Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18430 del 09/07/2019

Cassazione civile sez. I, 09/07/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 09/07/2019), n.18430

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11891-2018 proposto da:

M.I., domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della Corte

di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato MARCELLO CANTONI

giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, presso l’Avvocatura Generale

dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA n. 2317/2017,

depositata il 9.10.2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30.5.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

M.I. propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte di Appello di Bologna aveva respinto l’appello avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna emessa in data 6.6.2016 in rigetto della sua domanda di riconoscimento di protezione internazionale (sussidiaria ed umanitaria);

la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (Senegal) dovuti al suo vissuto personale, narrando egli (musulmano) di aver intrattenuto una relazione con una ragazza cristiana, rimasta incinta e poi morta nel corso di un parto prematuro, il che lo rendeva sottoponibile alla punizione coranica di 500 frustate o all’arresto per la morte della ragazza e del nascituro, ed alle ritorsioni della famiglia della ragazza, motivo per il quale era fuggito dal Paese trasferendosi dapprima in Mali e successivamente in Libia, da dove aveva poi raggiunto l’Italia;

il Ministero dell’Interno resiste con controricorso;

il ricorrente ha depositato memoria difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con il primo motivo di censura il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,commi 3 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la Corte di appello abbia rigettato la domanda di protezione internazionale utilizzando esclusivamente il canone della credibilità soggettiva del ricorrente, senza osservare le disposizioni di legge che impongono al Giudice di accertare la situazione reale dei paesi di origine e provenienza, mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi di ampia indagine e acquisizione documentale;

1.2. il motivo di ricorso non è fondato;

1.3. questa Corte ha già chiarito quali sia il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria” invocata dal ricorrente, ricondotta alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, in particolare comma 5;

1.4. in primo luogo l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la “cooperazione istruttoria” consiste, si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, in quanto l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sonà considerati veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 5);

1.5. di conseguenza, solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (Cass. 28 giugno 2018, n. 17069);

1.6. per converso, se l’allegazione manca, l’esito della domanda è segnato, in quanto la domanda di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197);

1.7. una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del Giudice di cooperazione istruttoria, e quindi di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, poichè è evidente che, mentre il Giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal già citato art. 3, comma 5;

1.8. nel caso in esame va rilevato che i riferimenti alla situazione sociopolitica del Senegal compiuti dal ricorrente sono stati inammissibilmente prospettati per la prima volta, come si evince sia dalla sentenza qui impugnata che dal ricorso per cassazione, in sede di legittimità e non nel giudizio di merito, dove il richiedente protezione aveva invece richiamato esclusivamente una vicenda del tutto personale senza alcun collegamento con la complessiva situazione socio-politica del paese, come illustrata in premessa, avendo altresì rilevato la Corte d’Appello che nè l’ordinamento senegalese, nè le leggi islamiche e le consuetudini tribali prevedono la responsabilità dell’uomo per la morte della donna incinta e del nascituro durante il parto, e che il timore di essere incarcerato era quindi del tutto ingiustificato nè sul punto il ricorrente aveva offerto alcuna plausibile spiegazione, essendosi limitato a richiamare genericamente le condizioni del contesto socio culturale dello Stato di provenienza ove deduceva che non avrebbe ricevuto adeguata protezione e garanzie di un giusto processo;

1.9. la Corte d’Appello si è inoltre soffermata sull’inverosimiglianza del racconto del richiedente, “intriso di incongruenze e contraddizioni”, non avendo egli offerto alcun “riscontro del proprio vissuto al fine di dimostrare la credibilità delle proprie dichiarazioni ben potendo avvalersi dell’aiuto della mamma e della zia con le quale…(aveva)… mantenuto contatti (come dallo stesso dichiarato alla commissione)”.

1.10. deve pertanto ritenersi che il ricorrente abbia posto a fondamento della propria domanda di protezione internazionale una vicenda totalmente personale, riguardo alla quale, evidentemente, non v’era alcun dovere di cooperazione istruttoria e che doveva e poteva essere scrutinata soltanto sulla base della sua intrinseca credibilità, credibilità che i Giudici di merito hanno concordemente escluso con giudizio la cui sindacabilità in questa sede, sia pur nei limiti dell’art. 360 c.p.c., vigente n. 5 è esclusa ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., u.c.;

1.11. l’assunto della Corte territoriale in ordine all’inattendibilità del richiedente protezione e la motivazione addotta a sostegno di tale convincimento non sono stati, infatti, specificamente censurati in questa sede dal ricorrente, il quale ha invece infondatamente lamentato il mancato esercizio da parte del Giudice di secondo grado dei propri poteri-doveri officiosi di indagine e di acquisizione documentale;

1.12. con riguardo, poi, al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero (con riguardo al quale il ricorrente ha anche inammissibilmente depositato nuova documentazione in allegato alla memoria difensiva) si osserva che esso non integra da solo, nè prima, nè nel vigore della nuova normativa, motivo idoneo al riconoscimento del diritto dello straniero alla protezione umanitaria;

2.1. il secondo motivo con cui si lamenta che i Giudici di appello abbiano omesso di pronunciarsi sulla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione, sussidiaria ed umanitaria, è privo di fondamento, in quanto in primo luogo, come emerge dalla sentenza impugnata, non risulta sia mai stato chiesto il riconoscimento dello status di rifugiato, ed inoltre la Corte di Appello, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, si è pronunciata anche sulle domande di protezione sussidiaria e di riconoscimento della protezione umanitaria, ritenendo che l’inattendibilità del ricorrente e le vicende strettamente personali richiamate dal richiedente protezione non consentissero l’accoglimento delle relative istanze;

2.2. non sussiste pertanto, nella fattispecie, il vizio di omessa pronuncia lamentato dal ricorrente;

3. il ricorso deve essere pertanto rigettato;

4. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso, in favore del Ministero controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 luglio 2019

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