Va ribadito infatti che l’art. 1 cpv. cod. nav. non osta
all’applicazione del generale principio civilistico previsto dall’art. 1344 c.c. (non
esistendo nel codice della navigazione norme che diversamente regolino il fenomeno
della frode alla legge) e che, sebbene l’art. 326 cod. nav., u.c. preveda che la
prestazione del servizio debba essere considerata ininterrotta, quando fra la
cessazione di un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorra un
periodo non superiore ai sessanta giorni, ciò non comporta che, di per sé, la

sempre e comunque legittimi e che non si debba indagare circa l’esistenza di un
eventuale intento fraudolento che riveli un abuso dello strumento pur astrattamente
legittimo.
9.7.All’accertamento dell’utilizzazione abusiva del contratto a tempo determinato si
può pervenire attraverso una ricostruzione degli elementi di valutazione presenti in
causa che congiuntamente valutati convergano nel far ritenere provato un intento
fraudolento del datore di lavoro che ripetutamente si avvale di questo tipo di
contratto.
9.8. Si tratta di una indagine demandata al giudice di merito il quale dovrà desumere,
con procedimento logico deduttivo, da elementi quali il numero dei contratti di lavoro
a tempo determinato stipulati, l’arco temporale complessivo in cui si sono succeduti e
di ogni altra circostanza fattuale che emerga dagli atti, l’uso deviato e fraudolento del
contratto a termine (per una accurata ricostruzione del procedimento di accertamento
della prova attraverso presunzioni si veda Cass. 13/05/2014 n. 5787).La ricostruzione
effettuata dal giudice di merito è censurabile in cassazione sotto il profilo del vizio di
motivazione, nei limiti dettati dall’art. 360 primo comma n. 5 nel testo

ratione

temporis applicabile alla fattispecie, ovvero per violazione delle regole dettate dagli
artt. 2727 e 2729 cod. civ..
9.9. Tutto ciò premesso osserva il Collegio che, nel caso in esame il ricorrente, nel
denunciare un’applicazione elusiva dell’art. 326 cod. nav. da parte del datore di
lavoro, si duole, nella sostanza, della ricostruzione da parte della Corte di merito degli
elementi sintomatici della frode a sua disposizione ( valutazione dell’utilizzo da parte
della società del collocamento della gente di mare; esame complessivo dei contratti a
termine stipulati dalla società negli intervalli di tempo tra un contratto e l’altro del
lavoratore ricorrente; calcolo errato delle percentuali di contingentamento; carattere
incerto e potestativo del termine apposto) ma, lungi dall’individuare un mancato
10

circostanza che i contratti separati da intervalli superiori ai sessanta giorni siano

r.g. n. 19319/2015

esame di un fatto decisivo, sottopone alla Corte una serie di censure che, pur
prospettate come violazione delle disposizioni che disciplinano i contratti di
arruolamento anche attraverso un uso distorto e fraudolento dello strumento
astrattamente legittimo, propone una diversa e più favorevole ricostruzione degli
stessi che si risolve in una richiesta di nuovo esame inammissibile perché non
consentita a questa Corte di legittimità.

da questa Corte, e con valutazione di merito correttamente condotta ed incensurabile,
ha verificato in concreto l’inesistenza di elementi sintomatici dell’ abusivo ricorso al
contratto a termine che possano essere ritenuti indizianti di una frode alla legge nella
stipulazione dei contratti. Nel far ciò ha tenuto conto del numero dei contratti stipulati
dalla società con il lavoratore, della loro durata, degli intervalli di tempo non lavorato
trascorsi tra un contratto e l’altro, li ha valutati con riguardo all’ arco temporale
complessivo di riferimento tenendo conto altresì della durata complessiva della
prestazione (256 giorni di lavoro prestato nell’arco di quattro anni e cinque mesi). In
esito a tale indagine, poi, pur dando atto del fatto che i contratti erano stati conclusi
restando nel perimetro tracciato entro il quale all’armatore è consentita la stipulazione
di contratti a viaggio o a termine, la Corte non si è sottratta ad una verifica della
potenzialità elusiva attraverso una ricostruzione complessiva del modo in cui si era
sviluppato il rapporto ed ha in concreto escluso l’ esistenza di una condotta datoriale
abusiva fosse intesa ad eludere, fraudolentemente, le regole dettate dalle norme
sopra richiamate per il legittimo ricorso a contratti di arruolamento a tempo definito.
In esito alla sua indagine la Corte territoriale, nell’accertare che l’utilizzazione del
lavoratore era stata rarefatta nel tempo, ha escluso l’esistenza di artificiose e
precostituite alternanze di lavoro a termine e di pause, espressione della volontà di
eludere, con strumenti pur apparentemente legittimi, le regole apposte dal codice
della navigazione per l’ apposizione di termini al contratto di arruolamento.
9.11. Non sfugge a questa Corte l’eventualità (come già si è avuto modo di affermare
v. Cass. n. 29781 del 2017, con la giurisprudenza ivi citata) che l’arrestarsi sulla
soglia del giudizio di merito possa fare sì che analoghe vicende fattuali vengano
diversamente valutate dai giudicanti cui compete il relativo giudizio. Tuttavia è noto
che l’oggetto del sindacato di questa Corte non è (o non immediatamente) il rapporto
sostanziale intorno al quale le parti litigano, bensì unicamente la sentenza di merito
che su quel rapporto ha deciso, di cui occorre verificare la legittimità negli stretti limiti
11

v\

9.10. In definitiva il giudice di appello, in linea con le indicazioni dettate in altri giudizi

r.g. n. 19319/2015

delle critiche vincolate dall’art. 360 c.p.c., così come prospettate dalla parte
ricorrente: ne deriva che contigue vicende possono dare luogo a diversi esiti
processuali in Cassazione perché sono differenti sia le fattispecie concrete che hanno
dato origine alla causa, sia gli sviluppi processuali del giudizio, sia le motivazioni delle
sentenze impugnate, sia i motivi di gravame posti a fondamento del ricorso per
cassazione, sia, infine, le molteplici combinazioni tra siffatti elementi. Si tratta di esiti
non altrimenti evitabili, determinati dalla peculiare natura del controllo di legittimità,

cassazione nel senso della preminenza della funzione nomofilattica, anche riducendo
progressivamente gli spazi di ingerenza sulla ricostruzione dei fatti e sul loro
apprezzamento.
10. Il terzo motivo di ricorso prima ancora che infondato è improcedibile. Nel chiedere
a questa Corte una interpretazione della disposizione collettiva che disciplina la
clausola di contingentamento il ricorrente, in violazione dell’art. 369 n. 4 cod. proc.
civ., trascura di allegare al ricorso il testo integrale del contratto collettivo che risulta
prodotto in stralcio nei gradi di merito (cfr. doc. 4 allegato al ricorso in cassazione, e
allegato 9 al fascicolo di primo grado richiamato a pag. 4 del presente ricorso.). Come
è noto, l’onere gravante sul ricorrente, ai sensi dell’art. 369, secondo comma, n. 4,
cod. proc. civ., di depositare, a pena di improcedibilità, copia dei contratti o degli
accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, può essere adempiuto, in base al principio
di strumentalità delle forme processuali – nel rispetto del principio di cui all’art. 111
Cost., letto in coerenza con l’art. 6 della CEDU, in funzione dello scopo di conseguire
una decisione di merito in tempi ragionevoli – anche mediante la riproduzione, nel
corpo dell’atto d’impugnazione, della sola norma contrattuale collettiva sulla quale si
basano principalmente le doglianze, purché il testo integrale del contratto collettivo sia
stato prodotto nei precedenti gradi di giudizio e, nell’elenco degli atti depositati, posto
in calce al ricorso, vi sia la richiesta, presentata alla cancelleria del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata, di trasmissione del fascicolo d’ufficio che lo
contiene, risultando forniti in tal modo alla Corte tutti gli elementi per verificare
l’esattezza dell’interpretazione offerta dal giudice di merito (cfr. Cass. 07/07/2014. n.
15437).
11. Vanno quindi esaminate le istanze di rinvio pregiudiziale ex art. 267 comma 3 del
Trattato per il funzionamento della Unione Europea, proposte dalla difesa del
lavoratore con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..
12

ancor più da quando il legislatore ha inequivocabilmente orientato il giudizio di

r.g. n. 19319/2015

11.1. A tal proposito, giova premettere che l’obbligo per il giudice nazionale di ultima
istanza di rimettere la causa alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi
dell’art. 267 citato (già art. 234 del Trattato che istituisce la Comunità Europea), viene
meno quando non sussista la necessità di una pronuncia pregiudiziale sulla normativa
comunitaria, in quanto la questione sollevata sia materialmente identica ad altra, già
sottoposta alla Corte in analoga fattispecie, ovvero quando sul problema giuridico
esaminato si sia formata una consolidata giurisprudenza di detta Corte (cfr., tra

obbligatorio per i giudici di ultima istanza, presuppone che la questione interpretativa
controversa abbia rilevanza in relazione al thema decidendum sottoposto all’esame del
giudice nazionale e alle norme interne che lo disciplinano (cfr. Cass. Sez. Un. 2.4.2007
n. 8095).
11.2. Invero è noto (v. Cass. Sez. Un., 10.9.2013, n. 20701) che il rinvio pregiudiziale
alla Corte di Giustizia non costituisce un rimedio giuridico esperibile automaticamente
a semplice richiesta delle parti, spettando solo al giudice stabilirne la necessità: infatti,
esso ha la funzione di verificare la legittimità di una legge nazionale rispetto al diritto
dell’Unione Europea e se la normativa interna sia pienamente rispettosa dei diritti
fondamentali della persona, quali risultanti dall’evoluzione giurisprudenziale della
Corte di Strasburgo e recepiti dal Trattato sull’Unione Europea; sicché il giudice,
effettuato tale riscontro, non è obbligato a disporre il rinvio solo perché proveniente
da istanza di parte (tra le altre, v. Cass. 24.3.2014, n. 6862; 24 Cass. 21.6.2011, n.
13603).
11.3. D’altro canto è incontrastato l’enunciato, più volte ribadito da questa Corte a
Sezioni unite, secondo cui la Corte di Giustizia Europea, nell’esercizio del potere di
interpretazione di cui all’art. 234 del Trattato istitutivo della Comunità economica
europea, non opera come giudice del caso concreto, bensì come interprete di
disposizioni ritenute rilevanti ai fini del decidere da parte del giudice nazionale, in capo
al quale permane in via esclusiva la funzione giurisdizionale (da ultimo Cass. Sez. Un.
18.12.2017, n. 30301; in precedenza: Cass. Sez. Un., nn. 16886/2013, 2403/14,
2242/15, 23460/15, 23461/15, 10501/16 e 14043/16).
11.4. Pertanto, il giudice nazionale di ultima istanza non è soggetto all’obbligo di
rimettere alla Corte di giustizia delle Comunità europee la questione di interpretazione
di una norma comunitaria quando non la ritenga rilevante ai fini della decisione o
quando ritenga di essere in presenza di un “acte claire” che, in ragione dell’esistenza
13

molte, Cass. 26.3.2012 n. 4776); similmente, il rinvio pregiudiziale, quantunque

r.g. n. 19319/2015

di precedenti pronunce della Corte ovvero dell’evidenza dell’interpretazione, rende
inutile (o non obbligato) il rinvio pregiudiziale (tra le altre: Cass., Sez. Un., 24.5.2007,
n. 12067; Cass., 22.10.2007, n. 22103; Cass. 26.3.2012, n. 4776; Cass. 29.11.2013,
n. 26924).

12. Ciò premesso, con il primo quesito della memoria si pone questione del “se, in

cooperazione, in combinato disposto con Uart. 267 del Trattato per il funzionamento
dell’Unione Europea, spetta al giudice nazionale del rinvio pregiudiziale e non alla
Corte di Giustizia dell’Unione europea, come è invece avvenuto al punto 15 della
sentenza Fiamingo della Corte Ue del 3 luglio 2014 (ECLI:EU:C: 2014:2044),
individuare e interpretare la normativa interna da applicare alla fattispecie del
procedimento principale”.
12.1. Orbene, posto che è chiaro il principio per il quale spetta al giudice nazionale
l’interpretazione del diritto interno da sottoporre all’esame della Corte di Giustizia,
rileva il Collegio che il problema, come sottoposto, non sussiste perché anche questa
Corte di legittimità, quale giudice nazionale, tra le altre con la sentenza n. 59/2015
qui ribadita, al punto 3.4 ha precisato che la fattispecie in esame è regolata dall’art.
326 cod. nav. e non dal D.Igs n. 368/2001 per cui non è ipotizzabile sollevare una
questione pregiudiziale su di un presupposto – quello dell’applicabilità del D.Lgs. n.
368/2001 in luogo del codice della navigazione – che questa Corte non condivide e
che quindi esclude che la prospettata questione pregiudiziale possa avere rilevanza nel
caso che si decide.
13. Con seconda istanza si pone questione del “se, nel caso di riconoscimento di
errore di fatto nella individuazione del lasso temporale intercorrente nella controversia
principale tra due contratti a tempo determinato, come è accaduto con
l’ordinanza del 17 settembre 2014 (ECU: EU:C:2014:2238) del Presidente della III
Sezione della Corte di Giustizia in riferimento alla rettifica e correzione del punto 20
della citata sentenza Fiamingo, il provvedimento presidenziale di correzione di errore
in fatto della sentenza abbia lo stesso valore dell’ordinanza della Corte di giustizia che
dichiara ricevibile l’azione di revocazione per l’esistenza di un fatto di natura tale da
avere un’influenza decisiva sulla decisione di cui è chiesta la revocazione, ai sensi
dell’art. 44, paragrafo 2, dello Statuto della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e
14

relazione all’art. 4, paragrafo 3, del Trattato dell’Unione europea e al principio di leale

r.g. n. 19319/2015

dell’art. 159 del Regolamento di procedura della Corte di giustizia, o se, nonostante
l’errore nella ricostruzione dei fatti di causa al punto 20 della sentenza
Fiamingo sia di natura tale da avere reso erroneamente applicabile alla fattispecie di
causa una norma -l’art. 326 del codice di navigazione- palesemente inapplicabile alla
corretta sequenza dei contratti a tempo determinato dedotti ne giudizio principale, il
giudice nazionale del rinvio sia comunque obbligato ad applicare l’interpretazione del

13.1. Va osservato che il quesito concernente la domanda se il provvedimento
‘presidenziale di correzione di errore in fatto della sentenza abbia lo stesso valore
dell’ordinanza della Corte di Giustizia che dichiara ricevibile l’azione di revocazione,
non rientra tra i casi di rinvio pregiudiziale previste dall’art. 267 TFUE non
coinvolgendo né una ipotesi di interpretazione della norma europea con carattere di
generalità e di astrattezza, ma concernendo invece un profilo applicativo di fatto di
natura processuale, né un esame di validità di una norma europea di secondo grado.
Peraltro il quesito non individua quale sia la disposizione di diritto interno che si
assume in contrasto con le norme dell’Unione richiamate.
13.2. Con riguardo, poi, alla asserita erronea applicazione dell’art. 326 cod. nav. alla
fattispecie in esame a seguito dell’errore riconosciuto, deve rimarcarsi quanto sopra
affermato circa l’opzione interpretativa già adottata da questa Corte in ordine alla
regolamentazione del caso de quo da parte della citata disposizione del codice della
navigazione. In tal senso, del resto, è anche l’orientamento della Corte Costituzionale
inaugurato con la sentenza n. 96 del 3.4.1987 a proseguito con la successiva
pronuncia n. 41 del 31.1.1991 in cui si legge appunto che “la disciplina del lavoro
nautico costituisce un sub sistema incardinato sull’art. 1 cod. nav. che regola le fonti
del diritto della navigazione. L’operatività del diritto comune presuppone, salvo che sia
diversamente disposto, la mancanza di norme poste in via diretta o ricavabili per
analogia dalla disciplina speciale” (cfr. anche Cass. 7.2.1986 n. 779; Cass. 23.4.1991
n. 4386).
14. Con il terzo e quarto quesito della memoria, già prospettati anche nel
controricorso, si pongono le seguenti questioni: “(se la clausola 5, punto 1, lettera b)
e punto 2 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato stipulato il 18 marzo
1999, figurante nell’allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE,
relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve
essere interpretata nel senso che osta all’applicazione di una normativa nazionale,
15

diritto dell’Unione europea di cui alla sentenza Fiamingo e non possa discostarsene”.

r.g. n. 19319/2015

quale l’art. 326 del codice della navigazione- in vigore prima del decreto legislativo n.
368/2001 (normativa interna di recepimento della direttiva 1999/70/CE, abrogata con
decorrenza dal 25 giugno 2015 dal d.lgs n. 81/2005) – che sanziona con la
costituzione di un contratto a tempo indeterminato soltanto l’abusivo ricorso ad una
successione di contratti a tempo determinato in caso di superamento di un anno
ininterrotto di servizio, comprendendo nella durata massima soltanto i contratti a
tempo determinato con intervallo non lavorato l’uno rispetto all’altro pari o inferiore a

“complessiva”, cioè comprendente anche i contatti a tempo determinato con intervallo
non lavorato, l’uno rispetto all’altro superiore a 60 giorni, così consentendo la
precarizzazione indefinita dei rapporti di lavoro a tempo determinato, con modalità
come quelle determinatesi nella fattispecie di causa di continuità e non interruzione di
servizio pubblico di trasporto svolto utilizzando sulla stessa posizione lavorativa stabile
personale precario per max 78 giorni”; “se la clausola 5, punti 1 e 2, dell’accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato stipulato il 18 marzo 1999, figurante
nell’allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa
all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, la clausola 4,
n. 1 dello stesso accordo quadro e il principio di uguaglianza e non discriminazione del
diritto dell’Unione europea (garantito dall’art. 6 n. 2 del Trattato sull’Unione Europea)
e gli artt. 20, 30 e 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea,
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, in quanto norme primarie del Trattato TUE,
devono essere interpretati nel senso che tali disposizioni ostano all’adozione, da parte
di uno stato membro di una normativa nazionale, quale l’art. 326 del codice della
navigazione, che differenzia i contratti di lavoro stipulati a tempo determinato per i
lavoratori marittimi da quelli stipulati per tutti gli altri lavoratori a tempo determinato
con il solo ricorso ad una “clausola generale ed astratta”- limitando i poteri del Giudice
nazionale perché non gli consente di verificare la sussistenza delle condizioni di fatto
che giustificano le esigenze temporanee dell’impresa di apporre il termine al rapporto
di lavoro-, rispetto ai contratti con datori di lavoro privati e pubblici, escludendo i
lavoratori marittimi dalla tutela rappresentata dalla costituzione d’un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato e non consentendo, nel processo, l’applicazione delle
misure equivalenti e preventive delle ragioni obiettive di cui alla clausola 5 n. 1,
lettera a) dell’accordo quadro, senza nessuna legittima giustificazione o ragione
oggettiva e in mancanza di altre misure preventive, come evidenziato dalla

16

60 giorni, con lo stesso datore di lavoro, senza prevedere una durata massima

r.g. n. 19319/2015

Commissione Ue nelle osservazioni scritte depositate il 19 ottobre 2017 nella causa
pregiudiziale C-331/17 Sciotto)”.
14.1. Ritiene il Collegio che la questione della compatibilità dell’art. 326 cod. nav. con
la normativa comunitaria richiamata è stata, per quanto può rilevare nella presente
decisione, già chiarita dalla precedente pronuncia della CGUE 3.7.2012 resa nelle
cause C-362/13, C- 363/13 e C- 497/13, ove è stato dichiarato che: 1) l’accordo

allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa
all’accordo ‘quadro CES, UICE e CEEP sul lavoro a tempo’determinato, deve essere
interpretato nel senso che esso si applica a lavoratori occupati in qualità di marittimi
con contratti di lavoro a tempo determinato su traghetti che effettuano un tragitto
marittimo tra due porti situati nel medesimo stato membro; 2) le disposizioni
dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato devono essere interpretate nel
senso che esse non ostano a una normativa nazionale la quale prevede che i contratti
di lavoro a tempo determinato debbono indicare la loro durata ma non il loro termine;
3) la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere
interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, ad una normativa
nazionale la quale prevede la trasformazione di contratti di lavoro a tempo
determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato unicamente nel caso in
cui il lavoratore interessato sia stato occupato ininterrottamente in forza di contratti
del genere dallo stesso datore di lavoro per una durata superiore a un anno, tenendo
presente che il rapporto di lavoro va considerato ininterrotto quando i contratti di
lavoro a tempo determinato sono separati da un intervallo inferiore o pari a 60 giorni,
spettando, comunque, al giudice nazionale verificare se i presupposti per
l’applicazione nonché l’effettiva attuazione della normativa costituiscano misura
adeguata per prevenire e punire l’uso abusivo di una successione di contratti o
rapporti di lavoro a tempo determinato.
14.2. Non reputa il Collegio che le articolate difese di parte istante introducano nuovi
elementi di valutazione, pertinenti rispetto alla materia del contendere, tali da
giustificare un nuovo rinvio alla Corte di Giustizia (cfr. Cass. Sez. un. 20.5.2016, n.
10501), fondandosi piuttosto sul mero auspicio che detta Corte Europea possa
rivedere le conclusioni alle quali con la sentenza “Fiamingo” la stessa è giunta nonché
sull’assunto, apertamente sostenuto da parte ricorrente, che tale sentenza sia errata.

17

quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, figurante quale

r.g. n. 19319/2015

15. La quinta e la sesta richiesta di rinvio pregiudiziale contenute nella memoria
appaiono manifestamente irrilevanti nella controversia all’attenzione del Collegio in
quanto relative a norme di diritto interno – l’articolo 5, comma 4-bis, del decreto
legislativo n. 368/2001, introdotto dalla legge n. 247/2007, nonché l’art. 32 commi 5,
6, e 7 della legge n. 183/2010, come interpretato dall’art. 1 comma 13 della legge n.
92/2012 – non applicate nella fattispecie concreta.

di Giustizia, “non esistendo alcun diritto della parte all’automatico rinvio pregiudiziale
ogni qualvolta là Corte di cassazione non ne condivida le tesi difensive, bastando che
le ragioni del diniego siano espresse (Corte EDU, caso Ullens de Schooten & Rezabek
vs. Belgio) ovvero implicite laddove la questione pregiudiziale sia manifestamente
inammissibile o manifestamente infondata (Corte EDU, caso Wind Telecomunicazioni
vs. Italia, §36)” (in termini: Cass. Sez. Un. 8.7.2016, n. 14042).
17.

All’infondatezza dei motivi fin qui esaminati consegue la conferma della sentenza

di appello che ha accertato la legittimità dei termini apposti ai contratti intercorsi con
l’odierno ricorrente e resta, conseguentemente, assorbito l’esame della censura con la
quale si denuncia, in relazione all’art. 112 cod. proc. civ. ed all’art. 360 primo comma
nn. 3 e 4 cod. proc. civ., l’omessa pronuncia e/o il vizio di motivazione da parte del
giudice di appello sulle domande formulate con l’appello incidentale che investivano le
conseguenze risarcitorie dell’illegittima apposizione dei termini.
18. In conclusione per le ragioni sopra esposte il ricorso deve essere rigettato e le
spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente soccombente nei
confronti del quale, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 va dato
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1

bis

dello stesso art. 13.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed
agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,

18

16. Alla stregua di quanto esposto vanno disattese tutte le richieste di rinvio alla Corte

r.g. n. 19319/2015

dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a
norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 13 febbraio 2018

Il Consigliere estensore

Fa bfizia Garrí

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