Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18445 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. I, 09/07/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 09/07/2019), n.18445

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25023/2018 proposto da:

O.N., elettivamente domiciliato in ROMA presso la CANCELLERIA

della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato Vittoria Lupi del Foro di Fermo;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 9041/2018 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato

il 16/07/2018.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Ancona, con ordinanza n. 9041/2018, ha respinto la richiesta di O.N., cittadino nigeriano, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ed umanitaria.

In particolare, il Tribunale ha osservato che la vicenda personale narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine, per ragioni politiche, essendo affiliato al partito PDP, che aveva perso le elezioni politiche) risultava generica e scarsamente credibile (in merito allo scontro tra fazioni politiche, avendo il partito politico avversario l’APC vinto non perso le elezioni, risultando pertanto inverosimile che tale partito non avesse accettato il risultato elettorale) e non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo stati neppure dedotti rischi di persecuzione o timori per la propria incolumità fisica, tali da non potere trovare adeguata protezione nel Paese di provenienza da parte delle Autorità locali(non rivestendo peraltro il richiedente nel partito PDP un ruolo di primo piano); quanto poi alla protezione sussidiaria, la Regione di provenienza del richiedente (l'(OMISSIS)) non era interessata da conflitti armati interni; infine, quanto alla protezione umanitaria, non emergeva, per difetto anche di allegazione di circostanze rilevanti, una situazione meritevole di protezione umanitaria.

Avverso la suddetta ordinanza, O.N. propone ricorso per cassazione, affidato cinque motivi nei confronti del Ministero dell’Interno (che resiste con controricorso).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., stante la mancata traduzione del contenuto motivazionale del provvedimento della Commissione terrritoriale, in una lingua conosciuta dal ricorrente, la lingua pidgin o la lingua inglese, essendo stato tradotto in inglese il solo dispositivo; 2) con il secondo motivo, sia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sia l’errata valutazione di norme di diritto, l’erronea valutazione dei fatti ed eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento dello status di rifugiato in rapporto alla vicenda narrate dal richiedente; 3) con il terzo motivo, la violazione dell’art. 738 c.p.c., comma 3 e ss., art. 345 c.p.c., comma 3 e ss., artt. 359 e 184 c.p.c., per non avere il Tribunale proceduto “all’assunzione della prova orale del sig. O.” e non utilizzato tutti i mezzi a disposizione per raccogliere le prove necessarie a sostegno della domanda; 4) con il quarto motivo, “la violazione di legge, l’erronea valutazione dei fatti ed eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione”, in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, per non avere il Tribunale vagliato le prove documentali offerte dal richiedente e per avere violato il D.Lgs. n. 251 del 2007, che nel trasporre la Direttiva 2004/83/CE” ha omesso di trasporre la condizione prevista dall’art. 8 della Direttiva; 5) con il quinto motivo, “la violazione di legge, l’erronea valutazione dei fatti ed eccesso di potere per carenza assoluta di motivazione”, in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria, trascurando di considerare ostativo al rientro in (OMISSIS) la vulnerabilità allegata ed il processo di integrazione avviato in Italia.

2. Il primo motivo è inammissibile.

Questa Corte ha di recente precisato (Cass. 11295/2019; Cass. 11871/2014; Cass. 24453/2011) che “in tema di protezione internazionale, l’obbligo di tradurre gli atti del procedimento davanti alla commissione territoriale, nonchè quelli relativi alle fasi impugnatorie davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, è previsto dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 10,commi 4 e 5, al fine di assicurare al richiedente la massima informazione e la più penetrante possibilità di allegazione. Ne consegue che la parte, ove censuri la decisione per l’omessa traduzione, non può genericamente lamentare la violazione del relativo obbligo, ma deve necessariamente indicare in modo specifico quale atto non tradotto abbia determinato un “vulnus” all’esercizio del diritto di difesa ed in particolare, qualora deduca la mancata comprensione delle allegazioni rese in interrogatorio, deve precisare quale reale versione sarebbe stata offerta e quale rilievo avrebbe avuto”.

Quindi, nel giudizio avente ad oggetto la richiesta di protezione internazionale e quindi non il provvedimento di diniego della Commissione territoriale, bensì la verifica della sussistenza del diritto alla protezione internazionale, la violazione degli obblighi di traduzione (al pari di quello di consegna di copia autentica) del provvedimento non rileva di per sè bensì solo nella misura in cui abbia prodotto lesione all’esercizio del diritto di difesa del richiedente.

Nel caso di specie, il ricorrente non precisa se e in che misura la mancata traduzione integrale del provvedimento di cui sopra in una lingua conosciuta abbia determinato una violazione del suo diritto di difesa, tenuto conto che lo stesso si è regolarmente difeso in tutti i gradi del giudizio.

3. Le censure di omessa motivazione o motivazione apparente, presenti nei motivi secondo, quarto e quinto, sono inammissibili.

Con riguardo al vizio di motivazione apparente, questa Corte, con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell’11 settembre 2012, ha avuto più volte modo di ribadire l’ambito della suddetta doglianza (Cass. n. 23940/2017, SSUU 8053/2014).

Il Tribunale ha valutato il materiale istruttorio emerso e la censura si risolve in un vizio di insufficiente motivazione, inammissibile. In particolare, con riguardo alle considerazioni circa la situazione generale del Paese di provenienza., che deve essere fondata sulla consultazione delle fonti informative internazionali, nel caso di specie, non sono presenti nel provvedimento impugnato le lamentate affermazioni stereotipate, genericamente riprodotte come clausola di stile, perchè vi è stata comunque una valutazione del giudice di merito compatibile con le risultanze processuali.

In ogni caso il provvedimento impugnato non è privo di motivazione, anche a prescindere dagli specifici passaggi oggetto di censura, e le affermazioni criticate attengono a passaggi argomentativi del tutto secondari, non strettamente attinenti alla ratio della decisione, sicchè comunque non è configurabile l’assunto vizio di motivazione meramente apparente.

4. Il secondo il quarto ed il quinto motivo (denominato “D”) sono inammissibili, esaurendosi nella prospettazione di censure di merito avverso le puntuali motivazioni esposte nel provvedimento impugnato, laddove il Tribunale, da un lato, ha specificato le ragioni – anche sulla base di dati tratti dalle indicate fonti di informazione – per le quali non ritiene sussistenti in (OMISSIS) le condizioni estreme previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e, dall’altro lato, ha chiarito – con valutazione di merito insindacabile in sede di verifica di legittimità – che la narrazione della vicenda personale espressa dal richiedente era inattendibile; la ritenuta inattendibilità delle circostanze evidenziate ai fini delle misure di protezione maggiori non può non rilevare anche ai fini della umanitaria. Non risultano indicate in ricorso, peraltro, ulteriori ragioni, specifiche ed individualizzate, di vulnerabilità, che fossero state allegate nel merito, diverse da quelle già esaminate in relazione alle altre misure di protezione richieste.

5. In riferimento alla violazione, contestata nel corpo del quarto motivo, del D.Lgs. n. 18 del 2014, di recepimento della Direttiva 2011/95/UE (con la quale sono state modificate alcune disposizioni della Direttiva 2004/83/CE) ed al mancato richiamo nella normativa di recepimento dell’art. 8 della Direttiva, assumendo il ricorrente che non sarebbe possibile in Italia considerare, in difetto di previsione esplicita nel recepimento della Direttiva, ai fini della verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, solo una porzione del Paese d’origine, questa Corte ha già chiarito (Cass. 28433/2018; 8399/2014; Cass.2294/2012) che ” in tema di protezione internazionale, il riconoscimento dello “status” di rifugiato politico va escluso nell’ipotesi in cui il pericolo di persecuzione non sussiste nella parte di territorio del paese di origine dalla quale proviene il richiedente, essendo tale ipotesi diversa da quella prevista dall’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, non recepita nel nostro ordinamento, in cui il pericolo di persecuzione sussiste nel territorio di provenienza, ma potrebbe tuttavia essere evitato con il trasferimento in altra parte del territorio del medesimo paese in cui tale pericolo non sussiste” (in applicazione di tale principio, questa Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la sentenza della corte d’appello che aveva escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale in considerazione del fatto che, come risultava dal rapporto di Amnesty International, la situazione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale, determinata dalle attività terroristiche del gruppo “(OMISSIS)”, non era estesa all'(OMISSIS) ed alla città di provenienza del richiedente).

Nella specie, la decisione impugnata non afferma che lo straniero deve tornare in patria per trasferirsi in zona diversa da quella di provenienza ma, al contrario, che proprio nella zona di residenza del ricorrente non sussistono situazioni di violenza e pericolo in caso di rimpatrio e pertanto la censura avanzata non coglie nel segno ed appare infondata.

6. Il terzo motivo è inammissibile, sotto vari profili.

Anzitutto il ricorso difetta di autosufficienza, in quanto il ricorrente fa generico richiamo alla mancata assunzione della “prova orale del sig. Erhabor”, senza altra specificazione.

Ove la doglianza si possa intendere come riferita alla mancata audizione del richiedente (essendosi tenuta l’udienza di comparizione, come riportato dallo stesso ricorrente, pagg. 1-2 ricorso), la censura è infondata. Questa Corte, nella recente pronuncia n. 17717/2018, dopo avere affermato che, in mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve ineluttabilmente disporre lo svolgimento dell’udienza di comparizione delle parti, configurandosi altrimenti nullità del decreto pronunciato all’esito del ricorso per inidoneità del procedimento così adottato a realizzare lo scopo del pieno dispiegamento del già richiamato principio del contraddittorio, ha chiarito che ciò non implica “automaticamente… che si debba anche necessariamente dar corso all’audizione del richiedente (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49)”, a fronte di una “domanda di protezione internazionale manifestamente infondata”.

Il che comporta che l’audizione personale del richiedente non sia necessaria quando la Commissione territoriale (la procedura di primo grado, secondo la Corte di Giustizia UE) abbia respinto la richiesta di protezione per manifesta infondatezza ed il giudice abbia ritenuto non necessario richiedere chiarimenti al cittadino straniero.

Al riguardo, questa Corte ha di recente affermato (Cass. 5973/2019) che ” nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, ancorchè non obbligatoria in base alla normativa vigente “ratione temporis” (anteriore alle modifiche intervenute con il D.L. n. 13 del 2017 con v. con modif. dalla L. n. 46 del 2017), all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero”.

In relazione poi alla mancata attivazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria, il Tribunale ha ritenuto del tutto generico ed inattendibile il rischio allegato, sia ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato sia ai fini della protezione sussidiaria, valutato anche il contesto attuale del paese d’origine, la (OMISSIS).

Vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma il Tribunale ha attivato il potere di indagine nel senso indicato.

Vengono qui richiamati i principi di diritto sul tema già espressi da questa Corte (Cass. 27593/2018; Cass. 27503/2018; Cass.29358/2018; Cass. 17069/2018; Cass. 29358/2018).

In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività: il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, limitandosi a fare una generica indicazione a risultanze dei Rapporti di Osservatori Internazionali. Nella specie, il Tribunale ha comunque fatto riferimento ad informative assunte sulla situazione sociopolitica della (OMISSIS) ed il ricorrente non dice che si trattava di informazioni non aggiornate e superate.

In ogni caso, la censura attinente alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione risulta essere assolutamente generica e, per conseguenza, priva di decisività: il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso.

7. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 12 bis.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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