Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1846 del 29/01/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 1846 Anno 2014
Presidente: ADAMO MARIO
Relatore: OLIVIERI STEFANO

SENTENZA

sul ricorso 2351-2007 proposto da:
MANCINO VINCENZO, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA COLA DI RIENZO 44, presso lo studio dell’avvocato
BIONDO MARIA ILDA, rappresentato e difeso
dall’avvocato D’INNELLA RAFFAELE giusta delega a
margine;
– ricorrente –

2013
3132

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del
Ministro pro tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona
del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliati
in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

Data pubblicazione: 29/01/2014

GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope
legis;
– resistenti con richiesta di comunicazione avviso –

avverso la sentenza n. 119/2005 della COMM.TRIB.REG.
di BARI, depositata il 13/12/2005;

udienza del 12/11/2013 dal Consigliere Dott. STEFANO
OLIVIERI;
udito per il controricorrente l’Avvocato MARCHINI che
ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo

La Commissione tributaria della regione Puglia, con sentenza in data 13.12.2005 n. 119
ha accolto l’appello proposto dall’Ufficio di Gioia del Colle dell’Agenzia delle Entrate

di accertamento con il quale era stata rideterminato, mediante ricorso ai parametri di
congruità di cui alla legge n. 549/1995 ed al DPCM 29.1.1996 (come modificato dal DPCM
23.7.1997), il reddito imponibile ai fini IRPEF ed il volume di affari ai fini IVA relativi

all’anno d’imposta 1995, dichiarati dalla ditta individuale Mancini Vincenzo che
esercitava una impresa di lavanderia.

I Giudici territoriali ritenevano non probanti i documenti medici prodotti dal
contribuente a giustificazione dello scostamento dai parametri, in quanto relativi all’anno
1997 successivo a quello di verifica, emergendo altresì ulteriori elementi indiziari che
concorrevano a ritenere inattendibile l’imponibile dichiarato, essendo stato il
contribuente nel 1998 oggetto di ulteriore indagine fiscale che aveva accertato la
mancata emissione di scontrini, ed avendo ad acquistato nel periodo 1994-1997 la
proprietà di cinque immobili, in tal modo evidenziando una capacità contributiva non
compatibile con il reddito dichiarato, tenuto conto altresì che il coniuge non disponeva di
redditi propri.

Avverso la sentenza di appello, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione il
Mancino, deducendo sei motivi, con atti notificati in data 11 gennaio e 19 gennaio 2007,
rispettivamente al Ministero della Economia e delle Finanze ed alla Agenzia delle
Entrate che non hanno resistito.

RG n. 2351/2007
ric. Mancino Vincenzo c/Ag.Entrate+1

C
t.
Stefano ivieri

ed in riforma della impugnata decisione di primo grado ha dichiarato legittimo l’avviso

Motivi della decisione

Deve preliminarmente essere dichiarata “ex officio” l’inammissibilità del ricorso
proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, per difetto di
legittimazione passiva della parte resistente, non avendo assunto l’Amministrazione
statale la posizione di parte processuale nel giudizio svoltosi avanti la Commissione

Colle della Agenzia delle Entrate successivamente alla data 1.1.2001 (subentro delle
Agenzie fiscali a titolo di successione particolare ex lege nella gestione dei rapporti giuridici
tributari pendenti in cui era parte l’Amministrazione statale), con conseguente implicita

estromissione della Amministrazione statale, parte nel giudizio di primo grado ex art.
111 co3 c.p.c. (cfr. Corte cass. SS.UU. 14.2.2006 n. 3116 e 3118).
Non avendo resistito in giudizio il Ministero della Economia e delle Finanze, non
deve essere disposta regolamentazione sulle spese di lite.

Il ricorrente, con il primo motivo, censura la sentenza di appello per “errores in
procedendo” avendo la CTR: a) omesso di pronunciare, in violazione dell’art. 112 c.p.c.,
sulla eccezione -proposta dal contribuente- di inammissibilità dei motivi di gravame
dell’Ufficio appellante in quanto “nuovi e fondati su eccezioni, elementi e documenti
neppure tempestivamente allegati dall’appellante Amministrazione” (ricorso pag. 8); b)
pronunciato in violazione del divieto di “jus novorum” prescritto dall’art. 57co 1 Dlgs n.
546/1992.

Il motivo è inammissibile in relazione ad entrambe le censure per difetto del requisito
di specificità di cui all’art. 366co1 n. 4 c.p.c., avendo omesso del tutto la parte ricorrente:
1) di riferire quando ed in che atto processuale era stata proposta la detta eccezione; 2) di
riportare il contenuto delle difese svolte dalla Amministrazione in primo grado e di
trascrivere i motivi di gravame onde consentire a questa Corte di verificare in limine
2
RG n. 2351/2007
ric. Mancino Vincenzo c/Ag.Entrate+ I

tributaria della regione Puglia introdotto con atto di appello dall’Ufficio di Gioia del

..

l’ammissibilità della censura, in quanto per giurisprudenza costante di legittimità il
potere di accesso agli atti del giudizio di merito, riservato a questa Corte nel caso in cui
vengano dedotti vizi di nullità processuale ai sensi dell’art. 360co 1 n. 4 c.p.c., rimane
pur sempre subordinato alla preliminare verifica di ammissibilità del mezzo di
impugnazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., essendo, pertanto, onerata la parte ricorrente a
specificare in modo chiaro ed esaustivo (con riferimento agli atti delle parti e del Giudice di

intende sottoporre al sindacato della Corte, in difetto incorrendo nella pronuncia
pregiudiziale ostativa all’esame della censura (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 9108
del 06/06/2012).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione
del DPCM 29.1.1996 (recte dell’art. 17 della legge n. 400/1988), in relazione all’art.
360co 1 n. 3 c.p.c., non avendo tenuto conto la CTR che il decreto con il quale erano stati
fissati i parametri doveva ritenersi viziato da illegittimità non essendo stato preceduto,
nell’iter procedimentale di emanazione, dal parere del Consiglio di Stato, con
conseguente vizio di invalidità derivata dell’avviso di accertamento.

Il motivo è inammissibile, in quanto la questione prospettata non risulta sia stata
dedotta ed esaminata nei precedenti gradi di giudizio e pertanto trattandosi di questione
nuova rimane preclusa al sindacato della Corte.

Il motivo è comunque infondato avendo già affermato questa Corte che ” In tema di
accertamento tributario, il d.P.C.M. 29 gennaio 1996 (sulla “Elaborazione dei parametri per
la determinazione di ricavi, compensi e volume d’affari sulla base delle caratteristiche e delle
condizioni di esercizio sull’attività svolta”, determinati ai sensi dell’art. 3, comma 181, della legge

28 dicembre 1995, n. 549) non viola l’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, per essere

stato emanato senza il parere preventivo del Consiglio di Stato, in quanto non è un atto
di natura regolamentare -né attuativo di legge, ai sensi del primo comma, né delegcante, ai
3
RG n. 2351/2007
ric. Mancino Vincenzo c/Ag.Entrate+1

Co s. est.
ivieri
Stef

merito che hanno dato luogo al vizio di legittimità denunciato) il “fatto processuale” che

sensi del comma 2-, non essendo espressione di una potestà normativa, secondaria

rispetto a quella legislativa, attribuita all’amministrazione, e non disciplina in astratto
tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge,
ma è solo un provvedimento amministrativo a carattere generale, in quanto espressione
di una semplice potestà amministrativa, essendo rivolto alla cura concreta di interessi
pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non

5, Sentenza n. 27656 del 21/11/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 16055 del 7/7/2010; id. Sez. 6 – 5,
Ordinanza n. 17806 de/ 17/10/2012).

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia il vizio di violazione e falsa applicazione
dell’art. 3 commi 181-189 della legge n. 549/1995, dell’art. 39co 1 lett. d) e 42 Dpr n.
600/73, dell’art. 56 Dpr n. 633/1972, nonchè il vizio di violazione e falsa applicazione
dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360co1 n. 3 c.p.c.. Con il quarto ed il quinto

motivo , il ricorrente deduce analoghi vizio ed inoltre censura la sentenza di appello
anche per vizio logico della motivazione ex art. 360co 1 n. 5 c.p.c. sostenendo che la
sentenza è carente in ordine al ragionamento in base al quale i Giudici sono pervenuti
alla prova presuntiva dei maggiori imponibili.

Sostiene il ricorrente la illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto fondato
esclusivamente sulla determinazione presuntiva dei ricavi alla stregua dello scostamento
rilevato rispetto al parametro del DPCM 26.1.1996, difettando del tutto la indicazione
dei fatti sui quali viene fondata la prova presuntiva, con conseguente inammissibile
inversione dell’onere probatorio. Viziata deve quindi ritenersi la sentenza della CTR
laddove ha attribuito efficacia probatoria al mero scostamento dal parametro,
prescindendo da qualsiasi ulteriore accertamento della situazione effettiva dell’attività
economica in concreto svolta dalla impresa, non potendo il parametro assurgere ex se da
elemento probatorio (recte a presunzione dotata dei requisiti ex art. 2729 c.c.) del
maggior reddito.
4
RG n. 2351/2007
ric. Mancino Vincenzo c/Ag.Entrate+1

necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili.” (cfr. Corte cass. Sez.

I motivi, la cui trattazione unitaria si impone investendo tutti la medesima questione di
diritto, sono infondati.

Occorre premettere che i parametri, istituiti con la legge finanziaria del 1996 (L. n.
549 del 1995, art. 3, commi 179 – 189), si collocano in un percorso normativo che

marzo 1989, n. 69, convertito in legge 27 aprile 1989, n. 154, prosegue con la
determinazione degli indici previsti per l’accertamento sintetico dai decreti
ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cosiddetto
redditometro, adottati ai sensi dell’art. 38, quarto comma, del decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, come sostituito dall’art. 1, comma 1,
lettera b), della legge 30 dicembre 1991, n. 413, quindi si evolve con la elaborazione
degli studi di settore previsti dall’articolo 62-sexies del decreto-legge 30 agosto
1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427,
secondo un lungo iter caratterizzato, come è stato rilevato da questa Corte, da
progressivi aggiustamenti “nel processo di affinamento di metodi standardizzati di
accertamento intesi a facilitare la lotta all’evasione fiscale e a ridurre il contenzioso
tra contribuenti ed amministrazione, promuovendo la partecipazione del
contribuente alla procedura di definizione del reddito mediante la
“istituzionalizzazione” di un contraddittorio endoprocedimentale a carattere
preventivo” (cfr. Corte cass. SU 18.12.2009 n. 26635).

Tale essendo la “ratio legis” che ha ispirato tutta la evoluzione normativa
dell’istituto dell’accertamento standardizzato questa Corte (cfr.

Corte cass. SU n.

26635/2009, cit.; id. V sez. 4.6.2010 n. 13594; id. V sez. 11.12.2012 n. 22599; id. V sez.
15.5.2013 n. 11633; id. VI-5 sez. 31.5.2013 ord. 13741), in relazione alla concreta

applicazione delle norme sopra richiamate ha enunciato una serie di principi di diritto
che possono riassumersi di seguito:
5
RG n. 2351/2007
ric. Mancino Vincenzo c/Ag.Entrate+ l

Con
Stefano

inizia con la elaborazione dei coefficienti presuntivi introdotti dall’art. 12 del d.l. 2

la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei
parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca
all’interno della procedura di accertamento di cui all’art. 39co 1 lett. d) del d.P.R. 29
settembre 1973, n. 600 e dell’art. 54 co2 Dpr n. 633/1972, ma la affianca, essendo

indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili,

la cui regolarità,

per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello

contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente
condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata
la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei
parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la
cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo
scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri
strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce

solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità
dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di
provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di
condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui
possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica
nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento
non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la
dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le
ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.
L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità
dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto
l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente
impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è
vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e
dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se
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RG n. 2351/2007
ric. Mancino Vincenzo c/Ag.Entrate+1

est.
Stefano livieri

“standard”, né costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in

non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando
inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento,
in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione
degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con
il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro

Dalla lettura della sentenza di appello emerge che il contraddittorio endoprocedimentale
tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente ha avuto svolgimento, e che le
circostanze addotte da quest’ultimo a giustificazione del minor reddito prodotto nel
corso dell’anno (impedimenti fisici dovuti a malattia; obsolescenza dei macchinari della impresa)
non sono state ritenute decisive dall’Ufficio.
Nello svolgimento dell’attività procedimentale la PA risulta essersi, pertanto,
conformata ai criteri sopra esposti con la conseguenza:

a) che rimangono indimostrati gli asseriti vizi dell’avviso di accertamento, in
quanto il contribuente non ha fornito alcun supporto dimostrativo della allegazione
secondo cui l’Ufficio non avrebbe motivato adeguatamente nell’avviso di accertamento
il rigetto delle osservazioni presentate in sede di contraddittorio (il contenuto dell’avviso di
accertamento non è stato trascritto nel ricorso; neppure vengono fornite indicazioni sufficienti per
consentire alla Corte di verificare se la questione relativa al vizio di invalidità formale dell’avviso ex art. 42 Dpr n. 600/73 ed art. 56 Dpr n. 633/72- avesse costituito oggetto di statuizione da parte
del primo Giudice ovvero fosse stata riproposta avanti il Giudice di appello)

b) che la ricerca di “ulteriori” riscontri probatori tratti dai dati analitici della
contabilità d’impresa, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non integra un
regola astratta applicabile in ogni caso all’accertamento standardizzato atteso che, come
affermato anche dal Giudice delle Leggi, “a differenza dei “coefficienti presuntivi”, i
“parametri” prevedono un sistema basato su presunzione semplice la cui idoneità
7
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ric. Mancino Vincenzo c/Ag.Entrate+1

Conte
Stefano 01 ieri

probatorio, la mancata risposta all’invito.

probatoria è rimessa alla valutazione del giudice di merito” (cfr. Corte cost. sentenza in
data 1.4.2003 n. 105 del 2003; Corte cost. ord. 140 del 2003), e che può assumere piena

consistenza probatoria all’esito del procedimento atteso che “l’astrattezza della
elaborazione statistica trova un efficace correttivo nel contraddittorio preventivo con i
soggetti destinatari dell’accertamento” (Corte cass. SU n. 26635/2009): ne segue che,
soltanto nel caso in cui le circostanze addotte dal contribuente appaiono in concreto

richiesto alla Amministrazione finanziaria di supportare l’accertamento tributario con
ulteriori elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa; diversamente, nel
caso in cui il contribuente ometta del tutto di partecipare al procedimento fornendo
giustificazioni, ovvero nel caso in cui le circostanze addotte dal contribuente siano
ritenute inconferenti od irrilevanti, in quanto sfornite di qualsiasi rapporto di causaeffetto rispetto alla minore produzione di reddito/ricavi o, come nella specie, appaiano
cronologicamente indifferenti rispetto al periodo oggetto di accertamento, la pretesa
tributaria deve intendersi adeguatamente e sufficientemente motivata sul presupposto
della rilevata grave discordanza dei redditi/ricavi dichiarati rispetto al parametro (cfr.
Corte cass. V sez. 11.2.2009 n. 3288; id. V sez. 20.3.2013 n. 6929; id V sez. 19.4.2013 n. 9539,

con riferimento agli indici del “redditometro”),

avuto riguardo anche alla condizione

legittimante il ricorso all’accertamento parametrico nei confronti di coloro che svolgono
attività d’impresa o arti e professioni in contabilità ordinaria, individuata dalla legge in
una contabilità che risulti inattendibile a seguito di un verbale di ispezione (legge n. 549
del 1995, art. 3, comma 181, lett. b)), tale dovendo essere riconosciuta la contabilità che

risulti confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della
antieconomicità del comportamento del contribuente (cfr. Corte cass. V sez. 18.5.2012 n.
7871; id. V sez. 14.6.2013 n. 14941).

Con il sesto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 3
commi 181-189 legge n. 549/1995 nonché dell’art. 2697 c.c. , in relazione all’art.
8
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Ste

t
wieri

idonee a giustificare lo scostamento dai livelli di reddito indicati nei parametri, è

360co 1 n. 3 c.p.c., ed il vizio di omessa ed insufficiente motivazione ai sensi dell’art.
360co1 n. 5 c.p.c..

Il ricorrente deduce la erronea ed incompleta valutazione da parte della CTR degli
elementi probatori dallo stesso forniti a giustificazione della contrazione del reddito
d’impresa in quanto:
gli immobili acquistati nell’anno 1994 consistevano in tre box auto per un valore
complessivo di lire 45.600.000 , mentre nell’anno 1997 il contribuente si era
limitato soltanto a richiedere l’accorpamento urbanistico di due unità immobiliari
acquistate oltre dieci anni prima, avendo erroneamente ritenuto la CTR che si fosse
trattato di altre due compravendite

la contestazione mossa dalla Guardia di Finanza per mancata emissione di
scontrini fiscali, oltre ad essere cronologicamente irrilevante in quanto concernente
un successivo periodo di imposta, si era risolta nell’accertamento della mancata
emissione di una sola ricevuta fiscale per l’irrisorio importo lire 3.000

quanto alla certificazione medica (tra cui una perizia medica), i Giudici di merito
avevano omesso di considerare che i documenti attestavano una patologia cronica
evolutiva che aveva iniziato a manifestarsi negli anni pregressi ed aveva costretto
il contribuente ad avvalersi di dipendenti retribuiti con conseguente contrazione
dei guadagni.

Il motivo, che si sviluppa unicamente sotto il profilo del vizio motivazionale, è
infondato.

Nella specie la CTR ha fatto corretta applicazione dei principi indicati ritenendo che il
rilevante scostamento del reddito e dei ricavi dichiarati dal contribuente (lire
16.625.000) dai livelli stabiliti, per il corrispondente anno d’imposta, dai parametri di cui
al DPCM 29.1.1996 (lire 44.173.000), trovasse riscontro anche in ulteriori elementi
indiziari, individuati nel successivo accertamento fiscale dal quale era emerso
9
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Co
Stefano

vieri

l’occultamento di ricavi (mancata emissione di scontrini fiscali) e nella disponibilità
economica dimostrata con l’acquisto di cinque immobili negli anni 1994-1997 non
compatibile con i redditi dichiarati, elementi tutti convergenti al raggiungimento della
prova presuntiva dotata dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c., avendo considerato la CTR
la specifica situazione relativa all’attività della impresa, allegata dal contribuente con
riferimento alla patologia clinica, disattendendo le peculiari circostanze addotte in

Rileva il Collegio che se, da un lato, le allegazioni del contribuente non vengono
supportate adeguatamente dalla indicazione dei documenti e del loro contenuto
probatorio tale da giustificare la critica mossa alla ricostruzione della fattispecie
concreta effettuata dai Giudici di merito, dall’altro, gli errori che vengono attribuiti alla
CTR non possono ritenersi, comunque, tali da inficiare in modo radicale la motivazione
a sostegno del “decisum” (difettando quindi del requisito di decisività richiesto dall’art.
360co1 n. 5 c.p.c.) tenuto conto che, anche ad escludere la rilevanza dell’esito della
verifica fiscale condotta in anni successivi a quello oggetto della controversia : a) il
valore dei tre box acquistati dal contribuente ammonta a lire 46.500.000 (ricorso pag.
25), e tale importo appare di per sè non compatibile con il livello di reddito annuale
dichiarato; b) la circostanza che il contribuente fosse affetto da una “patologia cronica
evolutiva”, che trovava genesi negli anni precedenti la verifica, non è ex se dimostrativa
del calo dei ricavi nell’anno 1995, tenuto conto che la effettiva incidenza della malattia
sulla capacità lavorativa specifica del soggetto deve trovare riscontro in un accertamento
concreto riferito al particolare stadio evolutivo della patologia ovvero in episodi di tipo
acuto (circostanza entrambe indimostrate), mentre l’assunzione di dipendenti salariati
non integra ex se -trattandosi del comune impiego da parte dell’imprenditore dei fattori della
produzione- un elemento oggettivo di decurtazione del reddito d’impresa.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della parte
ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che si liquidano in dispositivo.
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RG n. 2351/2007
ric. Mancino Vincenzo c/Ag.Entrate+1

Co est.
livieri
Stefan

quanto riferite ad un periodo successivo a quello oggetto di accertamento..

ESENTE D:\ :`

Ai

P.Q.M.
La Corte :
– dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero della Economia e
delle Finanze , dichiarando interamente compensate tra le parti le spese di lite

ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 2.500,00 per
compensi oltre le spese prenotate a debito.

Così deciso nella camera di consiglio 12.11 .2013

– rigetta il ricorso proposto nei confronti della Agenzia delle Entrate e condanna la parte

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