Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18458 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/07/2019, (ud. 28/02/2019, dep. 09/07/2019), n.18458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8466-2018 proposto da:

P.M., I.O., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

dall’avvocato SALZANO NICOLA;

– ricorrenti –

contro

G.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 43/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 12/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CIGNA

MARIO.

Fatto

RILEVATO

Che:

Con sentenza 612/13 del 23-10-2013 il Tribunale di Termini Imerese, in accoglimento della domanda formulata da G.A. nei confronti di I.O. e P.M., ha dichiarato risolto di diritto, per inesatto adempimento di quest’ultimi, il contratto 29-32007 con il quale l’attrice aveva ceduto ai convenuti la nuda proprietà di due fabbricati siti nel Comune di (OMISSIS), riservando a sè l’usufrutto intercorso e prevedendo a carico dei convenuti l’obbligo di assistenza “vita natural durante”.

Con sentenza 43/18 del 12-1-2018 la Corte d’Appello di Palermo ha rigettato il gravame proposto da I.O. e P.M.; in particolare la Corte, dopo avere inquadrato il contratto in questione come “contratto atipico di vitalizio alimentare o contratto di mantenimento”, avente ad oggetto una prestazione ad esecuzione continuata ed al quale era applicabile il rimedio della risoluzione per inadempimento, ha ritenuto che i convenuti non avessero dimostrato, pur essendo loro onere, di avere esattamente adempiuto ai previsti obblighi di assistenza sia materiale (cibo, vitto, alloggio, spese mediche etc) che morale (es. compagnia); nello specifico, non erano sufficienti a tal fine le espletate prove testimoniali (v. testi D.G. e B.), essendo dalle stesse emersa solo la presenza della Perniciaro presso l’abitazione della Gravina (e viceversa) esclusivamente per un determinato periodo di tempo e per episodi occasionali e generici, non precisamente collocati nel tempo.

Avverso detta sentenza I.O. e P.M. propongono ricorso per Cassazione, affidato ad un unico motivo.

G.A. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con l’unico motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3-violazione e falsa applicazione di norme di diritto, sostengono, innanzitutto, che l’inadempimento non era a loro imputabile, in quanto la G. aveva tenuto un comportamento tale da impedire alla P. di adempiere alle obbligazioni assunte, addirittura vietandole l’accesso alla propria abitazione; nessuna colpa era quindi addebitabile – ex artt. 1176 e 1218 c.c. – alla P., la cui volontà al contrario, come desumibile dalla lettera 22-12-2008, era quella di mantenere il rapporto affettivo che la legava alla Gravina; contestano, poi, la valutazione della prova testimoniale operata dalla Corte, ritenendo che, in base alle deposizioni dei testi C., B., D.L. e F., potesse ritenersi dimostrato che la P. aveva sempre onorato gli obblighi assunti.

Il motivo è inammissibile.

In primo luogo, infatti, non sono indicate le norme violate, senza che neanche gli argomenti addotti a sostegno del motivo ne consentano l’individuazione (Cass. 25044/2013; v. anche S.U. 17555/2013 e Cass. 4233/2012, secondo cui “ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, seppure l’indicazione delle norme che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed imprescindibile, occorre comunque tener presente che si tratta di elemento richiesto allo scopo di chiarire il contenuto delle censure formulate e di identificare i limiti dell’impugnazione. Ne consegue che la mancata indicazione delle disposizioni di legge può comportare l’inammissibilità della singola doglianza, qualora gli argomenti addotti non consentano di individuare le notnie e i principi di diritto di cui si denunci la violazione”).

Il motivo, in ogni modo, anche a voler intendere come denunciata la violazione degli artt. 1176 e 1218 c.c., è inammissibile anche per altre ragioni.

In primo luogo perchè, in violazione dell’art. 366 c.p.c., evoca una lettera del 22-12-2018 senza riprodurne in ricorso il contenuto e senza localizzarla nel giudizio; in secondo luogo, in quanto non viene indicato dove, nel giudizio di merito, è stata prospettata la questione (che appare invece dedotta per la prima volta in sede di legittimità, e quindi inammissibilmente) del rifiuto della prestazione da parte della G.; in terzo luogo perchè si risolve in una sollecitazione a rivalutare il materiale istruttorio (in particolare le testimonianze), non consentita in sede di legittimità (v. Cass. sez. unite 8053 e 8054/2014 e, tra le tante successive, Cass. 11892/2016).

In considerazione del mancato svolgimento, da parte dell’intimata, di attività difensiva in questa sede, non si provvede sulle spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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