Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18437 del 26/07/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 26/07/2017, (ud. 14/02/2017, dep.26/07/2017),  n. 18437

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9238/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) a r.l., in persona del curatore,

C.M.L.;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sardegna, n. 48/08/2011, depositata in data 22 febbraio 2012;

Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 14 febbraio 2017

dal Cons. Lucio Luciotti;

Udito l’avv. Giancarlo Caselli, per l’Avvocatura Generale dello

Stato;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Basile Tommaso, che ha concluso chiedendo l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 48 del 22 febbraio 2011 la Commissione Tributaria Regionale della Sardegna, in accoglimento della domanda avanzata in via subordinata dalla (OMISSIS), società consortile a r.l., ora in fallimento, e respingendo l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate, riteneva che l’aliquota IVA applicabile alle fatture emesse dalla predetta società consortile nell’anno di imposta 2005 per ribaltare alle due società consorziate, (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.r.l., i costi sostenuti nell’esecuzione del contratto di appalto per la gestione dei rifiuti solidi urbani e lo spazzamento delle strade, stipulato con il Comune di Sassari, fosse quella agevolata del 10% prevista dal n. 127 sexiesdecies della Tabella A, Parte 3^ del D.P.R. n. 633 del 1972 e che l’andamento della causa avesse evidenziato incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo delle disposizioni in materia, tale da escludere l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8.

2. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate sulla base di tre motivi. L’intimata non spiega difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, con cui è dedotta la falsa applicazione dell’art. 127 sexiesdecies, Tabella A, Parte 3 del D.P.R. n. 633 del 1972, nonchè la violazione dell’art. 3, comma 3 medesimo decreto, la ricorrente Agenzia delle entrate lamenta l’erronea estensione, operata dai giudici di merito, dell’aliquota agevolata del 10%, prevista dalla citata disposizione per le prestazioni di gestione dei rifiuti, anche ai costi di esecuzione del contratto stipulato con l’ente pubblico che la predetta società consortile ribaltava alle società consorziate, ritenendo che il servizio richiesto alla società consortile dalle due società riunite in ATI è complessivo e perciò non frazionabile in fase di ribaltamento dei costi. Nel precisare che nel caso di specie erano le società consorziate ad emettere fattura con aliquota agevolata nei confronti dell’ente appaltante per i costi che la società consortile aveva sostenuto per l’esecuzione delle prestazioni contrattuali, sostiene la ricorrente che in fase di ribaltamento dei costi alle consorziate, la società consortile avrebbe dovuto emettere fattura ad aliquota ordinaria di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 16trattandosi di fatturazione di corrispettivo di una normale prestazione di servizi ex art. 3, comma 1 D.P.R. citato.

2. Il motivo è infondato e va rigettato.

3. Dalla verifica fiscale a carattere generale effettuata nei confronti della (OMISSIS), società consortile a r.l., costituita dalla consorziate (OMISSIS) s.p.a. ed (OMISSIS) s.r.l., compendiata in apposito processo verbale di constatazione, emergeva che la predetta società consortile, costituita successivamente alla concessione in appalto da parte del Comune di Sassari alle società consorziate, all’epoca riunite in ATI, del servizio di igiene urbana, più precisamente di gestione dei rifiuti solidi urbani e di spazzamento delle strade, eseguiva le prestazioni previste dal predetto contratto di appalto provvedendo quindi a ribaltare i costi, in parti uguali, sulle due consorziate, emettendo fattura con la medesima aliquota agevolata che queste ultime applicavano sulle fatture che a loto volta emettevano nei confronti del Comune appaltante.

3.1. La pretesa fiscale, pertanto, si fonda sul rilievo che la società consortile avrebbe illegittimamente fatturato con l’aliquota agevolata prevista per le prestazioni inerenti la gestione dei rifiuti solidi urbani dal n. 127 sexiesdecies della Tabella A, Parte 3 del D.P.R. n. 633 del 1972, le prestazioni rese alle imprese consorziate, avvalendosi del medesimo regime di agevolazione che, secondo la tesi di parte ricorrente, sarebbe invece applicabile esclusivamente al rapporto tra società consorziate ed ente appaltante, non estensibile al ribaltamento dei costi sostenute dalla prima nei confronti delle singole società consorziate. Tale tesi poggia prevalentemente su alcuni precedenti di prassi, tra cui, in particolare, la risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 355/E del 14/11/2002, in cui, sia pure con riferimento ad un’operazione non imponibile ai fini IVA (in quel caso prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 9, comma 1, punto 6, per opere di manutenzione portuale), ai fini di un corretto inquadramento del trattamento IVA relativo al “ribaltamento” degli oneri, dal consorzio ai consorziati, si fa presente che la stessa operazione di riaddebito dei costi ed i conseguenti adempimenti di natura contabile consentono di identificare, nel consorzio medesimo ed in ciascuna delle imprese consorziate, dei differenti centri di imputazione di interessi giuridici ed economici, aventi distinti obblighi di rendicontazione ed autonome soggettività tributarie, con la conseguenza che il beneficio fiscale, in assenza di una specifica previsione normativa che lo consenta, non può essere autonomamente esteso dalle operazioni considerate come agevolabili per espressa disposizione legislativa, oggetto del rapporto di appalto tra l’ente e le imprese appaltatrici, alle operazioni effettuate nei confronti di queste ultime da parte del consorzio. Argomentazione, questa, ripresa da Cass. n. 3556 del 2010, in cui si è affermato che quello intercorrente tra le imprese consorziate ed il consorzio è “un autonomo rapporto giuridico, riconducibile al mandato, in forza del quale il Consorzio si incarica di rendere al committente le prestazioni ad esso dovute dalle imprese appaltatrici. Tali prestazioni, come precisa del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3 u.p. devono considerarsi rilevanti ed imponibili anche nei confronti del mandante. Ed in assenza di una specifica previsione normativa che lo consenta, non può estendersi ad esse il beneficio nella specie di causa – dell’aliquota agevolata accordata al percettore dei servizi di gestione dei rifiuti urbani in forza del contratto di appalto e fatturati dalle singole imprese consorziate.

4. La tesi non è condivisibile. Invero, questa Corte ha affermato, proprio con riferimento ad un caso analogo, il principio secondo cui una società consortile costituita nelle forme di società di capitale per l’esecuzione di un appalto di opere pubbliche, ai sensi della L. 8 agosto 1977, n. 584, art. 23 bis e succ. mod. non assume la posizione di appaltatore, che resta puntualizzata sulle imprese socie riunite, ma il più modesto rilievo di una struttura operativa al servizio di tali imprese, con la conseguenza che, dal punto di vista tributario, le operazioni e i costi della società consortile sono direttamente riferibili alle società consociate. Ne deriva che per le imprese socie costituiscono costi propri le spese affrontate per mezzo del consorzio, le quali, quindi, possono essere ad esse riaddebitate attraverso il principio del cosiddetto ribaltamento dei costi o riaddebito (cfr. Cass. n. 16410 del 2008). Sostenendo l’irrilevanza dell’accertamento della natura giuridica del rapporto intercorrente tra società consortile e imprese socie, in quanto la controversia ineriva esclusivamente i rapporti tra società consortile ed imprese socie (e non, invece, l’accertamento di una qualche responsabilità patrimoniale delle imprese socie per i rapporti obbligatori della società consortile con i terzi), nella predetta sentenza si è precisato che l’operazione di riaddebito (o ribaltamento), invero, costituisce, propriamente, l’adempimento dell’obbligo nascente dalla regolamentazione dei rapporti interni e che trova la sua fonte giuridica ed il suo fondamento nel contratto costitutivo della società consortile, assunto nello stesso da ciascuna impresa socia nei confronti della società, oltre che nei rapporti reciproci tra imprese socie, di fornire (come sostiene la stessa ricorrente) alla società consortile le risorse finanziarie necessarie per l’esecuzione dei lavori e che a fini fiscali (unici che interessano la fattispecie), assume rilevanza solo la natura, propriamente “strumentale” della società consortile, già evidenziata da questa sezione con la sentenza n. 13582 depositata il 2 novembre 2001 (indirettamente confermata, “dal punto di vista tributario”, anche dalla citata decisione n. 18113 del 2003): “la presenza di una società (consortile o meno) costituita nelle forme di una società di capitali (e, come tale, soggetto passivo d’imposta ai fini IRPEG: D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87) non esclude necessariamente la riferibilità alle singole società socie delle attività poste in essere per il suo tramite. In materia di esecuzione di appalti di opere pubbliche si prevede, infatti, che più imprese riunite in associazione temporanea possano costituire tra loro una società “anche consortile” per l’esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori, precisando che detta società “subentra, senza che ciò costituisca, ad alcun effetto, subappalto o cessione di contratto e senza necessità di autorizzazione o di approvazione, nell’esecuzione totale o parziale del contratto”, lasciando ferma la responsabilità solidale delle imprese riunite nei confronti del committente (L. 8 agosto 1977, n. 584, art. 23 bis, aggiunto dalla L. 8 ottobre 1984, n. 687, art. 12, il cui contenuto è stato successivamente assorbito dal D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, art. 26, e dal D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 96, attualmente in vigore). Le inequivoche espressioni usate dal legislatore (“la società subentra… nell’esecuzione… del contratto”, “senza che ciò costituisca ad alcun effetto subappalto o cessione di contratto”) stanno ad indicare che tale “subentro” non determina alcuna modificazione nella titolarità dei rapporti con il committente. La società, pertanto, non assume la posizione di appaltatore, che resta puntualizzata sulle imprese riunite, ma il più modesto rilievo di una struttura operativa al servizio di tali imprese”. Deve, pertanto, concludersi che i costi della società consortile costituiscono costi propri delle consorziate quali spese affrontate dalle stesse consorziate per mezzo del consorzio e la società consortile, nei rapporti interni, è sempre e soltanto uno strumento operativo ma le sue operazioni, nei confronti del fisco, sono operazioni proprie delle consociate che la hanno costituita.

Ad analoga conclusione, seppur in fattispecie speculare a quella in esame e a quella esaminata dalla pronuncia sopra richiamata, è pervenuta questa Corte con la sentenza n. 15330 del 2014, in cui si è affermato il principio secondo cui le agevolazioni fiscali (nella specie, l’esenzione IVA in favore dei danneggiati da eventi sismici, di cui al D.L. n. 799 del 1980, art. 5 convertito in L. n. 875 del 1980) vanno riconosciute, a prescindere dalla qualificazione giuridica del rapporto tra consorzio e imprese consorziate e dalla doppia fatturazione, in favore dell’impresa consorziata esecutrice dei lavori, in quanto tutti i diritti, gli obblighi, gli oneri e le responsabilità dell’operazione sono riconducibili a quest’ultima, sebbene parte del contratto di appalto sia il consorzio, la cui funzione, tuttavia, è meramente strumentale e di servizio.

In tale pronuncia la Corte ha precisato che, seppur sia vero che il rapporto consortile interno è stato per lo più declinato in termini di mandato senza rappresentanza ex art. 1705 cod. civ., in quanto caratterizzato dalla assunzione diretta, da parte del mandatario, del vincolo negoziale nei confronti dei terzi, con esclusione di un rapporto diretto fra questi e il mandante, salvo l’obbligo interno del primo di ritrasferire al mandante i corrispondenti diritti (Cass., sent. n. 24014 del 2013, n. 14780 del 2011 e n. 10590 del 2009)”, è anche vero “che il regime di responsabilità contemplato dall’art. 2615 cod. civ. (…) deroga al principio contenuto nell’art. 1705 cod. civ. (che prevede la responsabilità personale del mandatario entrato in rapporto col terzo), tanto che le concrete pattuizioni del negozio consortile registrano spesso (…) l’assunzione di ogni responsabilità in capo all’impresa consorziata, ribadendo che le operazioni che compie il consorzio sono, nei confronti del fisco, operazioni proprie delle consociate che l’hanno costituita e che il consorzio nei rapporti interni è solo uno strumento operativo che adempie ai relativi obblighi mediante l’operazione c.d. di riaddebito o ribaltamento, sulle società consorziate, secondo i criteri di legge (specie quanto all’inerenza) o quelli legittimamente fissati dallo statuto (se non elusivi della causa consortile e delle relative norme fiscali).

Orbene, dalle considerazioni che precedono discende che i costi della società consortile costituiscono costi propri delle consorziate quali spese affrontate dalle stesse consorziate per mezzo del consorzio (cfr. Cass. n. 16410 cit.) e che, pertanto, la doppia fatturazione (nella specie, dal consorzio alle consorziate e da queste all’ente appaltante), formalmente imposta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, u.p., secondo cui Le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante e il mandatario, deve essere assoggettata allo stesso regime fiscale, la tesi opposta confliggendo con principi di ragionevolezza e con la natura stessa del consorzio, quando operante in regime di mutualità pura, ovvero come organismo di servizio meramente neutrale nell’attività di impresa dei consorziati, senza intenti lucrativi propri.

Tale conclusione non è, peraltro, estranea alla stessa prassi amministrativa che – sia pure nel diverso ambito del reverse charge (inversione contabile) – nella circolare n. 19/E del 4 aprile 2007, a rettifica e chiarimento delle problematiche suscitate dalla precedente circolare n. 37/E del 29 dicembre 2006, ha chiarito che nelle ipotesi in cui nella esecuzione dei lavori (nella fattispecie tratta vasi di lavori edili) intervengano organismi di natura associativa, occorre tener conto dell’assetto funzionale degli stessi e, pertanto, in virtù della funzione propria dell’organizzazione consortile, le prestazioni rese dai consorziati al consorzio assumano la medesima valenza delle prestazioni rese dal consorzio ai terzi, in analogia con quanto previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, con riferimento al mandato senza rappresentanza, ma che è lo stesso a dirsi nell’ipotesi inversa.

A ciò aggiungasi l’ulteriore considerazione, rinvenibile in Cass. n. 15330/2014 cit.), secondo cui volendo poi fare un parallelismo con il diverso piano delle esenzioni, la problematica in esame evoca il principio di accessorietà di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 12 in quanto l’attività del Consorzio consiste sostanzialmente in prestazioni “intermedie” o accessorie alla prestazione di servizi principale (l’esecuzione delle opere, pacificamente agevolata), le quali sono effettuate per conto e a spese dell’impresa consorziata esecutrice dei lavori (cfr. Ris. A.E. n. 230/E del 2002, che richiama l’orientamento della giurisprudenza comunitaria di cui a C. Giust. CE, 11 gennaio 2001, C-76/99, per cui la prestazione resa da terzi in una fase intermedia ad una prestazione esente può essere ritenuta accessoria – e quindi a sua volta esente – a condizione che le due prestazioni formino un insieme indistinto, considerato nella globalità del servizio finale; condizione che appunto ricorre anche nel caso di specie)”.

Il precipitato argomentativo che discende dalle considerazioni che precedono non può che essere, quindi, quello secondo cui il principio di equivalenza dei rapporti giuridici tra imprese consorziate e società consortile e tra queste e l’ente appaltante impone l’unitarietà del regime fiscale della doppia fatturazione, con conseguente trasferibilità dell’agevolazione tributaria nell’ambito del meccanismo del cd. ribaltamento, per cui il regime fiscale della fattura originaria non può che essere il medesimo della fattura emessa nei confronti dei consorziati. Il che rende la statuizione impugnata esente dalle censure mosse dall’Agenzia ricorrente con il motivo in esame che va, quindi, rigettato.

Il rigetto del primo motivo di ricorso ha effetto assorbente sulle altre censure mosse dalla ricorrente alla sentenza impugnata laddove la CTR ha ritenuto sussistente nella fattispecie un’incertezza normativa oggettiva, idonea a giustificare l’inapplicabilità delle sanzioni, sia sotto il profilo della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 (secondo motivo), che dell’art. 132 c.p.c., per aver reso sul punto una motivazione apparente.

Non deve provvedersi sulle spese processuali stante la mancata costituzione in giudizio dell’intimata società consortile.

PQM

 

rigetta il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2017

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