Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18434 del 08/09/2011

Cassazione civile sez. I, 08/09/2011, (ud. 15/06/2011, dep. 08/09/2011), n.18434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 3861-2009 proposto da:

L.B.P. (c.f. (OMISSIS)), A.S.

A. (c.f. (OMISSIS)), A.M. (c.f.

(OMISSIS)), A.A. (c.f. (OMISSIS)),

A.R.M. (c.f. (OMISSIS)), A.E.

(c.f. (OMISSIS)), nella qualità di eredi di A.

S., elettivamente domiciliati in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE

II 229, presso l’avvocato DI PIETRO UGO, rappresentati e difesi

dall’avvocato ALFANO SERGIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.S. (C.F. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CODAGNONE GIOVANNI,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 529/2007 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 20/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/06/2011 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il relatore designato a norma dell’art. 377 c.p.c. ha depositato una relazione del seguente tenore:

“1. Con sentenza depositata il 20 dicembre 2007 la Corte d’appello di Messina, dopo aver dichiarato la nullità per difetto assoluto di motivazione della pronuncia con cui il locale tribunale aveva liquidato la quota spettante al sig. A.S. in conseguenza del suo recesso da una società costituita con il sig. B.S. per la gestione di un circolo ricreativo ed aveva condannato detto sig. B. al risarcimento dei danni arrecati all’attore, liquidati equitativamente in Euro 2.550,00, rigettò le domande proposte dall’attore medesimo reputandole sfornite di prova adeguata.

Avverso tale sentenza gli eredi del sig. A. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, al quale il sig. B. ha resistito con controricorso.

2. Si prospetta l’eventualità che il ricorso possa essere rigettato con ordinanza, per manifesta infondatezza, a norma dell’art. 375 c.p.c., n. 5.

2.1. In ordine al primo motivo di ricorso, volto a censurare per vizi di motivazione la declaratoria di nullità della sentenza di primo grado, sembra di poter preliminarmente osservare che fa difetto nel ricorrente un adeguato interesse a proporre una simile censura, volta che non si dimostri l’ingiustizia della decisione assunta nel merito dalla corte d’appello. Questa, infatti, dopo aver dichiarato nulla la sentenza di primo grado, ha pronunciato in unico grado sulla domanda dell’attore in termini del tutto identici a quelli nei quali lo avrebbe fatto, quale giudice di secondo grado, sulla base dei dedotti motivi di gravame. Ogni considerazione sulla fondatezza delle ragioni per le quali è stata dichiarata nulla la prima sentenza finisce, dunque, per restare assorbita dal decisivo rilievo che la domanda dell’attore sarebbe stata comunque da rigettare.

Aggiungasi che, comunque, il dedotto motivo di ricorso non evidenzia contraddizioni o vizi logici nella motivazione in base alla quale la corte territoriale ha dichiarato nulla la sentenza del tribunale, limitandosi a contrapporre a quella della corte una diversa opinione sul punto dei ricorrenti. Ma i vizi della motivazione non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei dati processuali compiuto dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte.

Ove, poi, si volesse considerare la censura in esame come volta a denunciare non già un vizio di motivazione, bensì un error in procedendo, parrebbe doversi osservare che il quesito di diritto formulato a chiusura del motivo di ricorso non è conforme a quanto richiesto dall’art. 366-bis c.p.c. (applicabile ratione temporis nel presente, caso), perchè è meramente tautologico e non vi si evidenzia alcuna regula iuris che i ricorrenti intendano contrapporre a quella in forza della quale è stata assunta la decisione impugnata.

2.2. Quanto al secondo motivo, anch’esso volto a denunciare vizi di motivazione della sentenza, afferenti questa volta alla decisione nel merito pronunciata dalla corte d’appello in ordine alla insufficienza della prova addotta a sostegno delle domande proposte in causa, sembra di poter dire che le censure prospettate nel ricorso si sostanziano in una non ammissibile richiesta di integrale rivisitazione del materiale istruttorio (documentale e testimoniale) acquisito agli atti, di cui il ricorso non riporta per esteso il contenuto ed il cui esame palesemente esula dai limiti del giudizio di legittimità.

3. Alla stregua di tali rilievi, si manifesta l’opportunità che il ricorso sia trattato in camera di consiglio”.

La corte fa proprie tali considerazioni, alle quali nessuna obiezione è stata successivamente mossa dal ricorrente, che non ha depositato memorie.

Il ricorso, pertanto, dev’essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2011

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