Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18433 del 06/08/2010

Cassazione civile sez. I, 06/08/2010, (ud. 22/06/2010, dep. 06/08/2010), n.18433

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.S. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 99, presso l’avvocato

CRISCUOLO FABRIZIO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PO.GI. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA A. BOSIO 22, presso l’avvocato PAGANO MARIA TERESA, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MELARDI SILVANA,

giusta, procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3670/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato FABRIZIO CRISCUOLO che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato MARIA TERESA PAGANO che ha

chiesto l’inammissibilità o comunque il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 6.06-11.07.2003, il Tribunale di Roma pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, contratto il 26.10.1992, dalla ricorrente Po.Gi. con P.S. e respingeva la domanda della prima di attribuzione dell’assegno divorzile, compensando per intero le spese processuali. La Po. impugnava la sentenza del Tribunale limitatamente al diniego di assegno divorzile in suo favore.

Con sentenza del 1.07-7.09.2005, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, che nel resto confermava, attribuiva all’appellante il chiesto assegno divorzile, con decorrenza dal mese di luglio 2003, determinandolo nella misura di Eurou 300,00 mensili, annualmente rivalutabili, e compensava anche le spese del grado d’appello. La Corte, pure premessi noti principi sul tema, osservava e riteneva in sintesi:

che il P., laureato in giurisprudenza e tenente colonnello della Guardia di Finanza, risultava fruire di redditi (dichiarati per gli anni 2001,2002 e 2003) marcatamente superiori a quelli denunciati (per gli anni 2002, 2003 e 2004) dalla Po., diplomata e impiegata presso il Ministero delle Finanze;

– che la Po. era proprietaria esclusiva dell’appartamento in Roma, in cui abitava e di un piccolo locale di mq 13, pertinenza del primo, nonchè nuda proprietaria della casa dei genitori in Vasanello;

che la comparazione tra le posizioni economiche complessive degli ex coniugi, nonostante il modesto patrimonio immobiliare della Po., rivelava una palese disparità a favore del P., il quale fruiva di un reddito superiore di oltre il doppio a quello dell’ex moglie;

– che la Po., pur economicamente autosufficiente, era priva di mezzi adeguati rispetto al tenore della vita coniugale e si trovava nell’impossibilità di procurarsi tali mezzi per ragioni oggettive discendenti dal suo livello socio – professionale – culturale, obiettivamente meno favorito rispetto a quello dell’ex marito;

– che ininfluente era la circostanza che all’atto della separazione consensuale dal marito, del 29.07- 20.08.1998 la Po. non avesse richiesto alcun assegno di mantenimento.

Avverso questa sentenza, notificatagli il 5.05.2006, il P. ha proposto ricorso per cassazione notificato il 28.06.2006, fondato su un unico motivo ed illustrato da memoria. La Po. ha resistito con controricorso notificato il 21.09.2006.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso il P. denunzia “Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, nonchè omessa , insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Sostiene in sintesi che, stante l’equivalenza delle rispettive condizioni economiche, la Corte distrettuale ha erroneamente attribuito all’ex moglie l’assegno divorzile, posto anche che:

a) ha illegittimamente dato portata assorbente al divario reddituale attualmente esistente tra le parti, senza considerare il consistente patrimonio immobiliare dell’ex moglie, bollato come modesto;

b) ha ritenuto che l’ex moglie vivesse nell’appartamento in sua proprietà mentre invece ella dimorava in altro appartamento di proprietà dei genitori, di mq 160 e fornito di due garages, già adibito a casa coniugale ed assegnatole in sede di separazione consensuale, della cui disponibilità si sarebbe dovuto tenere conto;

c) ha omesso di considerare il marcato squilibrio tra le consistenze immobiliari di rispettiva pertinenza, le sue limitate a quota pari ad 1/3 di 1/3 dell’appartamento pervenutogli per successione paterna ed abitato dalla madre;

d) ha omesso, altresì, di considerare sia in sede di separazione consensuale la moglie non aveva esercitato alcuna pretesa di mantenimento, sia che la convivenza coniugale si era protratta per meno di sei anni, senza prole e senza mai essere stata contraddistinta da una piena comunione di vita, come confermato da recente sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio;

e) non ha operato alcuna valutazione parametrata al pregresso tenore della vita coniugale, quale desumibile dai redditi dichiarati al momento della separazione consensuale, ed inferiore alle reali capacità economiche dei coniugi f) non ha considerato i vantaggi economici connessi alla convivenza more uxorio dell’ex moglie con un terzo, suo collega di lavoro;

g) non ha considerato i criteri legali di attribuzione e di quantificazione dell’apporto h) ha reso una valutazione non convincente dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex moglie e della sua incapacità di procurarseli. Il motivo non ha pregio.

Il ricorrente inammissibilmente addebita ai giudici di merito errori valutativi che si risolvono o in mere critiche, o in rilievi (quale anche l’omessa considerazione del regime stabilito dai coniugi in sede di separazione consensuale omologata) smentiti dal contenuto dell’avversata pronuncia o ancora fondati su circostanze di fatto (quali anche la maggiore consistenza del patrimonio immobiliare della Po., i vantaggi economici dalla stessa tratti dalla situazione di convivenza more uxorio, la riconduzione dei suoi attuali incrementi reddituali ad indennità connesse ad incarichi temporanei, la sopravvenienza della sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio) non valutabili perchè nuove e, comunque, prive di richiami ad eventuali, già emersi elementi di riscontro, anche documentali, decisivi in tale senso, non altrimenti desumibili.

Sostanzialmente il P. invoca in questa sede una non consentita diversa ed a lui favorevole valutazione dei mezzi di cui potrebbe disporre l’ex coniuge (cfr, ex plurimis, cass. 200520332;

200700828; 20072972), mezzi che, con iter argomentativo ampio, logico e puntuale e, dunque, immune dai dedotti vizi, la Corte territoriale ha presunto in ogni caso inadeguati rispetto al pregresso tenore della vita matrimoniale, questo legittimamente anche desunto dalle potenzialità economiche degli ex coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e disponibilità patrimoniali (cfr, tra le altre, cass. 200206541 ;200704764;200715610).

Va, inoltre, sottolineato che la determinazione dell’assegno di divorzio, alla stregua della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10 è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti o in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, correlati a diversificate situazioni, e delle rispettive decisioni giudiziali (cfr, tra le altre, cass. 200725010) e che, sempre in tema di determinazione dell’assegno di divorzio, il giudice non deve dare giustificazione di tutti i parametri di riferimento indicati dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5 (nel testo modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10), ben potendo considerare prevalente quello basato sulle condizioni economiche delle parti (cfr, tra le altre, cass. 200609876).

Per completezza, giova anche ricordare che in tema di attribuzione dell’assegno di divorzio, di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10, l’impossibilità di procurarsi mezzi adeguati di sostentamento per ragioni obiettive costituisce ipotesi non già alternativa, ma meramente esplicativa rispetto a quella della mancanza di tali mezzi, dovendosi, pertanto, trattare di impossibilità di ottenere mezzi tali da consentire il raggiungimento non già della mera autosufficienza economica, ma di un tenore di vita sostanzialmente non diverso rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio (cfr.

cass. 199802087; 200413169).

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con conseguente condanna del P., soccombente, al pagamento in favore della Po. delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna il P. a rimborsare alla Po. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.Lgs n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2010

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