Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18439 del 01/08/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 18439 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 7059-2010 proposto da:
GENEDIL S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (c.f. 00908821002),
in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALLE DELLA

Data pubblicazione: 01/08/2013

MULETTA 120, presso l’avvocato FIORE FRANCESCO
PAOLO, che la rappresenta e difende, giusta procura
2013

a margine del ricorso;
– ricorrente-

1072

contro

COMUNE DI PALIANO (c.f. 00274400605), in persona del

1

Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA LEONE IV 38, presso l’avvocato DI VITO
RAIMONDO, rappresentato e difeso dagli avvocati
BIANCHI DOMENICO, BIANCHI PIETRO, giusta procura a
margine del controricorso;
controricorrente

avverso la sentenza n. 348/2009 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/01/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/06/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
PIETRO LAMORGESE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato FRANCESCO PAOLO
FIORE che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’inammissibilità o in subordine 4rigetto del
ricorso.

2

Svolgimento del processo
,

Con atto di citazione notificato nel febbraio 1992, la
società Genedil, appaltatrice di un contratto avente ad
oggetto i lavori di riqualificazione del centro storico

del Comune di Paliano, aveva convenuto in giudizio il
predetto Comune, deducendo l’illegittimità della
deliberazione della Giunta n. 615 del 4 dicembre 1991 di
rescissione del contratto per inadempimento della società
appaltatrice, ai sensi e per gli effetti dell’art. 27 del
r.d. 25 maggio 1895 n. 350, e chiedendone la condanna al
pagamento delle somme dovute e al risarcimento dei danni.
La società aveva dedotto che, a causa di ripetute
sospensioni dei lavori, aveva iscritto numerose riserve
.., che concernevano anche importi dovuti per lavori non
contabilizzati; aveva anche dedotto l’illegittimità di
alcuni ordini di servizio (n. 2,

7,

8) con cui il

direttore dei lavori aveva intimato l’esecuzione di taluni
lavori e il rifacimenti di altri.
Con un distinto atto di citazione il Comune di Paliano
aveva chiesto la condanna della società Genedil convenuta
al risarcimento dei danni, deducendo la legittimità del
provvedimento di rescissione, in considerazione dei
notevoli errori commessi dalla società appaltatrice
nell’esecuzione delle opere.
“I•

3

Il Tribunale di Frosinone, riuniti i giudizi, accoglieva
le domande della società, rigettava quelle del Comune e lo
condannava al pagamento di E 148.273,50.
L’appello proposto dal Comune di Paliano veniva accolto

dalla Corte di appello di Roma che, con sentenza 26
gennaio 2009, giudicava legittima la rescissione del
contratto di appalto, rigettava le altre domande delle
parti e compensava le spese di entrambi i gradi del
giudizio.
La Genedil propone ricorso per cassazione articolato in
tre motivi e notificato in data 11 marzo 2010. Il Comune
di Paliano resiste con controricorso illustrato da
memoria.
Motivi della decisione
Vanno esaminate e respinte le preliminari eccezioni di
inammissibilità del ricorso sollevate dal Comune
controricorrente: il difensore della società Genedil (avv.
Francesco Paolo Fiore) ha depositato, a norma dell’art.
372 c.p.c., il certificato rilasciato dal Consiglio
nazionale forense attestante la sua iscrizione, dal 24
ottobre 2008, nell’Albo speciale degli avvocati ammessi al
patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione e alle altre
magistrature superiori; inoltre, la procura speciale è
valida, essendo stata conferita a margine del ricorso e
con specifico riferimento al giudizio di legittimità
4

avente ad oggetto l’impugnazione della sentenza indicata
nell’intestazione del ricorso.
Nel primo motivo,

per insufficiente e inadeguata

motivazione, la ricorrente si duole della decisione della

corte territoriale di avere ingiustamente preferito le
conclusioni del primo c.t.u. (in sede di accertamento
tecnico preventivo) a quelle del secondo c.t.u. nominato
successivamente nel giudizio di primo grado; ne evidenzia
la lacunosità motivazionale per non avere considerato che
la società si era sempre attenuta alle richieste del
direttore dei lavori, come risulterebbe dal giornale dei
lavori (in particolare dal verbale n. 67 del 25 luglio
1990) salvo poi contestarle; inoltre illegittimo era
l’operato dall’Amministrazione che aveva deliberato la
rescissione del contratto sulla base di contestazioni
riferite a una modesta percentuale di lavori (nove
miliardi su un totale di cinquanta). Il motivo si conclude
con una sintesi nella quale si giustifica il vizio
motivazionale per avere accertato l’inadempimento
dell’impresa “dando prevalenza ad uno rispetto all’altro
degli esperiti accertamenti tecnici d’ufficio, senza
sufficiente ed adeguata motivazione, condividendo
inopinatamente l’accertamento tecnico preventivo, che pure
non ha considerato l’emergenza del giornale dei lavori, là
dove è rappresentato che le opere asseritamente male
5

eseguite dall’impresa appaltatrice erano state realizzate
secondo le disposizioni e le indicazioni della Direzione
dei Lavori”.
Il predetto motivo va esaminato congiuntamente al secondo,

formulato per insufficiente e inadeguata motivazione, nel
quale si assume l’insussistenza dei presupposti di grave
negligenza, frode e contravvenzione ai patti e alle
condizioni contrattuali per fare luogo alla rescissione
del contratto d’ufficio. Esso si conclude con una sintesi
nella quale si chiede a questa Corte di dire “che, ai fini
della ritenuta legittimità della rescissione da parte
della pubblica amministrazione di un contratto di appalto
di opera pubblica, non può ritenersi sufficientemente ed
adeguatamente motivato l’accertamento della gravità
dell’inadempimento

dell’impresa

appaltatrice,

senza

valutazione alcuna di quell’inadempimento, nel quadro
dell’economia generale del contratto d’appalto e senza
considerare che tale inadempimento investiva meno del 5%
di tutti i lavori eseguiti” (sulla base del raffronto tra
l’importo

contabilizzato per

il

rifacimento della

pavimentazione e quello globale dei lavori eseguiti).
Prima di esaminare i predetti motivi è necessario
ripercorrere l’iter argomentativo posto dalla corte di
merito a sostegno della decisione impugnata.

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In particolare, la corte ha valorizzato le conclusioni
rese dal primo consulente (in sede di accertamento tecnico
preventivo e di prima c.t.u.) che aveva accertato le
pessime condizioni della pavimentazione realizzata dalla

società Genedil non a regola d’arte, anche a causa degli
scorretti metodi di posa in opera della pavimentazione (i
selci risultavano in alcuni punti completamente divelti
con creazione di buche sul fondo stradale, ecc.), rispetto
alle conclusioni del secondo consulente nominato dal
tribunale il quale, a distanza di anni dall’integrale
rifacimento delle opere, aveva superficialmente disatteso
le puntuali osservazioni e valutazioni del primo
consulente e si era limitato a rilevare che il direttore
dei lavori aveva accettato i materiali utilizzati. La
corte ha rilevato che, anche a prescindere dalla questione
della qualità dei materiali, era onere della società
attrice dimostrare di avere proceduto correttamente alla
posa in opera della pavimentazione, senza che elementi
utili a tal fine potessero desumersi dal giornale dei
lavori. Inoltre la società non poteva disattendere gli
ordini di servizio (n. 8 e 9) del direttore dei lavori,
sicché bene aveva fatto il Comune a deliberare la
rescissione del contratto e a pretendere il rifacimento
della pavimentazione, a norma degli artt. 350 del r.d. n.
340 del 1895

(rectius:

340 della legge n. 2248 del 1865,
7

all. F, e 26-27 del r.d. n. 350 del 1895), 12 e 23 del
d.P.R. n. 1063 del 1962 (espressamente richiamato nel
contratto). Infine le domande di pagamento per le quali la
società aveva iscritto numerose riserve sono state

ritenute infondate e quindi rigettate.
Tale motivazione si sottrae alle critiche che le sono
state rivolte dalla società ricorrente, la quale prospetta
una valutazione, non consentita in questa sede, delle
questioni di fatto e di diritto in senso difforme da
quella operata dal giudice di merito, senza lo svolgimento
di argomentate critiche alla completezza e logicità delle
ragioni della decisione e al sostanziale scopo di ottenere
un nuovo giudizio di merito non consentito in questa sede.
Ciò con riguardo all’esecuzione degli ordini di servizio
del direttore dei lavori, alle risultanze del giornale dei
lavori e alla valutazione di gravità dell’inadempimento
(inoltre non risulta se e in quale momento processuale la
circostanza della modesta rilevanza percentuale delle
obbligazioni inadempiute o contestate rispetto al totale
sia stata prospettata dinanzi ai giudici di merito).
Inoltre la motivazione fornita a proposito della
preferenza accordata alle conclusioni del primo consulente
rispetto a quelle del secondo consulente è basata su
considerazioni adeguate, in ordine alla valenza oggettiva
dei vari elementi di giudizio risultanti dagli atti e su
8

razionali valutazioni di essi, nell’ambito di un potere
discrezionale di apprezzamento che è immune dalle censure
ipotizzabili a norma dell’art. 360 n. 5 c.p.c.
Nel terzo motivo è censurata la motivazione di rigetto

insufficiente e inadeguata, per avere il giudice di merito
aderito alle conclusioni del primo consulente anziché a
quelle del secondo consulente.
Il motivo è inammissibile in quanto sfornito di un momento
di sintesi logico-giuridica della questione idonea a
circoscriverne puntualmente il contenuto e i limiti, a
norma dell’art. 366

bis

c.p.c. (applicabile

ratione

temporis).
Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle
spese liquidate in E 6700, di cui E 6500 per compensi,
oltre accessori dovuti per legge.
Roma, 18 giugno 2013.
L’estensore

Il Presidente

delle riserve iscritte dalla società, che si assume

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