Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18448 del 12/07/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 18448 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: VINCENTI ENZO

ORDINANZA
sul ricorso 5280-2017 proposto da:
CEDA IMMOBILIARE S.R.L. P.I.03701770277, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
GIUSEPPE FERRARI n.12, presso lo studio dell’avvocato MARCO
MONTOZZI, rappresentata e difesa dall’avvocato ALBERTO
VIGANI;

– ricorrente contro
ENIAC S.P.A. nella quale è stata incorporata la società CEDA
INFORMATICA S.R.L. C.F./P.I.013150860286, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
SCOTT n.62, presso lo studio dell’avvocato SANDRO CAMPAGNA,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO
VENERUSO;

Data pubblicazione: 12/07/2018

- controricorrente contro
TRENTIN CRISTIANO;

– intimato –

VENEZIA, depositata il 23/08/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 11/04/2018 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

Ritenuto che, con ricorso affidato a quattro motivi, la Ceda
Immobiliare s.r.l. ha impugnato la sentenza della Corte di appello di
Venezia, in data 23 agosto 2016, che, in accoglimento del gravame
interposto dalla Ceda Informatica s.r.l. avverso l’ordinanza ex art. 186-

quater c.p.c. resa dal Tribunale della medesima Città, ne respingeva la
domanda di pagamento per la somma di euro 19.500,00,
condannandola a restituire alla stessa società appellante il complessivo
importo di euro 20.019,05, oltre accessori;
che la Corte territoriale osservava: 1) che l’oggetto del giudizio
era circoscritto “alla verifica della sussistenza del credito di euro
19.500,00 in favore di Ceda Immobiliare nei confronti di Ceda
Informatica”; 2) che detto credito traeva origine dalla clausola n. 2 del
contratto di cessione di ramo d’azienda del 5 luglio 2004, relativa alla
variazione del prezzo della rata di curo 195.000,00, in forza della quale:
“l’importo di ciascuna rata varierà in aumento o in diminuzione
massima del 10% … in proporzione diretta con l’eventuale variazione
del margine operativo lordo [m.o./.] aziendale rispetto al 31 dicembre
2003 alla scadenza di ciascuna rata”; 3) che, fondandosi il credito
azionato in giudizio “sulla operatività della suddetta clausola”, la Ceda
Immobiliare avrebbe dovuto dimostrare la mancata variazione in
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avverso la sentenza n. 1931/2016 della CORTE D’APPELLO di

diminuzione del margine operativo lordo rispetto al 31 dicembre 2003
nella misura massima del 10% alla scadenza della rata, ossia il 31
dicembre 2005; 4) che tale dimostrazione, necessitante “circostanziati
elementi probatori” a fronte del fatto estintivo provato dalla convenuta
Ceda Informatica s.r.l. “mediante la produzione dei bilanci relativi agli

che resiste con controricorso la ENIAC S.p.A. (incorporante la
Ceda Informatica s.r.1.), mentre non ha svolto attività difensiva in
questa sede l’intimato Cristiano Trentin;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata
comunicata alle parti costituite, unitamente al decreto di fissazione
dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale la
ricorrente ha depositato memoria;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in
forma semplificata.

Considerato che:
a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 183 c.p.c., per non aver mai la
società convenuta “affermato un fatto impeditivo o estintivo della
domanda attorea nei termini di cui all’art. 183 c.p.c.”;
b) con il secondo mezzo è dedotta “violazione degli artt. 167,
183 e 189 c.p.c. in relazione all’art. 190 c.p.c.”, per aver la Ceda
Informatica introdotto “fatti nuovi e nuovi mezzi di prova” solo con la
comparsa conclusionale di primo grado e dedotto soltanto in grado di
appello la variazione dell’indice m.o.l. in relazione ai bilanci dal 2003 al
2005;
c) con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 345 c.p.c., per aver l’appellante
— che in comparsa di costituzione di primo grado aveva chiesto solo di
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anni 2003 e 2005″, non era stata fornita dalla società attrice;

”respingere la domanda attorca e assolvere la convenuta da ogni
pretesa di pagamento” — introdotto, oltre a nuovi fatti e mezzi di
prova, una nuova domanda, ossia quella di “insussistenza del diritto di
Ceda Immobiliare a percepire più del 90% di Euro 195.000,00”,
incentrata sulla “diminuzione del credito per avveramento di una

d) con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 2697 c.c. “in relazione … art.
112 c.p.c.”, avendo la Corte territoriale pronunciato su eccezione
riservata alla parte e cioè sull’avveramento della condizione
contrattuale relativa alla variazione del m.o.1., altresì erroneamente
ribaltando l’onere di prova in capo ad essa attrice, che doveva fornire
soltanto dimostrazione del proprio titolo contrattuale ai fini di
conseguire il pagamento del debito;
StiìZi) 1 motivi — che possono essere congiuntamente scrutinati
— sono in parte inammissibili e in parte manifestamente infondati.
Come evidenziato ai §§ da 1 a 4 del Ritenuto (cui si rinvia), la Corte
territoriale ha individuato e circoscritto la domanda attorea in quella,
fondata sulla clausola contrattuale n. 2 relativa alla c.d. “variazione
m.o.l.”, di pagamento della somma di euro 19.500,00, assumendo che
la società attrice non avesse comunque dimostrato il fatto costitutivo
del proprio diritto di credito (ossia l’operatività della anzidetta clausola
contrattuale), soprattutto a fronte del fatto estintivo provato dalla
società convenuta in base ai bilanci dal 2003 al 2005.
Tale decisione è conforme anzitutto al principio, consolidato,
secondo cui, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione,
il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento
del danno ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte
(negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza,
Ric. 2017 n. 05280 sez. M3 – ud. 11-04-2018
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condizione contrattuale”;

limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento
della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere
della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto
adempimento (cfr., tra le tante, Cass., S.U., n. 13533/2001; Cass. n.
20073/2004, Cass. n. 9351/2007).

(terzo motivo), giacché l’unica domanda su cui si è pronunciata la
Corte di appello è quella attorea, di adempimento del credito, cui la
società appellante ha soltanto opposto le ragioni di insussistenza dello
stesso; 2) non sussiste violazione dell’art. 2697 c.c. (quarto motivo),
giacché la Ceda Immobiliare s.r.l. doveva dar prova proprio
dell’operatività della clausola contrattuale n. 2, costituente essa il titolo
specifico che fondava il preteso diritto di credito; 3) ch§t la mancata
prova in ordine al fatto costitutivo della domanda (come messo in
risalto dallo stesso giudice di appello) costituisce

ratio decidendi

assorbente anche della dimostrazione, rituale o meno, del fatto
estintivo del credito (che del resto la sentenza impugnata assume solo
come elemento che rendeva più impegnativa la prova che avrebbe
dovuto fornire la parte attrice, non assolvendola comunque dal relativo
onere), con ciò risultando inammissibili (in quanto eccedenti detta razio
e non in grado di scalfirne la portata) le censure che (primo e secondo
motivo) attengono alla tardività della deduzione e prova di detto fatto
estintivo (cioè le risultanze dei bilanci dal 2003 al 2005) e (quarto
motivo) alla pronuncia di ufficio su eccezione di parte (là dove,
peraltro, tale non è da configurarsi quella del fatto estintivo in esame).
La memoria di parte ricorrente (là dove non inammissibile per
essere non già solo illustrativa delle ragioni di censura, ma anche
integrativa/emendativa delle stesse; peraltro, insistendo, da un lato, su
una prova di esistenza del titolo diversa da quella integrante l’oggetto
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Pertanto: 1) non sussiste alcuna violazione dell’art. 345 c.p.c.

del giudizio individuato dal giudice di appello e, dall’altro, sull’esistenza
di eccezione di parte, che, come detto, non è configurabile) non offre
argomenti idonei a scalfire le considerazioni che precedono.
Il ricorso va, dunque, rigettato e la società ricorrente condannata
al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del

parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014.
Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese
nei confronti dell’intimato che non ha svolto attività difensiva in
questa sede.
PER QUESTI MOTIVI
rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte
controricorrente, in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato
art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, in data 11 aprile
2018.

giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo in conformità ai

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