Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18442 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. I, 09/07/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 09/07/2019), n.18442

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24299/2018 proposto da:

C.E., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Paolo Cognini in forza di procura in speciale

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, Avvocatura Generale

dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 18/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/06/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis depositato il 9/2/2018 C.E., cittadino (OMISSIS), ha impugnato dinanzi al Tribunale di Ancona – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE – il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente, di etnia (OMISSIS) e di religione (OMISSIS), nato nell'(OMISSIS) e vissuto a (OMISSIS), ha dichiarato di essere un sostenitore del movimento indipendentista del (OMISSIS) ((OMISSIS)) e di aver partecipato nell’aprile 2014 nella sua città ((OMISSIS)) a una manifestazione (anche armata) indetta insieme al (OMISSIS) per protestare contro l’arresto di un suo leader; dopo due settimane la polizia aveva intrapreso i rastrellamenti, cosa che aveva portato, tra l’altro, all’arresto, del fratello D., torturato e assassinato in prigione; di essersi trasferito a (OMISSIS) e di essere stato arrestato, in occasione di un controllo di polizia nell’ottobre del 2015, perchè trovato in possesso della tessera dell'(OMISSIS); di essere stato picchiato e torturato e quindi rilasciato su cauzione, e di aver quindi lasciato il Paese il 5/11/2015.

Con decreto del 18/7/2018 il Tribunale di Ancona ha rigettato il ricorso, negando la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di qualsiasi forma di protezione.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso C.E., con atto notificato il 3/8/2018, con il supporto di unico motivo.

L’intimata Amministrazione dell’Interno ha resistito con controricorso notificato il 12/9/2018 chiedendo il rigetto dell’impugnazione avversaria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione di legge in punto protezione umanitaria, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 32, commi 3, 8 e 9 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, commi 1 e 1 bis nonchè art. 8 CEDU.

1.1. Il ricorrente sottolinea che la protezione umanitaria costituisce un istituto residuale di chiusura, insuscettibile di essere ricondotto a una codificazione specifica dei motivi tutelabili da valutare, che si colloca pur sempre nell’area dei diritti soggettivi.

Nel decreto il Tribunale ha escluso la rilevanza del percorso di integrazione seguito dal richiedente sulla base di parametri inconferenti, quali l’entità della retribuzione percepita in rapporto alla misura dell’assegno sociale e il carattere a tempo determinato del rapporto di lavoro, senza valutare il carattere significativo del progetto esistenziale perseguito dal ricorrente attraverso l’impegno lavorativo, valutato negativamente come estemporaneo e strumentale con argomentazioni del tutto illogiche.

La definizione di integrazione sociale adottata dal Tribunale era contraddittoria rispetto alla sua applicazione nella fattispecie concreta, perchè i molteplici indicatori citati dal Tribunale ricorrevano oggettivamente ed erano stati comprovati nel caso concreto dal ricorrente.

Era infine mancata la contestualizzazione della situazione di violazione dei diritti umani in (OMISSIS) a cui andava opportunamente parametrata la valutazione del rischio connesso al rimpatrio.

1.2. Il motivo, prospettato con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, per dedurre violazione di legge, in realtà si risolve in una mera manifestazione di dissenso del ricorrente rispetto alla valutazione espressa dal Giudice di merito in ordine ai fatti acquisiti rilevanti ai fini della concessione della protezione umanitaria.

Il Tribunale ha dapprima riassunto la disciplina della protezione umanitaria, quale misura di tutela integrativa e residuale di diritto interno, riconducibile alla previsione di cui all’art. 6, comma 4 della Direttiva 2008/115/CE, svincolata dalle misure di protezione maggiori, status di rifugiato e protezione sussidiaria, e volta a tutelare situazioni di vulnerabilità non tipizzate alla luce degli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato italiano e si è richiamato poi ai più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità.

1.3. Al proposito questa Corte ha chiarito che i seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali cui il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, sono accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

La condizione di vulnerabilità può avere ad oggetto anche le condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa. Al fine di verificare la sussistenza di tale condizione, non è sufficiente l’allegazione di una esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

Il livello di integrazione dello straniero in Italia e il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del richiedente deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente stesso, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la sua situazione particolare, ma quella del suo Paese di origine in termini generali e astratti, in contrasto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il riconoscimento della protezione umanitaria al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale in Italia, non può pertanto escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine. Tale riconoscimento deve infatti essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Sez. 1, 23/02/2018, n. 4455).

1.4. Nella fattispecie nel p. 6.11., pag.8-11, del decreto impugnato il Tribunale ha escluso la sussistenza di problematiche soggettive implicanti una particolare vulnerabilità del ricorrente e comunque un livello significativo di compromissione dei diritti umani fondamentali nel Paese di provenienza (la (OMISSIS)) la cui situazione generale aveva in precedenza analizzato alla luce di varie fonti internazionali, debitamente riassunte e citate; ha inoltre valutato le condizioni di socio economica del richiedente nel nostro paese, esprimendo al proposito un giudizio di fatto non sindacabile in sede di legittimità.

Le osservazioni, comunque ampiamente articolate e motivate, del Tribunale circa l’insufficienza ai fini della dimostrazione di un apprezzabile grado di integrazione sociale in Italia dell’esistenza di un rapporto di lavoro (a tempo determinato e retribuito con un corrispettivo inferiore all’assegno sociale) non sono in contrasto con la legge e la giurisprudenza di legittimità che, come sopra ricordato, non ritiene sufficiente di per sè nè l’integrazione sociale, nè tantomeno la sola esistenza di un rapporto di lavoro a giustificare la concessione della protezione umanitaria.

2. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato a rifondere le spese al controricorrente, liquidate come in dispositivo.

Poichè risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere stata ammessa al Patrocinio a spese dello Stato non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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