Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18435 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. I, 09/07/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 09/07/2019), n.18435

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17631-2018 proposto da:

K.T., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato ELISABETTA UDASSI giusta procura speciale estesa in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI CAGLIARI n. 383/2018,

depositata il 2.5.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30.5.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

K.T. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione del provvedimento indicato in epigrafe, con cui la Corte di Appello di Cagliari aveva respinto l’appello avverso l’ordinanza del Tribunale di Cagliari emessa in data 22.6.2017 in rigetto della sua domanda di riconoscimento di protezione internazionale (status di rifugiato politico, in subordine protezione sussidiaria e, in via ulteriormente subordinata, di protezione per motivi umanitari);

la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (Gambia) dovuti al suo vissuto personale, narrando di aver lasciato il Paese in quanto oggetto di scherno e derisione dai suoi compagni a causa dei suoi genitori, essendosi dunque trasferito dapprima in Nigeria, per poi raggiungere la Libia e l’Italia;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè “mancanza, illogicità o contraddittorietà della motivazione” censurando la sentenza impugnata per avere la Corte di merito ritenuto “non credibile” il ricorrente senza adeguata motivazione e senza accertare la situazione reale del Paese di provenienza, nonostante le precise allegazioni del ricorrente “nell’atto introduttivo dell’appello”;

1.2. con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e) e art. 3 della L. n. 39 del 1990, art. 1 e succ. mod. e dell’art. 115 c.p., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, in quanto, pur avendo il ricorrente allegato la sussistenza di una grave situazione di restrizione della libertà personale e di trattamenti inumani e degradanti, la Corte aveva respinto le richieste del ricorrente per non aver allegato e provato la sussistenza di profili di pericolo in caso di rimpatrio;

1.3. con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 16, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, per avere la Corte di merito escluso la sussistenza di profili di pericolo ai sensi dell’art. 14 cit., lamentando il ricorrente che ciò fosse “smentito dai rilievi formulati… nei diversi gradi di giudizio”, lamentando inoltre l’omessa valutazione del grado di integrazione sociale conseguito dal richiedente;

1.4. le censure, da esaminare congiuntamente, vanno disattese;

1.5. in materia di protezione internazionale questa Corte di legittimità si è da tempo espressa nel senso che la valutazione in ordine alla credibilità soggettiva del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al Giudice del merito, il quale deve stimare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in forza della griglia valutativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c);

1.6. l’apprezzamento, di fatto risulta censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340/2019);

1.7. va poi premesso che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h) conformemente al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma I, lett. f) e g) definisce “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” il “cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può, o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”;

1.8. la definizione di “danno grave” è fornita dal successivo art. 14 il quale lo identifica: a) nella condanna a morte; b) nella tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante; c) nella minaccia grave e individuale alla vita derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;

1.9. questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 3016/2019) è già reiteratamente intervenuta a chiarire quale sia, nell’ambito della domanda di protezione sussidiaria, il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria” invocata dal ricorrente, ricondotta alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in particolare comma 5;

1.10. in primo luogo, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la “cooperazione istruttoria” consiste si colloca non dal versante dell’allegazione, ma esclusivamente da quello della prova, in quanto l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerati veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere… ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 5);

1.11. ne consegue che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda nella fattispecie anche in questo caso oggettivamente dedotta, ossia ai sensi D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c), (cfr. Cass. n. 17069/2018);

1.12. per converso, se l’allegazione manca, l’esito della domanda è segnato, in applicazione del principio secondo cui la domanda di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il Giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197/2015);

1.13. è opportuno inoltre osservare che, una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del Giudice di cooperazione istruttoria – i.e. di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari – è circoscritto alla verifica della situazione obbiettiva del paese di origine, e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente; in particolare (cfr. Cass. n. 14006/2018, 13858/2018), in tema di protezione sussidiaria dello straniero, prevista nella già citata fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale implica, alternativamente: una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale; ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel Paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza su quel territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia;

1.14. ne consegue che, mentre il Giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare – elettivamente, ma non esclusivamente, attraverso lo scrutinio dei c.d. c.o.i., country of origin informations – se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal già citato art. 3, comma 5;

1.15. poste tali premesse, la valutazione sul punto svolta dai Giudici di appello si sottrae a sindacato di questa Corte di legittimità, avendo la Corte di merito, ritenuto, con riguardo alla richiesta dello status di rifugiato politico che il richiedente avesse unicamente “dedotto la situazione di instabilità del paese di origine”, e con riguardo alla protezione sussidiaria, di cui all’art. art. 14 cit., lett. a) e b) avendo la Corte fondato la sua decisione sfavorevole alla tesi del ricorrente affermando che le ragioni della migrazione andavano ricercate in motivi personali (“deve escludersi che in base alle dichiarazioni rese, K.T. possa subire, in caso di rientro in patria, la condanna a morte o l’esecuzione della pena di morte o altri trattamenti inumani e degradanti, giacchè (anche a voler ritenere verosimile il racconto) è fuggito perchè preso in giro dai suoi coetanei, fatto che lo faceva soffrire”), aggiungendo che tali ragioni esulavano dal quadro della protezione richiesta;

1.16. in particolare, tale ultima affermazione non è stata direttamente contestata, esulando i timori prospettati dal ricorrente dalle ipotesi disciplinate in seno al D.Lgs. n. 251, art. 14, lett. a) e b) che, rispettivamente, contemplano i casi di condanna a morte o esecuzione della pena di morte, o di tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante;

1.17. in relazione, infine, alla censura di mancata valutazione del generale contesto politico e ordinamentale del Paese di provenienza deve rilevarsi che il Tribunale ha esaminato anche la situazione del Gambia come evincibile da report ufficiali puntualmente citati in motivazione (report Amnesty International 2015-2016, sito e-Coi 2018), e ha escluso l’esistenza di condizioni rilevanti ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) rilevando che la zona di provenienza dell’immigrato – anche per l’ascesa al potere del presidente B., e con l’instaurazione di un regime democratico – era immune da situazioni di violenza indiscriminata;

1.18. da ogni punto di vista quindi l’indagine che il caso richiedeva è stata fatta e la sottostante valutazione attiene al merito;

1.19. quanto all’asserzione secondo cui la Corte di Appello di Torino si sarebbe limitata a generiche affermazioni circa l’assenza di rischi in caso di rientro coatto del richiedente nel suo paese, non tenendo conto delle diverse risultanze emerse dallo stesso rapporto di Amnesty International menzionato nella sentenza e, genericamente, dalla documentazione costituita da “reportage e…relazioni formulate dallo stesso Governo Italiano” è sufficiente osservare che in primo luogo, con riguardo al menzionato rapporto di Amnesty International, il ricorrente fa riferimento unicamente alle ipotesi di cui all’art. 14 cit., lett. b) ed inoltre, manifestamente, la censura attiene al fatto, ed è come tale paradigmaticamente inammissibile, giacchè, come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al Giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal Giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. nn. 24679/2013, 27197/2011, 7921/2011, 20455/2006, 7846/2006, 18134/2006, 2357/2004);

1.20. le censure sono inammissibili anche con riguardo alla protezione umanitaria, misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (cfr. Cass. n. 23604/2017);

1.21. il ricorrente non ha, infatti, allegato di avere sottoposto al giudice di merito ragioni personali di vulnerabilità diverse da quelle esaminate dalla Corte di appello anche per le altre forme di protezione, la cui statuizione è stata dianzi esaminata, e la riscontrata non individualizzazione dei motivi umanitari non può esser surrogata dalla situazione generale del Paese, su cui è interamente articolato il motivo, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti;

1.22. la sentenza impugnata, peraltro, ha accertato, come si è detto, l’insussistenza di condizioni di insicurezza in Gambia, idonee ad integrare le fattispecie legali per il riconoscimento della protezione internazionale, con riguardo sia al pericolo di atti persecutori nei confronti del richiedente, sia alla violenza indiscriminata derivante da conflitto armato, sia implicitamente al rischio di subire la violazione dei diritti fondamentali;

1.23. si tratta, anche in tal caso, di un apprezzamento di fatto, con il quale è stata esclusa la sussistenza delle condizioni sostanziali per il riconoscimento della protezione richiesta, che inammissibilmente il ricorrente vorrebbe sovvertire;

2. inammissibile è, infine, la richiesta di sospensione cautelare della sentenza impugnata, la cui proposizione davanti a questa Corte non è prevista dalla legge;

3. sulla scorta di quanto sin qui illustrato, il ricorso va integralmente respinto;

4. nulla sulle spese processuali stante la mancanza di attività difensiva del Ministero.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione Sezione Prima Civile, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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