Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18441 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. I, 09/07/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 09/07/2019), n.18441

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24263/2018 proposto da:

C.K., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Giovanni Ciacci, in forza di procura in

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 29/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/06/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 bis depositato il 4/1/2018 C.K., cittadino (OMISSIS), ha impugnato dinanzi al Tribunale di Ancona – Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini UE – il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il ricorrente ha dichiarato di aver lasciato il proprio Paese perchè minacciato di morte dalla sua stessa famiglia e dagli abitanti del suo villaggio per aver tentato di impedire il matrimonio imposto alla sorella con un uomo molto più anziano e di essere fuggito con la sorella, che tuttavia era morta nel corso del massacrante viaggio migratorio.

Con decreto del 29/6/2018 il Tribunale di Ancona ha rigettato il ricorso, negando la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di qualsiasi forma di protezione.

2. Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso C.K., con atto notificato il 6/8/2018, con il supporto di due motivi. L’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 3, il ricorrente denuncia in primo luogo nullità della sentenza per omessa pronuncia su di un motivo di ricorso e omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti; lamenta inoltre violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,comma 3 e art. 32, al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5,7,14 al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 25 nonchè vizio di motivazione in ordine alla mancata considerazione della credibilità delle dichiarazioni del ricorrente e all’omessa attivazione di doveri informativi officiosi.

1.1. Il ricorrente osserva che quando viene riferita dal richiedente asilo una situazione intrinsecamente credibile di reiterata esposizione ad attentati alla sua vita, nel disinteresse delle autorità statuali che non attuano misure di contrasto e in situazione di endemica violenza, il giudice deve procedere di ufficio a tutti gli accertamenti necessari per verificare tale situazione attraverso i canali previsti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 eventualmente integrati da altre fonti qualificate.

1.2. Il ricorrente assume un vizio di omessa pronuncia su di un motivo di ricorso, palesemente insussistente, poichè il Tribunale di Ancona ha esaminato e respinto tutte le richieste di protezione avanzate dal sig. K..

Il ricorrente lamenta omesso esame di fatto decisivo controverso fra le parti, senza neppur identificare il fatto pretermesso e chiarire la portata del preteso vizio motivazionale.

Indi il ricorrente prospetta, in modo del tutto generico, una imponente serie di violazione di norme giuridiche, in difetto di qualsiasi collegamento con le affermazioni del provvedimento impugnato che le avrebbero concretate e tantomeno senza spiegarne le ragioni.

Il Tribunale non si è sospinto a una valutazione di non credibilità delle dichiarazioni del richiedente (al cui proposito in modo anodino si è limitato a considerare le sue dichiarazioni “anche laddove credibili”, a pagina 4, primo paragrafo) e ha sostenuto che la vicenda riferita dal K., comunque mono-episodica, aveva natura privata e di giustizia comune, che i timori personali del richiedente erano privi di riscontro e non sussisteva una condizione oggettiva di pericolo.

A tale riguardo le censure del ricorrente e le lamentele del tutto generiche circa la mancata acquisizione officiosa di informazioni aggiornate da parte del Giudice cadono nel vuoto, poichè non affrontano e non confutano la ratio decidendi opposta dal provvedimento del Tribunale anconetano.

2. Con il secondo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3 il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.

2.1. Il Tribunale aveva ritenuto che il permesso per motivi umanitari potesse essere riconosciuto solo in correlazione con una situazione di vulnerabilità soggettiva del richiedente; al contrario occorreva chiedersi se fosse possibile il rimpatrio del richiedente in piena dignità; inoltre occorreva considerare la situazione di compromissione dei diritti umani e libertà fondamentali nel Paese di origine e la mancanza di mezzi di sostentamento, tenuto conto della riconducibilità della tutela umanitaria alla matrice costituzionale del diritto di asilo ex art. 10 Cost., comma 3.

2.2. Il Tribunale si è conformato ai principi seguiti da questa Corte, secondo cui i seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali cui il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, sono accumunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

La condizione di vulnerabilità può avere ad oggetto anche le condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa. Al fine di verificare la sussistenza di tale condizione, non è sufficiente l’allegazione di una esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, ma è necessaria una valutazione comparativa tra la vita privata e familiare del richiedente in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza e alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

Nè il livello di integrazione dello straniero in Italia nè il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del medesimo integrano, se assunti isolatamente, i seri motivi umanitari alla ricorrenza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Da un lato, infatti, il diritto al rispetto della vita privata, sancito dall’art. 8 CEDU, può subire ingerenze da parte dei pubblici poteri per il perseguimento di interessi statuali contrapposti, quali, tra gli altri, l’applicazione e il rispetto delle leggi in materia di immigrazione, in modo particolare nel caso in cui lo straniero non goda di un titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che venga definita la sua domanda di determinazione dello status di protezione internazionale. Dall’altro, il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del richiedente deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente stesso, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la sua situazione particolare, ma quella del suo Paese di origine in termini generali e astratti, in contrasto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il riconoscimento della protezione umanitaria al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale in Italia, non può pertanto escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine. Tale riconoscimento deve infatti essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Sez. 1, 23/02/2018, n. 4455). Nella specie il Tribunale ha escluso la sussistenza di una particolare condizione soggettiva di vulnerabilità del ricorrente in caso di rimpatrio, anche sotto il profilo dei bisogni e delle esigenze ineludibili di vita, ha considerato le condizioni generali del Paese di provenienza, ampiamente valutate nella loro positiva evoluzione, ha ritenuto ininfluente il mutamento delle condizioni familiari fra il contesto italiano e quello del paese di origine, anche prescindendo dalla evidenti contraddizioni circa la perdurante esistenza in vita della sorella con cui aveva intrapreso il viaggio.

3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese in difetto di costituzione dell’Amministrazione.

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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