Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18433 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. I, 09/07/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 09/07/2019), n.18433

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15723-2018 proposto da:

L.J., domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato MARIA

CRISTINA ROMANO giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore

elettivamente domiciliato in ROMA, presso l’Avvocatura Generale

dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI MILANO n. 1001/2018,

depositata il 22.2.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30.5.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

L.J. propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte di Appello di Milano aveva respinto l’appello avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano emessa in data 24.1.2017 in rigetto della sua domanda di riconoscimento di protezione internazionale (sussidiaria ed umanitaria);

la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (Gambia) dovuti al suo vissuto personale, narrando di aver accidentalmente causato un incendio che si era propagato ad alcuni terreni privati e di essere fuggito in quanto i proprietari volevano denunciarlo alla Polizia, raggiungendo dapprima il Senegal e la Libia per poi arrivare l’Italia;

il Ministero dell’Interno si è costituito al solo scopo di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo di censura il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,14 e 17 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la Corte di appello abbia rigettato la domanda di protezione internazionale sussidiaria in relazione all’ipotesi prevista dall’art. 14, lett. b D.Lgs. cit. sulla base della mancanza dei requisiti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8 previsti per lo status di rifugiato;

1.2. con il secondo motivo di censura il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando, da parte della Corte d’Appello, la mancata valutazione della situazione del Paese d’origine in relazione allo specifico rischio dedotto dal ricorrente;

1.3. con il terzo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, circa l’appezzamento espresso dalla Corte di appello sulla credibilità del racconto dell’istante, avendo il Giudice di appello omesso di verificare se le dichiarazioni del ricorrente fossero comunque credibili in base ai parametri previsti dall’art. 3 cit., comma 5 potendo, invece, secondo il richiedente, i riscontri probatori “derivare dalla compatibilità con la situazione del Paese d’origine” ed il danno grave assumere anche natura solo potenziale;

1.4. i motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati;

1.5. la Corte territoriale ha, infatti, negato la possibilità di riconoscere la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), (seppure erroneamente menzionando anche il D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8), e cioè il danno grave paventato dal ricorrente di subire torture o altre forme di trattamenti inumani e degradanti, dopo aver constatato la totale mancanza di riscontri del racconto dell’appellante (il quale aveva dichiarato, tra l’altro, che “la Polizia…(aveva)… lasciato un semplice invito a presentarsi”), affermando dunque che il “pericolo di un danno grave sotto il profilo di una carcerazione integrante un trattamento inumano o degradante…(era)… del tutto vago”;

1.6. il ricorrente muove, inoltre, delle mere censure in fatto alla motivazione della Corte di appello che concernono la pretesa incompleta acquisizione di informazioni sulla situazione del suo paese circa l’applicazione di forme di tortura sulle persone in stato di detenzione in carcere;

1.7. sul punto la Corte d’Appello ha, infatti, evidenziato la scarsa plausibilità e precisione della vicenda posta dal richiedente all’origine dell’espatrio nella quale non sono stati rappresentati rischi specifici ai quali egli potrebbe essere esposto in caso di rimpatrio, come dianzi illustrato;

1.8. la Corte d’appello ha, invero, ritenuto condivisibile l’assunto del Tribunale secondo cui l’istante avrebbe fornito una narrazione dei fatti del tutto non credibile, contraddittoria e lacunosa, avendo l’istante allegato esclusivamente problemi di carattere privatistico, per i quali la polizia gli aveva recapitato un semplice invito a presentarsi, non un provvedimento di arresto, ed inoltre la Corte territoriale ha accertato che in Gambia esiste la figura del difensore per i diritti umani, anche a favore dei non abbienti, alla quale il richiedente non ha neppure allegato di essersi rivolto;

1.9. anche con riguardo alla terza censura la Corte osserva che il Giudice del gravame ha in realtà conferito rilievo alla mancanza di riscontri del racconto del ricorrente ed al contenuto delle stesse dichiarazioni rese dal medesimo;

1.10. questa Corte ha, quindi, precisato che in tema di protezione internazionale, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, le lacune probatorie del racconto del richiedente asilo non comportano necessariamente inottemperanza al regime dell’onere della prova, potendo essere superate dalla valutazione che il Giudice del merito è tenuto a compiere delle circostanze indicate alle lettere da a) ad e) della citata norma (Cass. 10 luglio 2014, n. 15782, e in precedenza Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138, secondo cui ove il richiedente non abbia fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri se ricorrano le richiamate condizioni);

1.11. tuttavia, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503);

1.12. l’accertamento posto in atto dalla Corte distrettuale è dunque conforme al diritto, nè l’istante potrebbe censurare il giudizio espresso dalla stessa Corte con riguardo all’attendibilità del narrato, giacchè la valutazione di non credibilità del racconto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al Giudice del merito (pur sempre nel quadro di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate) (sent. ult. cit. Cass. 3340/20189).

2.1 è inammissibile il quarto motivo con cui si lamenta, in relazione al mancato rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5,commi 6 e 19 imperniandosi la doglianza sulla mancata spendita, da parte del Giudice di appello, dei poteri officiosi (nella specie riferiti al sistema carcerario del Gambia);

2.2. ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria è invero evidente che l’attendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, la situazione oggettiva del paese d’origine deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosì (cfr. Cass. 4455/2018);

2.3. nel caso di specie, come detto la narrazione dei fatti è stata ritenuta inattendibile;

2.4 la Corte ha altresì rilevato che la richiesta di protezione umanitaria si fonda esclusivamente sul rilievo della condizione generale del Pese, senza indicazione di elementi individualizzanti – a parte la generica allegazione della giovane età del richiedente e del suo inserimento lavorativo nel territorio italiano – indispensabili per la forma di protezione in esame;

2.5 la censura si risolve, quindi, nell’astratta analisi dei presupposti giuridici della protezione umanitaria, e nel tentativo di riproporre una rivisitazione del merito;

3. sulla scorta di quanto sin qui affermato il ricorso va integralmente respinto;

4. nulla sulle spese di lite stante la mancanza di attività difensiva del Ministero;

5. deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, statuizione che la Corte è tenuta ad emettere in base al solo elemento oggettivo, costituito dal tenore della pronuncia (di inammissibilità, improcedibilità o rigetto del ricorso, principale o incidentale), senza alcuna rilevanza delle condizioni soggettive della parte, come l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (cfr. Cass. n. 9661/2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione Sezione Prima Civile, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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