Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18449 del 12/07/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 18449 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: VINCENTI ENZO

ORDINANZA
sul ricorso 6068-2017 proposto da:
MONTANELLI WANDA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CASSIODORO n.1/A, presso lo studio dell’avvocato GIULIANO
SCARSELLI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente contro
ITALIA DEI VALORI C.F.90024590128, in persona del tesoriere e
legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA EMILIO FAA’ DI BRUNO n.4, presso lo studio
dell’avvocato SERGIO NICOLA ALDO SCICCHITANO, che la
rappresenta e difende;

– controrkorrente avverso la sentenza n. 3162/2016 della CORTE D’APPELLO di
MILANO, depositata il 11/08/2016;

Data pubblicazione: 12/07/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 11/04/2018 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.
Ritenuto che, con ricorso affidato ad un unico motivo, Wanda
Montanelli ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Milano,
resa pubblica in data 11 agosto 2016, che ne rigettava il gravame

volta, aveva respinto le domande proposte dalla stessa Montanelli al
fine di conseguire la condanna dell’Associazione politica e culturale
“Italia dei Valori” — Lista Di Pietro sia al risarcimento dei danni per
,
comportamenti discriminatori che avevano cagionato ad essa attrice
pregiudizi non patrimoniali ed esistenziali, sia al pagamento di una
somma determinata in favore del “Dipartimento per le Pari
Opportunità o Politiche di Genere” della stessa Associazione politica e
culturale – dipartimento di cui essa Montanelli era la titolare
responsabile -, dovuta ai sensi dell’art. 3, comma 1, della L. 157/1999
e, invece, destinata, nel periodo 2001/2006, ad altre attività, diverse
dalla promozione delle pari opportunità;
che la Corte territoriale osservava: 1) che tutte le censure mosse
dall’appellante alla decisione assunta dal giudice di primo grado in
ordine al rigetto delle domande dell’attrice (con riferimento ai
circoscritti poteri di intervento del giudice ordinario nelle decisioni
interne di un’associazione non riconosciuta, alla carenza di
legittimazione ad agire della Montanelli, alla carenza di prova circa
l’adesione di quest’ultima al Partito) erano inammissibili in quanto
generiche ed, inidonee, dunque, ad assolvere all’onere di specificità di
cui all’art. 342 c.p.c.; 2) che la doglianza investente il capo delle
condanna alle spese era infondato;
che resiste con controricorso l’ “Italia dei Valori”;

Ric. 2017 n. 06068 sez. M3 – ud. 11-04-2018
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avverso la decisione del Tribunale della medesima Città, il quale, a sua

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata
comunicata alle parti costituite, unitamente al decreto di fissazione
dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale le parti
hanno depositato memoria;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in

Considerato che, con un unico mezzo, è denunciata, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 81 c.p.c. e 24 Cost., per avere la Corte
territoriale, in adesione alle ragioni adottate dal primo giudice, errato
ad escludere la legittimazione ad agire della ricorrente, segnatamente
per quanto concerneva le domande di risarcimento del danno subito in
proprio e di condanna dell’Associazione convenuta al pagamento in
favore del Dipartimento di cui essa attrice era direttamente
responsabile.
che il motivo è inammissibile, in quanto esso non coglie affatto
la ratio decidendi su cui si fonda la sentenza impugnata (sintetizzata nel

“Ritenuto”, che precede), la quale (diversamente da quanto opinato dalla
ricorrente) prescinde del tutto da uno scrutinio di “merito” sui motivi
di gravame proposti dall’appellante per contrastare il rigetto delle
domande attoree, per concentrarsi esclusivamente su una affermazione
di inammissibilità di detti motivi, in quanto carenti nella prospettazione
di specifiche censure avverso la motivazione adottata dal primo giudice
e, dunque, generici in violazione dell’art. 342 c.p.c.;
che, del resto (e contrariamente a quanto sostenuto nella
memoria di parte ricorrente, in ragione della mancata declaratoria di
inammissibilità dell’appello nella sua interezza), è principio consolidato
di questa Corte quello per cui, sebbene l’inammissibilità dell’appello
per difetto di specificità dei motivi è legittimamente dichiarata solo
Ric. 2017 n. 06068 sez. M3 – ud. 11-04-2018
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forma semplificata.

allorché l’incertezza investa l’intero contenuto dell’atto, là dove sia
invece possibile individuare uno o più motivi sufficientemente
identificati nei loro elementi essenziali (nella specie, quello relativo al
capo di condanna alle spese di lite), l’eventuale difetto di
determinazione di altri motivi, malamente formulati nel medesimo atto

legittima comunque l’affermazione d’inammissibilità dell’appello per
questi motivi soltanto e non dell’appello nella sua interezza (Cass. n.
15071/2012; Cass. n. 20124/2015); di qui, pertanto, la correttezza del
dispositivo di rigetto del gravame adottato dalla Corte territoriale;
che la ricorrente, quindi, avrebbe dovuto dedurre la violazione
dell’art. 342 c.p.c. al fine di contrastare la ritenuta inammissibilità dei
motivi di appello da parte del giudice di secondo grado, a tal fine
specificando in modo adeguato (anche tramite idonea localizzazione) i
contenuti degli atti processuali all’uopo rilevanti ai fini del
confezionamento del congruente motivo di doglianza, così da poter
attivare il potere di indagine del “fatto processuale” spettante a questa
Corte in ragione del tipo di vizio denunciato (tra le altre, Cass. n.
22880/2017);
che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile e la ricorrente
condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come
liquidate in dispositivo in conformità ai parametri di cui al d.m. n. 55
del 2014.
PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte
controricorrente, in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese

Ric. 2017 n. 06068 sez. M3 – ud. 11-04-2018
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(nella specie, come detto, quelli sul rigetto delle domande attoree),

forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in curo
200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato

art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, in data 11 aprile
2018.

pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato

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