Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18450 del 21/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 21/09/2016, (ud. 19/04/2016, dep. 21/09/2016), n.18450

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27496-2012 proposto da:

AMBROSIA TECHNOLOGIES SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

CORNELIO NEPOTE 21, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE CAVANNA,

rappresentato e difeso dagli avvocati FRANCESCO CONFORTI, VINCENZO

CONFORTI con studio in MAIORI VIA SANTA TECLA 24 (avviso postale ex

art. 135) giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 56/2012 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 14/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/04/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO Luigi, che ha concluso per il rigetto in subordine

inammissibilità del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 56 del 14 maggio 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, respingeva l’appello proposto dalla Ambrosia Technologies s.r.l. avverso la sentenza della CTP di Milano che a sua volta aveva respinto il ricorso che la società contribuente aveva proposto avverso l’atto di recupero di un credito di imposta per incremento occupazionale indebitamente utilizzato nell’anno (OMISSIS) per un importo di 14.460,00 Euro, emesso.

1.1. Il giudice di appello, ribadendo la tesi dei giudici di primo grado, ritenevano che il D.M. n. 311 del 1998, art. 8, non prevedeva alcun onere di comunicazione al contribuente dell’avviso di revoca del credito di imposta, il quale costituisce atto meramente interno ed endoprocedimentale, non autonomamente impugnabile, sulla base del quale il competente Ufficio delle entrate, nel termine di un anno dalla data in cui la revoca è divenuta definitiva (il cui mancato rispetto il contribuente non aveva contestato) provvede ad emettere l’atto di recupero nei confronti del contribuente.

2. Ricorre per cassazione la società contribuente sulla base di due motivi, cui l’agenzia resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.M. 311 del 1998, art. 8, per avere i giudici di appello erroneamente escluso la sussistenza dell’obbligo di notifica al contribuente, da parte del Centro operativo di Pescara, dell’avviso di revoca del credito di imposta da incremento occupazionale, prodromico al successivo atto di recupero emesso dal competente Ufficio finanziario, ritenendolo atto meramente interno ed endoprocedimentale, non autonomamente impugnabile.

2. Con il secondo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione del rigetto dell’eccezione di nullità dell’atto impositivo per omessa notifica del prodromico avviso previsto dal D.M. n. 311 del 1998, art. 8, essendosi limitata apoditticamente a richiamare le conclusioni a cui era pervenuta la Commissione Tributaria Provinciale, senza compiere alcuna elaborazione autonoma della propria tesi (così a pag. 10 del ricorso).

3. Il primo motivo ripropone la questione della violazione degli obblighi informativi posti a carico dell’Amministrazione finanziaria ai fini dell’eventuale contraddittorio endoprocedimentale e della sua incidenza sull’atto impositivo successivamente emanato.

3.1. Il D.M. 3 agosto 1998, n. 311, art. 8, nel disciplinare la revoca del credito di imposta per incrementi occupazionali riconosciuto alle piccole e medie imprese operanti in specifico ambito territoriale dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 4(recante misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), prevede che Il Centro di servizio di Pescara, salva la facoltà di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 7, comma 2, comunica all’impresa cui è stato concesso il credito d’imposta l’avvio del procedimento di revoca del credito medesimo con l’indicazione delle violazioni riscontrate, relativamente alle quali l’impresa interessata può fornire le proprie giustificazioni entro quindici giorni dalla data di ricevimento della comunicazione dell’avvio del procedimento stesso (comma 1, u.p.). Come riconosciuto da questa Corte, nel prevedere la partecipazione del contribuente alla procedura di revoca delle agevolazioni fiscali in ragione della peculiarità della stessa, perchè non preceduta dall’ordinaria attività di controllo (Cass. n. 20246 del 2013), la norma in esame costituisce specifica applicazione del principio generale di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 7 che impone l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato ad avere effetti diretti (Cass. n. 21586 del 2015).

3.2. Nel caso di specie è incontestato che il Centro operativo di Pescara non abbia provveduto ad adempiere all’obbligo informativo posto a suo carico dalla citata disposizione, la difesa erariale essendosi limitata nel controricorso a negare che la disposizione in esame preveda un tale obbligo o una qualche forma di notificazione, ma al più una semplice “comunicazione” che comunque non afferma, nè risulta essere stata inviata alla società contribuente.

3.3. Trattasi di violazione in astratto idonea a determinare l’invalidità del successivo atto di recupero del credito d’imposta emesso dall’Amministrazione finanziaria, ma ciò nonostante ritiene questa Corte che osti all’accoglimento del primo motivo di ricorso l’orientamento giurisprudenziale (rinvenibile in Cass. n. 992 del 2015, n. 16036 del 2015, n. 21586 del 2015 e S.U. n. 24823 del 2015) formatosi sulla scorta dei principi elaborati in materia di diritto al contraddittorio dalla Corte di giustizia. Questa, pur ribadendo nella sentenza del 3 luglio 2014 nelle cause riunite C-129/13 (caso Kamino) e C-130/14 (caso Datema) che il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento costituisce parte integrante del principio fondamentale del rispetto dei diritti della difesa sancito negli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo (punti 28 e 29), ha però precisato che i diritti fondamentali, quali il rispetto dei diritti della difesa, non appaiono come prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti (punto 42), chiarendo che “il giudice nazionale, avendo l’obbligo di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione, può, nel valutare le conseguenze di una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, tenere conto della circostanza che una siffatta violazione determina l’annullamento della decisione adottata al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso”.

3.4. Pertanto, con riferimento al caso in esame, il rilievo che l’obbligo informativo di cui al D.M. n. 331 del 1998, art. 8, non sia previsto a pena di nullità, non esime di certo il giudice dal verificare – non avendo valore assoluto, in ambito tributario, la regola della tassatività delle nullità (Cass. n. 5518 del 2013) – se la violazione di legge abbia comportato soltanto una mera irregolarità dell’atto (o della procedura) ovvero se abbia determinato l’invalidità dello stesso (Cass. n. 992 citata). Verifica da effettuarsi applicando il criterio della strumentalità delle forme, sulla base del quale la trasgressione di una prescrizione che si riferisca ad una formalità o circostanza essenziale per il raggiungimento dello scopo cui l’atto è teso, comporta la nullità dell’atto, ancorchè tale sanzione non sia espressamente prevista da una specifica disposizione di legge (Cass. n. 5518 citata).

3.5. Da ciò deriva che il giudice è tenuto ad effettuare la c.d. “prova di non resistenza” (arg. da Cass. n. 23050 del 2015), e cioè a verificare se senza quella irregolarità il procedimento avrebbe potuto avere un esito diverso, sulla base delle allegazioni del contribuente che nel caso di specie non sono neppure graficamente prospettate nel ricorso (conf. Cass. n. 16036 del 2015 e n. 6232 del 2015), non essendo consentito a questa Corte, in ragione del tipo di vizio dedotto, esaminare gli atti processuali dei giudizi di merito per verificare se il contribuente vi avesse provveduto in quelle fasi. Pertanto, dovendosi concludere nel senso della ineludibile emissione dell’atto di revoca del credito d’imposta anche a seguito di preventiva informativa datane alla contribuente, il primo motivo di ricorso va rigettato.

4. Stessa sorte deve subire il secondo motivo proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Invero, l’insufficienza della motivazione della sentenza gravata, per avere i giudici di appello acriticamente sposato le tesi dei primi giudici, è palesemente insussistente, perchè nella specie la CTR affermando (testualmente) che non vi è alcun obbligo, derivante dall’art. 8 cit., per il Centro Operativo di Pescara, di notificare al contribuente la revoca del credito, che è un atto meramente interno ed endoprecedimentale, che la revoca non è un atto presupposto autonomamente impugnabile, trattandosi di un atto interno, nè tanto meno esso è illegittimo, sotto il profilo della regolarità procedimentale, non essendo prevista la preventiva notifica al contribuente ai fini della sua definitività, prima che l’Ufficio provveda alla contestazione e che, quindi, l’intero procedimento non può in specie ritenersi irregolare – ha ampiamente dato conto delle ragioni di condivisione della tesi sostenuta dai giudici di primo grado su questione che, peraltro, è più giuridica che fattuale.

5. In estrema sintesi, quindi, il ricorso va rigettato per infondatezza dei motivi proposti e la società contribuente condannata al pagamento delle spese processuali liquidate ai sensi del D.M. Giustizia n. 55 del 2014, tenuto conto delle attività effettivamente espletate dalla parte intimata (che non ha partecipato all’udienza pubblica) e del valore della causa.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.300,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 19 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2016

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