Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18438 del 01/08/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 18438 Anno 2013
Presidente: CARNEVALE CORRADO
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 25286-2008 proposto da:
IMPRESA SALVATORE PERRINO (c.f. PRRSVT28Al2B809G),
in persona del titolare pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA DELL’OROLOGIO 7, presso

Data pubblicazione: 01/08/2013

l’avvocato MARCONE NICOLA, che la rappresenta e
difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –

2013
1070

contro

CONSORZIO SPECIALE PER LA BONIFICA DI ARNEO (C.F.
82001150752), in persona del legale rappresentante

1

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
COSSERIA 2, presso il dott. ALFREDO PLACIDI,
rappresentato e difeso dall’avvocato QUINTO PIETRO,
giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente

D’APPELLO di LECCE, depositata il 04/12/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 18/06/2013 dal Consigliere
Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato NICOLA MARCONE
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato FAUSTO
BUCCELLATO, con delega, che ha chiesto il rigetto
del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. IMMACOLATA ZENO che ha concluso per
l’inammissibilità dei motivi secondo, quarto e
quinto; in subordine rigetto di tutti i motivi di

avverso la sentenza n. 785/2007 della CORTE

ricorso.

2

Svolgimento del processo
Il Tribunale di Lecce, con sentenza 29 gennaio 2004,
accolse la domanda dell’impresa Ferrino, appaltatrice
dei lavori di costruzione dell’impianto irriguo Nanni in

agro di Nardò, di condanna del Consorzio per la Bonifica
di Arneo al pagamento di un importo revisionale (per
lavori di ampliamento del comprensorio irriguo eseguiti
in attuazione di una perizia di variante) calcolato
dalla data dell’originario contratto di appalto (20
gennaio 1975), sul presupposto che l’atto di
sottomissione del 14 ottobre 1977 non costituisse un
nuovo contratto ma una mera integrazione di quello
originario; inoltre riconobbe all’impresa gli interessi
per ritardato pagamento dei compensi dovuti (per rate di
acconto e SAL) e gli interessi maturati successivamente.
I predetti capi della sentenza del tribunale sono stati
riformati dalla Corte di appello di Bari, con sentenza 4
dicembre 2007, che ha accolto l’appello del Consorzio.
La corte ha ritenuto che, poiché i lavori che erano
oggetto dell’atto di sottomissione superavano la misura
del quinto dell’importo originario (£. 135.134.691
rispetto alle originarie £. 88.135.475), tale atto
integrava un nuovo contratto, sicché il computo
revisionale decorreva dalla data dell’atto di
sottomissione e non da quella dell’originario contratto,
3

non rilevando né che l’impresa avesse manifestato la
disponibilità all’esecuzione dei predetti lavori già in
data 20 settembre 1976, né che i lavori aggiuntivi
fossero analoghi a quelli principali che erano oggetto

del contratto originario. Inoltre la corte ha riformato
il capo decisorio che aveva riconosciuto interessi da
essa giudicati come anatocistici perché maturati ex
artt. 35 e 36 del d.P.R. n. 1063 del 1962 sugli
interessi scaduti.
L’impresa Perrino propone ricorso per cassazione
articolato in cinque motivi. Il Consorzio resiste con
controricorso.
Motivi della decisione
1.- Nel primo motivo è censurata la decisione di fare
decorrere il computo revisionale dalla data dell’atto di
sottomissione

anziché

da

quella

dell’originario

contratto, in violazione degli artt. 344 della legge n.
2248 del 1865, all F, e 14 del d.P.R. n. 1063 del 1962,
avendo la corte di merito erroneamente ravvisato il
sorgere di un nuovo contratto nel dato aritmetico del
superamento del quinto d’obbligo, senza considerare che
i lavori aggiuntivi erano analoghi a quelli del
contratto originario e così anche i prezzi applicati.
1.2.- Il motivo è infondato. La corte di merito ha fatto
corretta applicazione del principio secondo cui “in tema
4

di appalto pubblico ed in applicazione degli artt. 344
della legge n. 2248, all. F), del 1865, e 14 del d.P.R.
n. 1063 del 1962, qualora l’amministrazione appaltante
richieda lavori diversi da quelli considerati in

contratto, in variante dell’opera appaltata, per un
importo di oltre un quinto a quello stabilito, la
richiesta medesima non si correla ad un potere
dell’amministrazione cui corrisponda un obbligo
dell’appaltatore; pertanto, l’accordo fra le parti per
l’esecuzione di tale variante (a mezzo di atto di
sottomissione dell’appaltatore alla richiesta
dell’amministrazione o di atto aggiuntivo) deve
parificarsi a quello che abbia ad oggetto lavori
extracontrattuali in senso stretto e qualificarsi come
un nuovo ed autonomo contratto modificativo del
precedente” (Cass. n. 8094 del 2000, n. 13068 del 2003,
n. 12416 del 2004). Ciò che rileva non è il dato
inerente alla qualità o all’entità delle lavorazioni, ma
solo quello quantitativo inerente al raffronto tra
l’importo dei lavori stabilito in contratto e quello dei
lavori richiesti dall’amministrazione.
2.

Nel secondo motivo la sentenza impugnata è censurata

per omessa motivazione sul punto della omogeneità
qualitativa dei lavori aggiuntivi rispetto a quelli

5

originari, al fine di escludere la natura di contratto
autonomo dell’atto di sottomissione.
2.1.- L’infondatezza del suddetto motivo – peraltro
sprovvisto del necessario momento di sintesi ex art. 366
c.p.c.

(ratione temporis

applicabile nella

bis

fattispecie) – è diretta conseguenza della infondatezza
di quello precedente.
3.- Nel terzo motivo si censura la decisione sulla
decorrenza del computo revisionale che dovrebbe essere
riconosciuta quantomeno dalla data del 20 settembre 1976
cui si fa risalire un diverso atto di sottomissione
sottoscritto dalle parti. Nel quarto motivo, che va
esaminato congiuntamente al terzo, la sentenza impugnata
è censurata per omessa motivazione nella parte che
avrebbe escluso la validità dell’atto di sottomissione
del 20 settembre 1976, del quale quello del 4 ottobre
1977 sarebbe meramente ricognitivo.
3.1.- Entrambi i motivi sono infondati perché si basano
su dati di fatto che non trovano riscontro nella
sentenza impugnata.
La corte del merito ha accertato in fatto che l’atto di
sottomissione, rilevante ai fini della decorrenza del
computo revisionale, risale al 14 ottobre 1977, mentre
alla data del 20 settembre 1976 risulta soltanto una
manifestazione di “disponibilità dell’impresa
6

all’esecuzione dei lavori [di cui alla prima variante]”
e non un valido atto di sottomissione sottoscritto da
entrambe le parti.

Inoltre la corte di appello ha

giudicato la suddetta disponibilità manifestata

dall’impresa “priva di valore” poiché l’autorizzazione
all’aggiudicazione all’impresa Perrino fu data dalla
Regione Puglia solo successivamente (in data 2 giugno
1977) e tale statuizione non è stata specificamente
censurata.
4.- L’oggetto della censura esposta nel quinto motivo è
la decisione relativa agli interessi, che avrebbe
falsamente applicato gli artt. 1283, 1194, 1219, comma
2, c.c. e 4 della legge n. 741 del 1981, poiché non
avrebbe considerato che gli interessi maturati ex artt.
35 e 36 del d.P.R. n. 1063 del 1962, una volta che
l’Amministrazione abbia estinto il debito principale
(per acconti e SAL), acquisterebbero a loro volta natura
di sorte capitale e diverrebbero produttivi di ulteriori
interessi.
4.1.- Il motivo è infondato, avendo la corte del merito
fatto corretta applicazione del principio, dal quale non
vi è ragione di discostarsi, secondo cui “a tutte le
obbligazioni aventi ad oggetto originario il pagamento
di una somma di denaro sulla quale spettino interessi di
qualsiasi natura, compresi quelli di cui agli artt. 35 e
7

36 del Capitolato generale d’appalto per le opere
pubbliche, approvato con d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063,
è applicabile, in mancanza di usi contrari, la regola
dell’anatocismo dettata dall’art. 1283 c.c., dovendo

stata adempiuta l’obbligazione principale, si configuri
come una qualsiasi obbligazione pecuniaria, dalla quale
derivi il diritto agli ulteriori interessi dalla mora
nonché al risarcimento del maggior danno ex art. 1224,
comma 2, c.c.” (Cass., sez. un., n. 9653 del 2001; n.
10680 del 2006).
5.- Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle
spese che liquida in 6700, di cui E 6000,00 per
compensi.
Roma, 18 giugno 2013.
Il Presidente

escludersi che il debito per interessi, anche quando sia

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