Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18434 del 04/09/2020

Cassazione civile sez. I, 04/09/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 04/09/2020), n.18434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 31755/2018 proposto da:

K.A., elett.te domiciliato in Roma, presso l’avvocato Antonio

Almiento, che lo rappres. e difende, con procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso il decreto n. 2315/18 emesso dal Tribunale di Lecce,

depositato il 4.10.18;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/07/2020 dal Consigliere rel. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con decreto del 4.10.18 il Tribunale di Lecce rigettò il ricorso presentato da K.A., cittadino del (OMISSIS), avverso la decisione emessa dalla Commissione territoriale di rigetto dell’istanza di protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria, osservando che: non era accoglibile l’istanza di audizione del ricorrente, pur non essendo disponibile la videoregistrazione, non essendo stati allegati fatti nuovi; non era fondata l’istanza di riconoscimento dello status di rifugiato per l’inattendibilità del suo racconto; non ricorrevano i presupposti della protezione sussidiaria, sia per la non credibilità del racconto del ricorrente, pieno di contraddizioni e di elementi vaghi, sia per l’insussistenza, nel paese di provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da scontri armati; non era parimenti riconoscibile il permesso umanitario per l’insussistenza di condizioni di vulnerabilità soggettiva e in mancanza di un serio percorso integrativo.

Ricorre in cassazione K.A. con cinque motivi, illustrati con memoria.

Non si è costituito il Ministero.

Diritto

RITENUTO

che:

Con il primo motivo si deduce la nullità del decreto impugnato per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per l’omesso esame del ricorrente, in mancanza della videoregistrazione.

Con il secondo motivo si deduce la nullità del decreto per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e della diretiva 2004/83/CE, in ordine al mancato esercizio del potere-dovere del giudice di acquisire informazioni rilevanti sulle condizioni di pericolo nel Sierra Leone connesse all’orientamento sessuale del ricorrente, nonchè per il contrasto irriducibile tra le affermazioni inconciliabili del Tribunale che ha escluso la protezione umanitaria, pur dando atto della critica situazione degli omosessuali.

Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, per aver il Tribunale escluso i presupposti della protezione sussidiaria che invece erano da riconoscere considerando che il ricorrente proveniva da una nazione violentemente omofobica, caratterizzata da una situazione di violenza indiscriminata nei confronti degli omosessuali che configurava la minaccia grave alla persona.

Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, anche in relazione al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, L. n. 110 del 2017, art. 10 Cost. e art. 3 Cedu, avendo il Tribunale escluso la protezione umanitaria senza considerare la condizione di vulnerabilità del ricorrente per il suo essere omosessuale e la probabilità, in caso di rimpatrio, di rimanere sprovvisto di tutela da parte delle Autorità nazionali.

Con il quinto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dell’art. 8 Cedu, nonchè omesso esame di un fatto decisivo, avendo il Tribunale omesso di effettuare la comparazione tra la condizione oggettiva del paese d’origine e la situazione in cui versa il ricorrente in Italia, senza dunque verificare la sussistenza dei seri motivi legittimanti il permesso umanitario.

Il primo motivo è inammissibile, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte che non ritiene obbligatoria l’audizione del ricorrente, pur in mancanza della videoregistrazione, se non siano allegati fatti nuovi da approfondire o specifiche necessità investigative. Al riguardo, è stato affermato che (Cass., n. 5973/19, n. 2817/19) nel giudizio d’impugnazione innanzi all’autorità giudiziaria della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero.

Nel caso concreto, premesso che il Tribunale non ha ritenuto necessaria l’audizione del ricorrente, decidendo allo stato degli atti, va osservato che il ricorrente non ha allegato fatti nuovi o ulteriori temi d’indagine, escluso, per quanto esposto, ogni automatismo nella fissazione dell’udienza per la sua audizione.

Il secondo e terzo motivo, esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi, sono inammissibili in quanto diretto al riesame dei fatti circa la valutazione d’inattendibilità del racconto reso dal ricorrente pronunciata dal Tribunale perchè contraddittorio e generico, anche riguardo all’asserita condizione di omosessuale, essendo al riguardo state acquisite informazioni sulla situazione del Sierra Leone attraverso aggiornati report.

Il quarto e quinto motivo, esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi, sono inammissibili perchè diretti al riesame dei fatti, ai fini della protezione umanitaria, circa la condizione di vulnerabilità del ricorrente il quale la circoscrive, in sostanza, nel suo essere omosessuale, condizione che però è stata esclusa dal Tribunale che non lo ha ritenuto credibile. Appare, di conseguenza, altresì inammissibile la doglianza afferente alla mancata comparazione tra la situazione attuale del ricorrente e quella in cui egli verserebbe in caso di rimpatrio, poichè il Tribunale ha escluso un serio percorso integrativo del ricorrente.

Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione del Ministero.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2020

 

 

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