Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18458 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. I, 04/09/2020, (ud. 14/07/2020, dep. 04/09/2020), n.18458

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14378/2019 proposto da:

W.M., elettivamente domiciliato in Roma Via di Donna Olimpia

166, presso lo studio dell’avvocato Gasperini Serena Antonella, e

rappresentato e difeso dagli avvocati Manzo Roberto, e Pacifico

Raffaele, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1915/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato

il 17/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/07/2020 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 1915/2019 depositato il 17-4-19 e comunicato a mezzo pec nella stessa data il Tribunale di Bologna ha respinto il ricorso di W.M., cittadino del (OMISSIS), avente ad oggetto, in via gradata, il riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria, all’esito del rigetto della domanda da parte della Commissione Territoriale. Il Tribunale ha ritenuto che non fossero credibili i fatti narrati dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito a causa di problemi familiari ed economici, in particolare a causa di un conflitto familiare con la famiglia di un suo zio che si era appropriato di un terreno di suo padre. Il Tribunale ha pertanto ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto riguardo anche alla situazione generale e politico-economica del Bangladesh, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che resiste con controricorso.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo è così rubricato:” violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, art. 2, lett. e), artt. 7 e 8. Insufficienza e/o erroneità della motivazione, omesso esame di fatti decisivi, sussistenza dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato”. Deduce che il Tribunale erroneamente ha ritenuto non credibile il suo racconto, in violazione dei parametri di legge. Rileva che il suo racconto era stato chiaro, coerente e lineare, richiama il principio dell’onere della prova attenuato e si duole dell’errata valutazione, oltre che della sua situazione soggettiva, anche di quella oggettiva del suo Paese, caratterizzato da instabilità politica e continue criticità.

2. Con il secondo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, art. 2, lett. g), art. 14,. Insufficienza e/o erroneità della motivazione, omesso esame di fatti decisivi, sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione sussidiaria”. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale ha erroneamente escluso la sussistenza dei presupposti giustificanti il riconoscimento della protezione sussidiaria sulla scorta dei fatti allegati dal ricorrente, mentre avrebbe dovuto tener conto, oltre che alla specifica situazione personale del richiedente, anche della notoria situazione di instabilità socio-politico-religiosa del paese di provenienza, nazione pervasa da crimini di ogni tipo, come da report di Amnesty International 20152016 che richiama.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 3, comma 5 e art. 19, comma 1 e D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, lett. a). Insufficienza e/o erroneità della motivazione, omesso esame di fatti decisivi, sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria”. Si duole il ricorrente del diniego del riconoscimento della protezione per motivi umanitari, ribadisce di trovarsi in situazione di estrema povertà e di aver subito gravi violenze dalla ricca famiglia di suo zio, che aveva corrotto la polizia locale. Assume che la decisione sia contraria al consolidato orientamento giurisprudenziale, di merito e di legittimità, circa la situazione dei diritti in Bangladesh e con particolare riferimento alla compressione di quelli fondamentali.

4. I motivi primo e secondo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

4.1. Il ricorrente censura del tutto genericamente il giudizio di non credibilità della sua vicenda personale espresso, con adeguata motivazione, dal Tribunale, che ha evidenziato plurimi profili di incoerenza del racconto (pag. n. 4), effettuando la valutazione secondo i parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Una volta esclusa dal Giudice territoriale, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione idonea, la credibilità delle vicende personali narrate, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b), D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. n. 6503/2014; Cass. n. 16275/2018; Cass. n. 16925/2018 e Cass. n. 14283/2019).

Quanto alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064/2018 e Cass. n. 30105/2018). Nel caso di specie il Giudice territoriale, con motivazione adeguata ed indicando le fonti di conoscenza, ha analizzato la situazione politica del Paese ed ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di origine del ricorrente.

5. Ugualmente inammissibile è il terzo motivo.

5.1. Occorre precisare, in via preliminare, con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

5.2. Tanto premesso, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge e motivazionale, allega genericamente la propria situazione di vulnerabilità, lamentando la mancata considerazione delle violenze subite nel suo Paese e della sua situazione di estrema povertà, senza precisare alcun elemento individualizzante di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019).

Il fattore di integrazione lavorativa e sociale in Italia non può essere isolatamente considerato, diventando recessivo se difetta la vulnerabilità, come nella specie, ed inoltre la situazione del Paese di origine, in termini generali ed astratti, è di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata, in conformità a Cass. n. 4455/2018).

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.200, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

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