Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1845 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/01/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 28/01/2021), n.1845

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Aldo – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35346-2018 proposto da:

G.L., S.P., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE FORGIONE;

– ricorrenti –

contro

M.M.P., M.A.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato SERGIO MESSORE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 7299/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

OSSERVA

– S.P. e G.L. adirono il Tribunale di Cassino chiedendo il rilascio di un immobile detenuto senza titolo da M.M.P. e M.A.M., nonchè la condanna di costoro al risarcimento dei danni e il Tribunale accoglieva entrambe le domande;

– la Corte d’appello di Roma, accogliendo in parte l’impugnazione delle M., rigettò la condanna al risarcimento del danno, che il Giudice di primo grado aveva conciato, non alla mancata disponibilità del bene, bensì “per il fatto che il ritardo nella restituzione aveva determinato maggiori spese per la ristrutturazione dell’immobile”, avendo negato che gli attori avessero fornito una tale prova, stante che la consulenza di parte non aveva trovato conferma nella prova orale e che già al momento dell’acquisto, constava dall’atto di provenienza che l’immobile rurale versava “in pessime condizioni statiche e di manutenzione, fatiscente e in precarie condizioni statiche”;

– con il ricorso, fondato su tre motivi, fra loro correlati, ulteriormente illustrati da memoria, al quale si contrappone il controricorso, anch’esso seguito da memoria, delle M., il S. e la G. denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, assumendo, in sintesi, che la Corte di Roma aveva reputato, errando, priva di valore probatorio la consulenza di parte, senza che questa avesse trovato smentita in altre risultanze istruttorie; che l’esistenza dei danni non era stata contestata dalla controparte; che la motivazione appariva inadeguata e incongrua, non avendo tenuto conto del ritardo con il quale l’immobile era stato restituito (per tutto il giudizio di primo grado, ciò emergendo dal provvedimento emesso ai sensi dell’art. 700 c.p.c.);

– il complesso censuratorio non supera il vaglio d’ammissibilità, in quanto:

a) l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (si rimanda alla sentenza delle S.U. n. 8053/2014); non residuano spazi per ulteriori ipotesi di censure che investano il percorso motivazionale, salvo, appunto, l’ipotesi, che qui non ricorre e, peraltro, neppure viene adombrata, del difetto assoluto di motivazione; il ricorso, invece, lungi dal delineare una omissione di tal fatta, s’impegna in una critica degli apprezzamenti di merito operati dalla Corte locale, con la pretesa di ottenere un nuovo ed inammissibile esame di merito;

b) la sentenza d’appello, al contrario dell’assunto impugnatorio, non ha negato tout court valenza alla consulenza di parte, ma, ben diversamente, l’ha giudicata inattendibile alla luce della esperita prova orale e delle condizioni in cui versava l’immobile già al momento dell’acquisto da parte degli odierni ricorrenti; la doglianza investe, inoltre, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299), apprezzamento che, per contro, la Corte locale ha ampiamente effettuato (cfr. pag. 12 e ss.);

c) dallo stralcio della comparsa di costituzione e risposta delle odierne resistenti, riportato dai ricorrenti, non è dato trarre alcun apprezzabile specifico riconoscimento della pretesa risarcitoria, avendo le convenute manifestato di essere loro a dover essere risarciti e, in ogni caso, compete al giudice del merito apprezzare l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (cfr. Sez. 6, n. 3680/2019).

Diritto

CONSIDERATO

che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo) una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle svolte attività, siccome in dispositivo;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

 

 

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