Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18443 del 08/09/2011

Cassazione civile sez. I, 08/09/2011, (ud. 25/05/2011, dep. 08/09/2011), n.18443

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – rel. Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32224-2007 proposto da:

BANCO DI SICILIA S.P.A. (C.F/P.I. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEL POZZETTO 122, presso l’avvocato CARBONE PAOLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BONGIARDO ALDO, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DI B.A. (C.F. (OMISSIS)), in

persona del Curatore Avv. T.G., elettivamente

domiciliato in ROMA, V.LE GIUSEPPE MAZZINI 142, presso l’avvocato

PENNISI VINCENZO ALBERTO, che lo rappresenta e difende, giusta

procura speciale per Notaio FILIPPO AZZIA di CATANIA – Rep. n. 18855

del 19.4.2011;

– controricorrente –

contro

LA SICILCASSA S.P.A. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1235/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 30/11/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2011 dal Presidente Dott. DONATO PLENTEDA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato CARBONE che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente l’Avvocato PENNISI (preliminarmente

deposita n. 2 cartoline di avviso di ricevimento del controricorso)

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

CARESTIA Antonietta che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il fallimento di B.A. convenne con atto 10 giugno 1996 dinanzi al tribunale di Catania la società Sicilcassa spa perchè fossero dichiarate inefficaci a norma dell’art. 67 cpv., L. Fall. le rimesse attive dell’ultimo anno anteriore alla dichiarazione di fallimento e fosse condannata la convenuta al pagamento della somma di L. 29.473.530, oltre interessi.

La convenuta resistette e a seguito della liquidazione coatta amministrativa il processo fu interrotto;

fu quindi riassunto nei suoi confronti e nei confronti del Banco di Sicilia spa – Divisione Sicilcassa – e del Banco di Sicilia.

La Sicilcassa eccepì la inammissibilità della domanda perchè dalla data di insediamento dei commissari liquidatori non poteva essere perseguita alcuna azione nei confronti della procedura ed ogni pretesa avrebbe dovuto essere accertata nella forma della verifica dei crediti e perchè ai sensi del T.U.L.B. competente per le azioni civili di qualunque genere derivanti dalla liquidazione coatta amministrativa competente è il tribunale dove ha sede l’istituto bancario assoggettato alla procedura e cioè il tribunale di Palermo;

eccepì inoltre la prescrizione dell’azione e la infondatezza nel merito della pretesa.

Il Banco di Sicilia eccepì il difetto di legittimazione passiva in quanto la cessione delle attività e passività non comprendeva il credito vantato dalla curatela.

Il tribunale dichiarò inammissibile la domanda nei confronti della Sicilcassa in l.c.a. e la accolse nei confronti del Banco di Sicilia, che propose appello.

La corte di appello di Catania con sentenza 30 novembre 2006 ha confermato la decisione, ritenendo competente il tribunale della dichiarazione di fallimento del debitore autore dell’atto revocando in ordine all’esercizio dell’azione di inefficacia, limitatamente alla pronuncia relativa, e competente il tribunale che ha dichiarato insolvenza del terzo per le pronunzie di pagamento e restituzione.

Ha rilevato che la revocatoria non opera sul piano dei rapporti esistenti nel momento della dichiarazione di fallimento, come nel caso del contratto di conto corrente sciolto ex lege, ma su quello della inefficacia degli atti compiuti dal fallito prima di essa ed ha così respinto la doglianza del Banco di Sicilia in ordine alla dedotta mancata cessione, osservando con riferimento alla contestata applicabilità dell’art. 111 c.p.c. che l’atto di cessione contemplava tutti i giudizi attivi e passivi in corso.

Ha poi respinto la doglianza fondata sul disposto del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 90 (T.U.L.B.) secondo cui il cessionario risponde solo delle passività risultanti dallo stato passivo, affermando che il riferimento ad esse non esclude la cessione dei debiti derivanti dal positivo esperimento delle azioni revocatorie; quanto l’altra sulla scientia decoctionis, desunta da elementi di fatto, quali i bollettini dei protesti, la qualità dell’accipiens, l’andamento del rapporto di conto corrente e quella concernente il presupposto oggettivo, giudicata inammissibile per difetto di specificità.

Ricorre per cassazione con tre motivi il Banco di Sicilia, resiste con controricorso il fallimento.

Entrambi hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 111 c.p.c. in relazione agli artt. 62 e 78, L. Fall. e art. 90, cit.

T.U.L.B. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sulla legittimazione passiva del ricorrente.

Deduce che il credito di restituzione non può ricomprendersi tra le passività cedute, in quanto la situazione giuridica di cui la massa dei creditori è titolare non è un diritto di credito, ma un diritto potestativo, mentre il diverso diritto alla restituzione sorge solo dopo il giudicato di accoglimento.

Con il secondo mezzo sono denunziate violazione dell’art. 83, comma 3 e art. 90, comma 2, cit. T.U.L.B. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto della improseguibilità delle azioni che mirano a pronunce costitutive nei confronti della banca in liquidazione, presso il giudice ordinario, per la durata della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo, e della responsabilità del cessionario per le sole passività risultanti da esso.

Con il terzo mezzo è denunziata violazione dell’art. 67, L. Fall. e vizio di motivazione sui presupposti dell’azione revocatoria, sia soggettivo che oggettivo.

Il ricorso è inammissibile, in quanto proposto senza la formulazione dei quesiti di diritto, previsti, a pena di inammissibilità della impugnazione, dall’art. 366 bis c.p.c., introdotto con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e applicabile ai giudizi instaurati dopo la data della sua entrata in vigore (2 marzo 2006), sino alla sua abrogazione L. 18 giugno 2009, ex art. 47, comma 1, lett. d) a far tempo dal 4 luglio 2009.

La inammissibilità riguarda anche le censure formulate in termini di vizio motivazionale, essendo prive della indicazione del fatto controverso ovvero delle ragioni giustificative della inidoneità della motivazione a sorreggere il decisum, come previsto dal citato 366 bis c.p.c..

La norma infatti stabilisce che “nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 la illustrazione di ciascun motivo deve contenere a pena di inammissibilità la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”. E giurisprudenza di questa Corte secondo cui, al fine di rendere appropriato il motivo con il quale si denunzia il vizio di motivazione, è necessario che la illustrazione venga corredata da una sintetica esposizione del fatto controverso, degli elementi valutati in mondo illogico e logicamente trascurati, del percorso in base al quale si sarebbe dovuto pervenire alla decisione se l’errore non vi fosse stato. La censura infatti deve contenere un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto contemplato per le ipotesi di denunzia di violazione di norme di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. SS.UU. 25.117/2008; 26.014/1008; 20603/2008;

Cass. 4556/2009; 4589/2009, 8897/2008; 4646/2008; 2652/2008); e deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, al punto che non è possibile ritenere la norma rispettata quando solo la completa lettura della complessiva illustrazione – nella specie i tre mezzi sono stati articolati in dieci fogli – del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito di cui si tratta, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assume omessa, contraddittoria o insufficiente la motivazione e quali siano le ragioni per le quali essa è conseguentemente inidonea a sorreggere la motivazione (Cass. 16.002/2007; 4309/2008; 4311/2008; SS.UU. 20603/2007).

Il ricorrente, pur rubricando le tre censure sotto il profilo del triplice vizio di motivazione, le ha discusse criticando nel merito e in punto di fatto le determinazioni della corte territoriale, in alcuni passaggi identificando i vizi lamentati in errori valutativi, piuttosto che in carenze motivazionali, nè ha indicato i profili di rigorosa rilevanza dei fatti controversi rispetto al decisum, essendosi limitato ad enunciare la omissione, la insufficienza e la contraddittorietà della motivazione quale premessa maggiore del sillogismo che avrebbe dovuto portare alla soluzione del problema, mancando poi di specificare la premessa minore, cioè i fatti rilevanti di cui vi sarebbe stata omissione e di svolgere il momento di sintesi attraverso il quale poter cogliere la fondatezza della censura (Cass. 16528/2008).

Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano a carico del ricorrente in Euro 1.700,00, di cui 200,00 per esborsi e 1.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese processuali in Euro 1.700,00, di cui 200,00 per esborsi e 1.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2011

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